15.06.2013
La Grande Malattia 2
La disabilità e i suoi paradossi
di Raffaele Iosa
I disabili aumentano
In questo secondo articolo scrivo, a proposito di iatrogenesi educativa, su alcuni paradossi che stanno avvenendo nel mondo dei bambini e giovani detti “disabili ex la Legge 104/92”. Ai cosiddetti “altri” che di mese in mese si aggiungono (con la Legge 170 sui DSA e la nota BES di dicembre 2012) rinvio al prossimo n° 3 di questa saga sulla Grande Malattia.
L’ epidemiologia sui disabili è materia poco studiata. I
dati MIUR catalogano tre aree obsolete utili solo per gli organici. Poche
ricerche serie, su territori ristretti, non fanno massa critica di analisi
sistemica. Si sa poco su rapporti (e distorsioni) tra certificazioni,
diagnosi funzionali, PEI, gestione risorse, governance locale. Le rare
ricerche serie evidenziano crescita di nuovi paradossi dati dalla
iatrogenesi, dalla scuola competitiva. dalla crisi economica, con
mutazioni della definizione antropologica stessa di disabilità, mentre la
retorica dell’integrazione resta quella degli anni '70, che come un mantra
ripete ad ogni circolare il “dover essere” (es. sostegno alla classe e non
all’alunno h), mentre poco cambia nelle pratiche reali.
Ma dominano anche le seriose “stime previsionali” della iatrogenesi
arcisicura delle migliaia di nuovi dolori in arrivo: basta cercarle!
Io sono uno dei rari tignosi che dall’80 si occupa invece di statistica
epidemiologica con passione.
Un primo paradosso è presto detto: aumentano gli studenti
certificati, nonostante la “magnifiche sorti” della tecnologia medica e il
salutismo della mitizzata prevenzione.
Utilizzo dati ufficiali sul decennio 2002-2011 nella mia regione, Emilia
Romagna, nota per buoni servizi sociosanitari e rapporti strutturati con
l’istruzione. Qui gli studenti aumentano nel decennio del 23%, mentre quelli
con disabilità aumentano esattamente del doppio, il 46%. E tutto questo
(ecco il paradosso) a fronte di un periodo in cui si è cercato
aggressivamente di prosciugare le certificazioni ex Legge 104/92. Ci hanno
provato vari governi con pratiche più severe di diagnosi, (es. DPCM
185/2006), fino al rito della Commissione Legale e l’intervento INPS per
l’invalidità.
Ci ha provato la Regione, riducendo le categorie ICD-10 certificabili. E’
noto che l’accanimento pare quasi una caccia ai “falsi disabili”, senza
comprendere che c’è altro nell’ aumento, spesso autoprodotto dalle stesse
politiche scolastiche dell’epoca neodarwiniana.
La stessa politica che poi “protegge i DSA” con leggi apposite! La sinistra
intanto piange solo per i tagli ai posti di sostegno (inesistenti), sapendo
poco di ciò che accade nel tessuto sociale del dolore evolutivo.
Oggi non si certificano i DSA, altrimenti le certificazioni sarebbero
quadruplicate! L’indurimento della buro-clinica aumenta paradossalmente
le certificazioni. Ma non è una forma estrema di iatrogenesi, questa, l’aver
iper-clinicizzato la disabilità scolastica? Esito disastroso, dunque!
Il fenomeno non è solo cispadano, il Lazio ha il 3,2% di alunni certificati (+77%), Lombardia e Veneto pari all’Emilia Romagna (+50%). Una tendenza all’aumento che viene da lontano: già la Relazione MPI al Parlamento del 2000 descrive così l’ aumento nel decennio precedente 89 /99: “ Il numero di bambini e ragazzi certificati (pari nel 2000 a 124.155 alunni) è aumentato del 33% dal 1989 al 1999 (da 1.27% a 1.65% della popolazione scolastica). Dunque, fenomeno di lungo periodo. Come si spiega questo aumento nonostante l’ accanita severità? Bella domanda per la nostra ricerca.
