13.01.2015
LA SCUOLA
E I FATTI DI PARIGI: oltre i luoghi comuni
di
Aluisi Tosolini
In questi giorni, dopo gli attacchi
terroristici di Parigi, diversi commentatori hanno puntato la loro
attenzione sulla scuola. Della serie: come è possibile che i terroristi,
cittadini francesi che hanno frequentato la scuola francese (…. ecc.. ecc…
e vai di retorica ….) abbiano fatto quello che hanno fatto. Ergo: a)
la scuola ha fallito; b) dobbiamo ripartire dalla scuola.
Ragionamenti a caldo – pieni di luoghi comuni e di ignoranza – che si erano
già sentiti, ad esempio, in Gran Bretagna per i cittadini inglesi divenuti
terroristi ed attentatori.
Sul tema, ieri, è intervenuto anche il mio amico Maurizio Tiriticco con due
interessanti pezzi.
Provo così anche io a dire la mia. Andando per punti e sapendo bene che non
è certo qui possibile svolgere compiutamente una riflessione che è
particolarmente complessa e non si presta ad essere ridotta a pochi… tweet.
1. La crisi del pensiero illuminista
E’ da qui, dall’illuminismo, che
bisogna ripartire. L’idea centrale dell’illuminismo è che la luce della
ragione è capace di illuminare le tenebre, di far uscire l’umanità dalle
tenebre prodotte da pregiudizi, religioni, ignoranza (Kant dirà “dalla
minorità” in cui l’umanità stessa si è crogiolata per secoli). Metafora
stupenda. Cui si contrappose da subito l’illuminista critico Jean Jacques
Rousseau che, in sintesi estrema, sosteneva che tutti i mali dell’uomo
derivavano dalla cultura (e quindi dalla scuola che la riproduceva e
promuoveva) e che dunque occorreva ripartire dalla natura con il buon Emilio
d tener lontano dalla civiltà proprio per tentare un nuovo inizio.
Detto in altro modo: non si tratta certo di prendere per buone le utopie di
Rousseau ma…. neppure i sogni e le illusioni semplicistiche degli
illuministi. E su questo vedi il punto 2.
Aggiungo solo, qui, che tra le criticità dell’illuminismo va annoverata
l’idea che la ragione avrebbe liberato l’umanità dal fardello negativo delle
religioni viste solo come illusioni utili a tenere buone le masse. Non è
andata così, e non certo solo per motivi storici quanto piuttosto perché tra
ragione e fede non è vi un conflitto insanabile come ritenevano gli
illuministi e poi molti dopo di loro. Non sempre, insomma, la religione è
l’oppio dei popoli.
2. La cultura e l’istruione sono condizioni necessarie ma non sufficienti
Diceva il grande filosofo Hans Georg
Gadamer che il peggiore pregiudizio è sostenere di non aver pregiudizi o di
essersi liberati da tutti i pregiudizi. L’illuminismo ha pensato che grazie
alla diffusione della cultura e all’uso spassionato della ragione l’umanità
si sarebbe liberata da tutti i pregiudizi, dalla violenza, ecc. Anche in
questo caso non è andata così. E il motivo è semplice: la diffusione della
cultura e quindi l’impegno per l’educazione per tutti sono condizione
necessaria ma non sufficiente per il superamento dei pregiudizi. La
conoscenza dell’alterità è fondamentale per rispettare, ad esempio, le altre
religioni e gli altri vissuti valoriali, ma non è sufficiente. Dal conoscere
l’islam o il cristianesimo, i valori fondamentali della democrazia o i
diritti umani non discende in modo automatico (tipo A causa necessariamente
B) un comportamento di rispetto della democrazia o dei diritti umani. Magari
fosse così !
Ma così non è: e lo dimostra, per essere cattivi, la stessa foto dei grandi
della terra che hanno aperto la marcia repubblicana di Parigi l’ 11 gennaio:
20 fra di loro guidano paesi nei quali la libertà di stampa è in serio
pericolo e dove i giornalisti sono incarcerati non perché hanno pubblicato
vignette di dubbio gusto sull’islam ma …notizie ! Forse che Erdogan (per
fare un esempio) non conosce i diritti umani? Basta forse mandarlo a scuola
di diritti umani affinché la liberà di stampa approdi in Turchia? Difficile
da credere!
3. Le condizioni materiali contano più della cultura
Ciò detto come non condividere la
chiusura di uno dei pezzi di Tiriticco: “La
responsabilità dell’educazione è grande, ma quella del contesto reale è
ancora più grande. E la politica, purtroppo, ha sempre la meglio
sull’educazione formale, su quello che si insegna e si apprende sui banchi
di scuola. Politique
d’abord!”.
Semplifico: puoi avere un’ottima scuola e i migliori docenti e persino
apprendere che la cultura ti rende libero e ti permette di comprendere che
tutti gli uomini sono uguali e che tutti siamo – ad esempio – cittadini
francesi con gli stessi diritti e gli stessi doveri, ma se poi vivi in una
squallida banlieu dove i tuoi diritti al lavoro, alla partecipazione civile
ecc restano un sogno, apprendi dalla realtà stessa che a volte la cultura
serve per alienare. O per gettare il germe per la nascita di rivoluzionari o
terroristi.
