Ebook ed editoria digitale
Intervista ad Agostino Quadrino, a cura di R. Palermo
Sul tema degli e-book e della editoria digitale abbiamo posto alcune domande ad Agostino Quadrino, direttore editoriale di Garamond.
Ecco il testo dell'intervista.
Qualche giorno fa il ministro Carrozza ha detto che il problema degli e-book è della massima urgenza. Lei cosa ne pensa ?
Non so se sia stata esattamente questa l'espressione della Ministra Carrozza, in quanto non credo che gli ebook costituiscano un "problema" (semmai lo e' il perdurante ritardo che il nostro Paese accusa nella loro diffusione, e non solo nel settore scuola), ne' ritengo che in ogni caso questo rappresenti una "massima urgenza" nella scuola italiana.
E' infatti sotto gli occhi di tutti cio' che costituisce "massima urgenza": primariamente un riconoscimento decoroso della professionalita' docente, in tutte le sue componenti, a partire da quelle contrattuali, attualmente non degne di un Paese civile; in generale, della "massima urgenza" e' un riallineamento degli investimenti pubblici nella scuola statale, scaduti agli ultimi posti delle classifiche internazionali, con le disastrose conseguenze sull'efficienza del sistema dell'istruzione che tutte le famiglie, gli studenti, i docenti e i dirigenti italiani ben conoscono; infine, della "massima urgenza" e' anche una revisione seria e complessiva degli ordinamenti e della strutturazione dell'offerta formativa, rimasta ancorata a modelli culturali e sociali nemmeno del secolo scorso, ma per certi aspetti dell'Ottocento.
Detto questo, penso che certamente fra le priorita' da affrontare ci sia quella dei modelli di comunicazione e acquisizione delle conoscenze e delle competenze, che naturalmente passa anche dalle modalita' di produzione, diffusione e fruizione dei contenuti didattici.
Cosa è oggi, in Italia, l’editoria digitale ? Molti temono che sia solo un business, altri pensano che si tratti di un argomento buono per i dibattiti da salotto.
Ma può rappresentare almeno in parte un nuovo modello di produzione culturale che potrebbe introdurre anche elementi di maggiore equità nei processi di formazione ?
L'editoria digitale scolastica oggi, in Italia, e' un tabu'. Lo e' per molti soggetti in gioco: gli editori scolastici tradizionali per primi - che per esempio non partecipano nemmeno ai rari progetti di innovazione promossi dal Ministero - e con tutte le loro forze si oppongono ad ogni minimo tentativo di cambiamento, perseguendo una politica del continuo rinvio dell'introduzione del digitale, nella pervicace difesa di una posizione corporativa anacronistica ed isolata, ma molto redditizia, visto il contributo di circa 800 milioni di euro all'anno che i libri di testo a stampa forniscono ai fatturati delle aziende editoriali, che peraltro vanno per circa il 70% alle quattro aziende dominanti, fra le quali quella di un anziano e pregiudicato capo partito...
E' un tabu' anche per molti docenti, che si sentono piu' sicuri con il classico manuale con cui magari hanno studiato anche loro trenta o piu' anni fa, e che in alcuni casi considerano gli strumenti e i linguagggi digitali come qualcosa da tenere fuori dalle aule scolastiche, presumendo che siano ambienti di sola distrazione poco adatti alla "fatica del concetto", rivelando cosi' un'idea di apprendimento molto lontana dai risultati delle piu' recenti ricerche psico-pedagogiche...
E' un tabu' per una grande maggioranza di dirigenti scolastici, che non hanno il coraggio - come invece dimostrano alcuni fra loro, che meritano il massimo apprezzamento - di rimettere in discussione nei loro collegi il vecchio ed oramai insensato meccanismo del "libro di testo in adozione", che impone (senza peraltro nessuna base prescrittiva) una uniformita' ed esclusivita' di fonti totalmente superata dalla attitudine oramai "naturale" ad accedere a conoscenze e saperi plurali e molteplici, come in rete tutti sono indotti a fare.
Non e' un tabu' invece, ne' tanto meno un "problema" studiare, informarsi, acquisire conoscenze e comunicare con gli strumenti digitali da parte degli studenti: e' la cosa che fanno sempre, tutto il giorno, e con ogni mezzo mobile o fisso, il linguaggio con cui si esprimono e in pratica l'ambiente nel quale vivono: solo nella scuola (italiana) questo ambiente oramai primario e naturale continua a non avere cittadinanza, e questo e' davvero sconcertante...
Quanto al tema del "business" debbo dire che resto sempre esterrefatto quando sento diversi rappresentanti del mondo scolastico, anche in campo sindacale, mettere in discussione le innovazioni che si potrebbero introdurre con l'abolizione del libro di testo in adozione e la liberalizzazione della diffusione dei contenuti digitali, con cui si consentirebbe un enorme risparmio alle famiglie a fronte di una apertura ad una pluralistica offerta non piu' concentrata nel "business" di tre o quattro grandi gruppi industriali e finanziari, che ottengono ogni anno i ricavi sopra menzionati, in un contesto di cartello protetto e sicuro: di questo (vero) "business" mi pare siano preoccupati in pochi, e cio' che mi risulta incredibile e' che tali orientamenti prevalgano soprattutto a sinistra, dove mi sembra che invece andrebbero difese piu' le istanze delle famiglie, delle loro difficolta' economiche e della molteplicita' democratica dei saperi e delle fonti, che quelle di aziende di cui sono proprietari banche, finanziarie, industrie o capi di partito.
La sensazione però è che oggi esista ancora un pesante divario fra le potenzialità degli strumenti disponibili e le attrezzature modeste e obsolete delle scuole. Che c’è di vero in questa sensazione ?
Il punto secondo me non e' questo, pur essendo evidente che le risorse tecniche e soprattutto metodologiche non sono uniformemente distribuite nella scuola italiana.
Il punto vero, che e' a mio avviso anche la ragione ultima della contrarieta' all'innovazione digitale del mondo editoriale tradizionale (Garamond e' uscita anni fa dall'Associazione Italiana Editori proprio per questo), e' che con il digitale decade il principio e la garanzia tecnica (la stampa e i relativi mezzi di produzione e distribuzione) della proprieta' privata della conoscenza. I contenuti in formati digitale non sono materialmente tutelabili con la logica del copyright, essendo spesso frutto di un lavoro collettivo e avvalendosi di contributi multimediali disponibili in Rete, soprattutto in formati aperti e licenze "Creative Commons".
Per natura la Rete e il formato digitale incentivano la collaborazione educativa, la costruzione del sapere non piu' come risultato di un investimento industriale, ma come frutto del confronto e della cooperazione, in una prospettiva di conoscenza come bene comune che evidentemente chi ha il potere sul sapere non vuole che prevalga, come invece a mio avviso presto accadra'.