Partiamo da due elementi “oggettivi” che spiegano solo in parte l’aumento in questo decennio.
1. Aumentano ancora gli studenti disabili delle scuole superiori, dall’1,56% del 2002 al 2,26 del 2012 rispetto alla popolazione totale delle secondarie. Un bel segno, questo. Nella nostra istruzione superiore passano gran parte dei disabili. E merita ricordare con eccellente successo: nel 2011/2012 terminano gli studi il 72% della media epidemiologica/anno. Giovani alunni una volta nei cronicari.
2. La nostra regione ha avuto nel decennio un elevato ricongiungimento di figli minorenni ai lavoratori emigranti già residenti in Italia. Tutto l’aumento demografico in regione è dovuto a loro. In Emilia Romagna (a.s. 2010-2011) gli alunni disabili con cittadinanza straniera sono il 2,8% della popolazione straniera complessiva, a prescindere da dove sono nati. Dunque percentuale disabile superiore a quella italiana (2,44%), che segnala questioni cliniche interconnesse a quelle socio-economiche, oltre che ad una iatrogenesi che clinicizza questioni linguistiche ed etniche..
3. Più studenti h alle superiori e più stranieri h spiegano solo in parte l’aumento degli alunni disabili nel decennio, vi sono altri elementi di carattere qualitativo. Caratteri già anticipati nel primo articolo sulla Grande Malattia e in un altro del 2012 “Dall’integrazione all’isolazione”, entrambi in www.scuolaoggi.org. Temi di cui scrivo in quasi assoluta solitaria.
Il fatto è che in Italia il “disabile 104” è l’incrocio di numerose varabili (forse da sempre, oggi di più) ben oltre il dato meramente clinico soi disant “oggettivo”. E’ invece un dato sociale, perfino ideologico che muta con gli idola tribus delle diverse epoche. Vale molto in primis l’idea stereotipica di “normalità”. Vale il clinicismo della “salute asintomatica” che recinta ogni difficoltà in disturbi. Vale quanto una società sia aperta-tollerante con le diversità e o invece chiusa e competitiva. Per l’integrazione scolastica vale molto inoltre il cosiddetto “6 ideale-ideologico” degli apparati curricolari: se il 6 sale con il merito e la frenesia dei tanti saperi, i ragazzi out aumentano. Vale se l’organizzazione della scuola degrada: più alunni per classe, meno compresenze, meno flessibilità vuol dire aumento delle certificazioni! Vale la tendenza delle famiglie a cercare per ogni “dolore” dei figli una “scusante” fuori dalla coscienza e dalla volontà (sia genitoriale, sia filiale). La scusante bio-neuro-genica è eccellente viatico all’irresponsabilità. E anche quando il “dolore” ha palesi origini biologiche (es. Down) domina l’azione clinica, si riduce l’engagement familiare e sociale, la scolarità cede ai tecnicismi e ai farmaci, separa rispetto al sostegno diffuso, di reciprocità, di scambio. Vale per l’epoca della “fine della responsabilità” con una diffusa accentuazione delle “attenuanti cliniche” per ogni evento della vita (dalla dislessia agli omicidi).
Aumentano i disabili dunque anche come effetto della ricerca di attenuanti all’insuccesso, davanti alla scuola di oggi così strapazzata. Ma cambia così anche il nostro sguardo ermeneutico sulla diversità: da persona a sintomo, da integrazione a terapia deterministica, con un welfare ristretto all’ invalidità, dominato da punteggi, con effetti strutturali sui redditi, l’ assistenza, l’essere o no dentro la cura. Insomma, l’aumento attuale delle certificazioni è segno di una vasta regressione culturale, che chiude l’epoca dell’inclusione verso un’ isolazione che ospita ragazzi disabili quasi per caso nelle nostre aule. La Grande Malattia è nella scuola, nella società, prima che nei nostri figli.
