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SCUOLA OGGI: Documenti e interventi sulla  politica scolastica della XVII legislatura


04.07.2013

Dal purcit no si bute vie nuie. Uno sguardo dal Friuli
di Stefano Stefanel

 

         “Perché dobbiamo punire i giovani con una maturità troppo facile?” si chiede a chiusura della sua Bustina di Minerva sull’Espresso del 4 luglio Umberto Eco. Prima aveva scritto: “Il fatto è che il tema della maturità deve provare solo due cose. Una è che il candidato o la candidata sappiano scrivere in  un italiano accettabile. (…) La seconda cosa è che i candidati debbono provare di sapere articolare un pensiero, svolgere un argomento”. Antonio Valentino (su www.scuolaoggimagazine.org del 21 giugno 2013: “Se un viaggiatore finlandese in una calda giornata di giugno. A proposito di “maturità” e prima prova”) ha scritto qualche tempo fa: “Con queste tematiche si potrebbe fare, al limite, bella figura con un cittadino finlandese che capitasse in Italia in questo periodo e che, letti i testi della prova, sarebbe indotto ad esprimere ammirazione per il nostro sistema di istruzione”.

         Poiché sostengo da tempo la necessità di cancellare il valore legale del titolo di studio e di cancellare gli attuali esami di fine ciclo, in quanto fanno perdere tempo e risorse ad un sistema dell’istruzione che non ne ha, al solo scopo di raggiungere, dopo accaldate fatiche, il “numero che han pensato”, come si diceva da bambini (provate – se ci riuscite - a dare 45 agli scritti e 30 agli orali ad un genialoide disadattato e divergente che hanno presentato con l’11; provate a vedere cosa succede quando qualche “sgarruppato” in terza media  prende una valutazione alta all’Invalsi condita da sei “regalati”), mi piace molto l’approccio all’argomento sia di Eco, sia di Valentino e quindi scrivo due parole.

         Chi è contro questo esame di stato non ne vuole uno più facile, ma uno più sensato e utile. Come dice Valentino le tracce sono state scritte per l’Unione Europea non per gli studenti, ma gli studenti sono addestrati a fare saggi in base alle tracce date, non all’autonoma ricerca che dovrebbe condurre chiunque si accingesse a scrivere un saggio o un articolo. Inoltre le seconde prove sono la dimostrazione che le discipline tendono a selezionare al di là di ogni ragionevolezza: il compito di matematica dei Licei è una prova difficilissima, teorica ed avulsa dalla realtà alla portata solo di una parte dei liceali. L’altra parte, che soffre la matematica probabilmente dalle primarie, si barcamena o  crolla e poi in qualche modo viene aiutata. Alla fine tutti promossi e avanti così.

         L’altro giorno parlavo della prima prova con un’insegnante della scuola che dirigo che è competente, sensibile, preparata e che ha grande sensibilità e cultura letteraria. Le chiedevo come potevano essere interessati ai Malavoglia studenti che tutto sommato avrebbero avuto qualche vantaggio da sentir parlare di Magris. Ovviamente la prof. Rosanna Zoff (così si chiama, la cito perché è proprio brava) soffriva della dicotomia e mi ha detto che i Malavoglia sono la descrizione migliore dei perdenti. Le ho detto io: “E Ragazzi di vita?”. La sua risposta è stata “tutti e due”, con l’amore per la letteratura che solo i grandi insegnanti hanno. Il problema sono gli studenti che non possono a 19 anni, unici al mondo, sapere tutta la letteratura italiana che serve, e poi tutta quella latina, e poi tutta quella inglese, e poi le derivate e gli integrali, e poi la fisica, ecc. L’approdo dai programmi ai curricoli è diventato necessario, perché i tuttologi stanno scoppiando e non trovano lavoro.

         Invece l’esame di stato è come il centrocampo di Prandelli contro la Spagna: pieno di gente, utile per non far giocare gli spagnoli e per pareggiare, non efficace per vincere. A me sembra che l’esame di stato per il sistema scolastico italiano sia quello che il “maiale” è stato per i friulani: animale che ha sfamato la mia gente nei tempi di carestia, perché “dal purcit non si bute vie nuie” (dal maiale non si butta via niente). Solo che una volta si mangiava poco e quindi si poteva anche mangiare solo “musetto” e polenta. Oggi invece se si esagera ci si trova con la gotta. Ha imparato a selezionare anche il friulano (che accumulerebbe tutto a casa sua, ma oggi distingue e insegna a distinguere tra un prosciutto di San Daniele e un bel salame grasso), come è possibile che non lo sappia fare il Ministero dell’Istruzione? I curricoli chiedono selezione e invece qui si accumula: si danno compiti complessi, fuori dal mondo, lasciando che le scuole continuino ad insegnare contenuti inutili al mondo del lavoro, ma anche alla cultura degli italiani.

         La prova finale ha carattere formativo e deve essere difficile: concordo. Questo non vuol dire costruirla in modo astruso, irreale, punitivo. Soprattutto alla fine di un anno scolastico pesante, ossessionato dall’esame, per nulla orientativo. Qualcuno si sta rendendo conto che i compiti normalmente valutati durante l’anno 8 vengono valutati 15 all’esame? Perché il 10 no durante l’anno e il 15 sì all’esame? Perché 30 all’orale dell’esame, ma mai 10 durante l’anno? Perché Verga ma non Magris? Perché “La pioggia nel pineto” e non Calvino? Perché Foscolo e non Moravia? Perché vivere in una società culturale che parla solo di Pasolini e non avere tempo di trattarlo a scuola? Perché svilire la filosofia ai quizzetti della terza prova e non chiedere allo studente di cimentarsi con un quesito di filosofia analitica?

         In Finlandia ci sono stato, sanno tutto di noi, leggono le nostre tracce e sanno anche molto bene che non siamo pericolosi. Il FIER (Finnish Institute of Education Research) ha in mano i sistemi di istruzione di tutto il mondo. Vicino alla sua sede (Università di Jyväskylä) c’è anche l’ufficio del Ministero dell’Istruzione della Corea del Sud, che vuole sapere tutto sulla Finlandia in tempo reale. Non comprendo questo desiderio di lasciare la scuola fuori dalla realtà in virtù di un suo carattere formativo intrinseco che non si sa più bene cos’è. Esame severo, ma utile e fatto bene. Che qualifica lo studente e non fornisce alcun titolo di studio con valore legale. Dentro il mondo, non fuori.

        
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