Seconda conseguenza: è sempre obbligatorio migliorare la scuola ed i
processi di apprendimento per tutti ma, in vista di una società inclusiva,
democratica e interculturale è altrettanto obbligatorio offrire pari
opportunità (di vita, non solo di studio!) a tutti, redistribuire le
ricchezze, eliminare la povertà e le disuguaglianze.
Tema cui, guarda caso, è dedicato il libro dell’anno –
Il capitale del XXI secolo -
pubblicato proprio in Francia da Thomas Piketty e dedicato alla crescita
della disuguaglianza e all’aumento della concentrazione della ricchezza in
un numero sempre minore di mani.
4. il paradosso della scuola
Chi si interessa da anni di società
multiculturale e di transizione verso la dimensione interculturale ha da
sempre descritto lucidamente il paradosso della scuola. Una scuola veramente
interculturale è una scuola pericolosa perché se forma davvero bene le
persone che le sono affidate forma nel contempo persone che comprendono
l’assurdo di una società che nega nei fatti ciò che insegna e ciò che
ritiene essere il proprio fondamento.
Esemplifichiamo per l’Italia. Se una scuola fa davvero formazione nel campo
di “Cittadinanza e Costituzione” non potrà far altro che constatare come la
Costituzione giorno dopo giorno sia contraddetta dalla realtà, dalle scelte
politiche ed economiche e dalle priorità che quanti sono chiamati a
realizzare la Costituzione mettono in campo ogni giorno.
In questo ha ragione l’illuminismo: l’istruzione mette in luce le
contraddizioni, le ipocrisie, le falsità, gli errori. Ma l’istruzione da
sola non può rimediare e, anzi, come dicevamo sopra, porta con sé il
paradosso di allevare dentro di sé i primi critici ed oppositori della
società in cui è inserita proprio grazie (a motivo) della diffusione
dell’istruzione.
5. Ascoltando Bauman
Zygmunt Bauman è uno che se ne
intende di questioni multiculturali. Ieri
Il Corriere della Sera ha raccolto una sua stupenda intervista che
merita di essere letta e meditata.
Bauman è molto noto per aver coniato il concetto di
Modernità Liquida (o società liquida)
che è ormai sulle bocche di tutti. Meno citato, invece, l’altro concetto
chiave della sua riflessione:
scarto.
Rispondendo a una domanda sul romanzo Soumission (Sottomissione) di
cui moltissimo si è parlato prima e dopo il 7 gennaio, Bauman dice: «Soumission
è la seconda grande distopia di Houellebecq. In questo libro l’islamico
Mohammed Ben Abbes vince le elezioni francesi del 2022 testa a testa con
Marine Le Pen, una coppia per nulla casuale, profetica se non riusciremo a
invertire il corso di una storia che ha
tradito le speranze di libertà e uguaglianza riposte nella democrazia. In
tutta Europa assistiamo all’ascesa del sentimento antidemocratico, a una
secessione di massa dei nuovi plebei che confluiscono verso gli opposti
estremi dello spettro politico, attratti dalle promesse dell’autocrazia. La
parola del Profeta diventa così un vessillo dispiegato per chiamare a
raccolta gli umiliati, gli emarginati, gli esclusi, affamati di vendetta».
6. sottomessi …. a chi?
L’intervista di Bauman si conclude
con il riferimento ad un altro vecchio saggio che sta diventando sempre più
l’unica voce critica nonviolenta nella nostra contemporaneità.
Dice Bauman:
«Nella sua prima Esortazione Apostolica (la
Evangelii Gaudium del 2013, ndr ) papa Francesco
ha messo a fuoco la grande sottomissione, la nostra resa a un capitalismo
licenzioso, sfrenato, cieco all’umana miseria. Non troverà risposta più
profonda ed esaustiva a questa domanda. Il Pontefice ha richiamato quella
cultura dello “scarto” che va oltre lo sfruttamento
e bandisce intere popolazioni dai progressi del welfare e della tecnica,
masse che non sono più semplicemente oppresse o marginalizzate, bensì
rimosse dalla comunità, “fuori” dal corpo sociale. Questo non può
essere accettato, a questo dobbiamo opporci».
A questo la scuola e l’istruzione si oppone e si deve opporre. Ma
liberiamoci dall’illusione che la scuola e l’istruzione da sole possano
riuscire in quest’opera titanica.
Del resto, come insegna la vicenda dell’illuminismo….. , alla rivoluzione
culturale fece seguito la rivoluzione politica, sociale ed economica. Con la
prorompente entrata in scena del terzo stato. Forse coloro che continuano a
pensare che il tutto si può risolvere con la sola cultura e la sola
istruzione lo fanno perché non hanno alcuna intenzione di mettere in dubbio
i propri privilegi.