Altro che ICF e visione bio-psico-sociale olistica!
Disabili non più interi, ma strappati in sintomi a seconda dei poteri
clinici dell’epoca, degli interessi dell’industria della cura, una nuova
Lourdes cui non difettano denaro e la pubblicità. E se la scuola affoga col
mito delle “competenze”, dei punteggi Invalsi equivocamente intesi, la
certificazione è uno strumento di “difesa” piuttosto che un progetto.
Soprattutto se il territorio scolastico è meno amico aperto, più isolato
dalla paura del futuro, la certificazione diventa una perfetta attenuante
per non avere un figlio out. Un super-paradosso!
Sirena straordinaria per genitori afflitti da figli “che non sono come si
dovrebbe” (perché il dolore esiste e resta, certificazioni o meno!).
Dunque: “Meglio un po’ ammalati che cattivi e bocciati”.
Ribadisco per l’ennesima volta: il dolore, le difficoltà
del vivere, le disabilità esistono, eccome!
Anzi, è vero che con l’epoca delle passioni tristi aumentano. Ma è il modo,
la filosofia clinica omologante, l’incrocio tra variabili di quest’epoca,
tra cui l’attuale deriva della scuola, a provocare una mutazione
antropologica che mette in discussione alla radice l’integrazione come
vissuta e amata in Italia fin dagli anni 70. Ribadisco anche che disabilità
motorie, genetiche, sensoriali sono destini che meritano maggiore
attenzione e cura per uno sviluppo dei potenziali di ognuno.
L’esperienza ci insegna che si cresce bene solo con l’inclusione pedagogica.
Ma queste disabilità sono in calo, non in aumento, e non a caso!
Sedare e isolazionare
Non è un caso, infatti, che l’area in grande aumento
certificativo, quella che provoca il paradosso dei numeri, riguarda i
“disturbi” di intelligenza e carattere. Timbrati ora da un’
Inquisizione medica legale, non dai soliti neuropsichiatri infantili troppo
generosi. Come sempre, fin dai tempi del libro Cuore, ciò che “disturba”
(notare l’inversione semantica del termine disturbo) la scuola sono oggi i
bambini “stupidi” e/o “cattivi”. Con certificazioni super-legali, quindi un
epitaffio duro!
Dunque l’intelligenza. La questione del QI torna di moda, ma
attenzione al come! Il presidente Obama lancia grandi progetti di studio
sul “cervello”, in Cina si studiano 100.000 DNA di umani con un Q.I. >160
per trovare “il gene del genio”.
E nell’epoca di una distorta mitizzazione delle “competenze” (e della
competizione), l’intelligenza torna misura sacra e spartiacque: non più
“diverse intelligenze” (Gardner) ma alte, medie basse.
Ritorna il vecchio Eysenk senza una discussione scientifica ed ermeneutica
di cosa sia oggi intelligere.
Uno spartiacque fondato su test scolasticistici centrati sul “6
ideale-ideologico”, e (per gli stranieri) colonialisti. Non è il riflesso
anche del ritorno dei voti nella scuola di base? E’ un caso che la Legge 517
/77 integrava i disabili e contemporaneamente aboliva i voti?
Dominano fantasiose teorie deterministiche sull’intelligenza pre-derminante
l’esperienza, anche se i più buoni pensano che “qualcosa si può aumentare”,
ma solo (appunto) con “buone tecniche” separative.
Tutti argomenti di cui abbiamo continui segnali para-scientifici su cui si
fanno cattedre, master, formazioni utilitaristiche. Una dura sfida al
pedagogico, il rischio che l’integrazione come “speciale normalità” diventi
“speciale specialismo” che isola la persona, messa all’angolo del suo
“livello intellettivo” e non dentro tutte le diverse intelligenze mescolate
nella classe. E, d’altra parte, lo stesso Invalsi ordina di non contare
proprio questi bambini stupidotti o cattivacci con disturbi vari, perché
“rovinano il vestito” della scuola.
Bocciare è sgradevole, però come si fa?... Poveri insegnanti, travolti dalle
risorse ridotte, travolti dal mito che competenze e “società della
conoscenza” vogliano dire “fare tanto”, non “fare bene”. Segnalo il
paradossale (non casuale in questo discorso) iato nelle Nuove Indicazioni,
dove la premessa moreniana (complessità, la crisi del dualismo cartesiano,
ecc.) è seguita da conoscenze e competenze (si scusi il bisticcio)…a iosa.
Siamo alla testa ben piena, non alla testa ben fatta. Soprattutto alla testa
omologata. Nessuna divergenza è più normale. Venti anni fa questi bambini
“stupidini” non sarebbero mai stati certificati, ma accolti con le loro
diverse intelligenze in una scuola più lenta, più accogliente, più aperta
alle differenze di quella odierna.
Sull’aumento delle certificazioni per disturbi di “carattere e personalità” che “disturbano” la scuola (es. oppositività e condotta) ci ha già insegnato tutto Faucault. L’omologazione comportamentale è premuta da una società adulta tanto anarchica, individualista e oscena negli adulti, quanto severa verso i “bambini cattivi” e non omologati al bon ton e al sano consumismo. I ragazzi stranieri in quest’area, abbondantemente certificati, pagano due volte, per la loro “diversa” intelligenza, e stili di vita. Al. “separare e punire” illuminista si sta sostituendo il “sedare e curare” della post modernità. Il mito è il Ritalin, e tutto ciò che per scorciatoie riduce l’etica della responsabilità, la dialettica tra bene e male, l’idea di colpa, il conflitto come sviluppo. Si omologano le persone a cloni asintomatici sorridenti alla modernità consumista. Il pensiero critico che è stato utile in passato per de-istituzionalizzare e umanizzare le differenze è oggi considerato “relitto del 68”.
Naturalmente, in fatto di intelligenza e
carattere/personalità non neghiamo la sofferenza diffusa e le difficoltà
della scuola. Arrivo anche a capire (ma ne
soffro per il paradosso) che in un epoca triste davanti ad un figlio con un
carattere particolare la certificazione diventi non un “progetto di vita” ma
una specie di “auto-difesa individualistica protettiva” da un mondo
frenetico e duro.
Per la scuola diventa anche una crisi dell’ottimismo pedagogico. Anche per
lei la certificazione diventa una difesa, nell’epoca della tristezza e della
penuria.. La malattia clinicamente legittimata rende tutto più semplice e
nessuno colpevole. Ma non c’è salvezza né rimedio (art. 3 Costituzione),
solo terapia e adattamento. Insomma, se qualcosa non va è fuori
dalla coscienza.
Ma c’è di più. Con la Legge 170 e la CM del dicembre 2012 sui BES la
clinicizzazione e separazione dei “bambini inadeguati” continua
semplicemente “allargando il recinto iatrogeno”, garantendo non pro-getti ma
malintese pro-tezioni compensative/dispensative (notare anche qui il gioco
semantico del –pro) senza riflettere sull’idea di persona, di differenza,
di contesto educativo, e di quell’incrocio complesso di tante variabili
presentato sopra. Un modo che rischia di aumentare l’isolazione, ovviamente
anche se si continua a scrivere il solito mantra sulla “partecipazione di
tutti al progetto pedagogico”. La sanitarizzazione dei BES come un fatto
naturale ed anzi benevolo. Su questo tema scriverò ampiamente nel terzo
articolo di questa saga. Faccio qui solo notare che i BES da recintare sono
vicini ai “disturbi” di intelligenza e carattere già in aumento nei
disabili. Quindi il tormentone stupidi-cattivi aumenta! E tutto questo,
mentre l’UNESCO da molti anni, soprattutto dopo l’introduzione dell’ICF,
chiede a viva voce di abrogare il termine BES, perché con la
globalizzazione ed una visione psico-socio-biologica il “bisogno” non è mai
speciale, ma terreno comune dell’eterogeneità umana e sociale del presente.
Lo sapeva dell’UNESCO chi ha scritto la nota BES? Siamo ancora i primi in
Europa?
La babele
scientifica e le lobby
I paradossi iatrogeni derivano anche dall’enorme aumento
delle ricerca scientista sull’area umana. Con risultati importanti, come ad
esempio la tecnologia cocleare per i sordi, che pure lascia libertà a chi
preferisce la lingua dei segni. Ma in molte aree del dolore, e non a caso
soprattutto in quelle dell’intelligenze e del carattere, la babele
scientista è elevata: 28.000 riviste accademiche pubblicano milioni di
ricerche impossibili da confrontare. Le teorie e i loro fans si scontrano,
le cosiddette “Linee guida” che il Ministero Sanità produce (che dovrebbero
essere indipendenti) sono terreno di conflitti durissimi, perfino politici.
Si pensi all’autismo: si tratta di un’epidemia o di una ri-definizione di
disabilità una volta descritte con altri codici? In un solo giorno i mass
media segnalano una ricerca USA su 14 bambini che individua un rapporto tra
autismo e forma della placenta, con nuovi sogni sull’utilizzo di staminali.
Una manifestazione contro i radar NATO di Sigonella presenta una ricerca USA
sul rapporto tra autismo e radiazioni. E che dire di chi collega l’autismo
alle vaccinazioni? Paradossale, però, è che le ricerche più prestigiose
sulle eziologie dei dolori moderni sono vaghe e senza prove certe, ma
fideisticamente tutte sicure che “certamente è a base biologica e anche
genetica”. Ognuna con i suoi neuroni e con i suoi geni. Sui DSA sono più
“giuste” le teorie di Giacomo Stella o quelle di Piero Crispiani, entrambi
accademici ma di diversa scuola? Grande confusione sotto il cielo, nuovi
miti per la famiglie, raccolta fondi per la ricerca.
Accompagna la babele l’esplosione di associazioni e movimenti, a carattere
volontaristico, di famiglie “a difesa” di una certa teoria clinica. Con il
delicato fenomeno che a questi gruppi sono iscritti anche i clinici e i
ricercatori. Per carità, nulla di male, ma non vi è una distorsione
deontologica tra ruoli? Non nascono così, e non sempre bene, nuove lobby
di pressione l’un contro l’altra armata? E tutti questi naturalmente a
dire che “la scuola è ignorante”, che si devono fare master, e che i
Ministeri devono accogliere le loro tesi.
Fenomeni emotivi di iatrogenesi riducono l’indipendenze scientifica, si
confonde la deontologia con la fede carismatica, girano interessi e
miracoli. Per fortuna la cara e sana FISH cerca di andare oltre i rischi
lobbystici, ma che fatica a trovare relazioni serene e di reciproco dialogo
tra tutti!
Il sostegno
iatrogeno isolante
Un altro paradosso emerge dalla ricerca regionale: il
grande aumento dei docenti di sostegno nel decennio, +65% a fronte del (lo
ricordo) del +46” dei disabili. Gli educatori degli enti locali non sono
calati nonostante la crisi economica. Eppure nessuno ci crede, i mass media
e il dire comune enfatizzano i “tagli sui più deboli”. Nel 2002/2003 i
docenti di sostegno erano in rapporto di 1 ogni 2,25 alunni con disabilità.
Nel 2011/2012 il rapporto è 2,06. Gli insegnanti curricolari sono
aumentati nel decennio del 3% a fronte di un aumento della popolazione del
23%. Dunque: gli insegnanti di sostegno sono passati dal 10% del 2002/2003
al 16% della popolazione docente regionale. Dunque, perchè questo malessere?
Da cosa deriva questa sconcertante miopia?
Naturalmente una prosaica ragione c’è e i dati lo dicono: con un aumento del
23% degli studenti e solo del 3% degli insegnanti accade una brutta
complicazione organizzativa-didattica nella scuola: aumento alunni/classe,
prosciugamento compresenze. Da qui lo spostamento (quasi freudiano) della
sofferenza scolastica complessiva (classi eterogenee, poche risorse) sui
posti di sostegno come “aiuto indiretto” alla crisi di personale. Dunque il
MIUR, poco attento, da una parte ha tagliato e dall’altra ha dovuto dare,
con scarsi risparmi ma con maggiore confusione e mala scuola.
Inoltre noto che le uniche “battaglie” fatte dai genitori dei disabili non
sono state per avere “meno alunni per classe” o “più integrazione del figlio
in classe”, ma esattamente l’opposto: solo sostegno, sostegno, e ancora
sostegno fino alla copertura 1:1. Da qui la Sentenza della Corte
Costituzionale e la nuova babele sulla “valutazione di gravità”. Mai periodo
è stato peggiore e più confuso per riflettere seriamente sull’inclusione.
Tutto questo aumenta l’effetto della iatrogenesi e l’uso del tecnicismo che
pensano ormai la scolarizzazione disabile in chiave “speciale” e non
inclusiva.
Leggo e sento, intanto, movimenti dei sostegni precari che criticano USP e
ASL perché “certificano poco” e perfino “perché ci sono troppi educatori
delle cooperative”. Una guerra tra poveri che nasconde il disabile come
“pretesto”, come ci insegnò Marinella Longhi in un magnifico libro degli
anni 80 dal titolo profetico “Più che un bambino un pretesto”, sul
corporativismo degli organici.
La fame di sostegno, la ricerca di un posto a prescindere: perfetti
interfaccia della sanitarizzazione. Con il disimpegno ministeriale sulla
formazione di tutti i docenti, e la vergognosa incapacità dei sindacati
ancora chiusi nella buro-pedagogia delle graduatorie formali che sfavorisce
la continuità dei sostegni. E adesso i timori che per i BES si debbano
spalmare i sostegni La disabilità come merce di altro, triste paradosso del
miglior ex-paese al mondo in fatto di integrazione.
Tutto ciò accade mentre cresce una neo-fatica dell’insegnare connessa non ai
numeri (o non solo a questo) ma alla nuova complessità esistenziale
presente nei nostri studenti, che è universale e non restringibile in
recinti algoritmici. La novità sta in una inedita eterogeneità sociale
diffusa tra bambini e ragazzi che rende complessa la gestione d’aula.
L’eterogeneità è la vera novità della post.modernità a questo inizio secolo,
impone didattiche nuove, flessibili. Per tutti, non per coloro che entrano
secondo la iatrogenesi di moda. Sarà la ri-composizione della disarmonia il
futuro (possibile) della pedagogia, senza omologazioni, recinti, isole. La
disarmonia non compresa e anzi costretta alla certificazione, accompagnata
dalla tristezza, fa chiudere genitori, insegnanti, società in una paura del
presente e delle nuove relazioni eterogenee. Non c’è dubbio gli snodi
critici non sono dentro la scuola o quanto meno solo dentro di essa, ma in
quello che in pedagogia, sociologia, filosofia, politica consideriamo
persona, relazione, amicizia, bene e male, etica, solidarietà.
Nel quinto articolo cercherò di tirare le fila, ma certo
già da ora devo ammettere che, a leggere questi dati, la legge 104 non
regge più, che le novità isolazioniste degli ultimi anni piuttosto che
aiutare complicano. Ci vuole uno sguardo alto, un po’ di più almeno della
conta di quante ore di sostegno diamo a questo o a quello.
Ci vuole che la pedagogia ripensi a pensare e a dire.