27.04.2013
L'educazione è la nemica della
saggezza...
di Cosimo De Nitto
"L'educazione è la nemica della saggezza, perché l'educazione rende necessarie tante cose, di cui, per esser saggi, si dovrebbe fare a meno." (Pirandello)
La cosa che più colpisce nella
parte del documento dei "saggi" dedicata alla scuola è il linguaggio. Un
perfetto euroburocratese. Sembra di leggere un brano dei vari documenti,
"raccomandazioni", analisi che l'euroburocrazia dedica alla scuola.
E' un fatto positivo che si siano ricordati della scuola (di questi tempi),
ma sono, a mio avviso, estremamente limitati, riduttivi, privi di un
orizzonte progettuale i termini in cui l'hanno fatto.
D'altronde se chiamano a scrivere di scuola economisti o comunque esperti
che adottano come unico approccio quello economicistico cosa ci si può
aspettare d'altro se non parole-concetti-paradigmi come: produttività,
capitale umano, performance, filiera, sostenibilità, (economica), ecc?
Che l'approccio sia economicistico lo dimostrano gli interventi a breve
termine (ma come si fa a concepire un breve termine se non inserito in una
visione strategica a "lungo termine"?) suggeriti: abbandono scolastico,
merito, salute, digitale.
"Contrastare l’abbandono
scolastico", perché?
Perché bisogna attuare il principio costituzionale della eguaglianza delle
opportunità e del diritto allo studio? No.
Perché non c'è cittadinanza senza istruzione, senza cultura, senza saperi
vecchi e nuovi? No.
Perché la conoscenza è parametro imprescindibile di civiltà? No.
Il perché ce lo dicono i "saggi":
"perché la forza lavoro (non i cittadini, non le persone) non avrà le
competenze richieste dai processi produttivi in rapida evoluzione";
“perché nella peggiore (delle ipotesi) genererà emarginazione e rischi per
la sicurezza in numerose aree, specialmente nelle grandi città."
Ecco detti i motivi per cui, secondo i "saggi", combattere l'abbandono
scolastico: per avere una buona forza lavoro che produca, e per motivi di
ordine pubblico, per avere meno delinquenti in giro. Gli istituti di pena
costano.
Ma siamo sicuri che la parola "abbandono" rifletta e interpreti
correttamente la realtà? L'abbandono è un atto volontario, e così infatti è
all'apparenza. In realtà si tratta di "espulsione" dei soggetti deboli che
non riescono ad integrarsi, nè ad essere integrati, nel sistema scolastico.
Nemmeno la parola "dispersione" rende pienamente il senso del processo, ma è
già molto meglio di abbandono". Bisogna ammettere, però, che la parola
"abbandono", scaricando sulla volontà del soggetto l'uscita dal circuito
formativo, tranquillizza di più l'animo dei decisori circa le responsabilità
del fenomeno.
La ricetta che offrono i "saggi"? "Il
prolungamento della scuola al pomeriggio negli anni del primo ciclo".
Peccato che questa è una "vecchia" ricetta, la quale, una volta, si chiamava
"tempo pieno", che non è il "tempo prolungato" che c'è ora, se c'è e dove
c'è. Assomigliava genericamente a ciò che i “saggi” suggeriscono
relativamente ai contenuti e attività pomeridiane.
Si chiamava "tempo pieno" prima che il ministro Gelmini l'abolisse, insieme
al "modulo", per tornare al "maestro unico" e a un tempo scuola corto. Il
ministro Profumo ha confermato tutto. Perché il ministro Gelmini ha operato
questi tagli di personale, tempo scuola, modelli scolastici basati sul tempo
pieno, sperimentazioni?
Per lo stesso principio che ispira i saggi, per lo stesso paradigma
economicistico, che nella scuola e nel sistema formativo non può essere nè
l'unico, nè il principale.
Il modulo che prevedeva tre insegnanti su due classi era una risposta
efficace per prevenire i processi che portano all'abbandono. Permetteva
interventi di recupero, integrativi, compensativi, di riallineamento che
evitavano le frustrazioni del fallimento scolastico, la demotivazione, tutti
fattori che sono alla base della dispersione.
Promuovere il merito, aumentare
le opportunità.
In questo capitolo si riduce il problema del "merito" ai fondi per il
diritto allo studio da aumentare. Il problema viene approcciato dalla parte
del risultato, mentre ancor prima e ancor più deve essere approcciato dalla
parte del processo. Che il fondo per il diritto allo studio debba essere
aumentato notevolmente è da condividere certamente, ma il problema centrale
è quello di un sistema che deve "produrre" merito, cioè qualità della
formazione.
Investire in istruzione per
migliorare la salute e ridurre i costi del sistema sanitario.
In una vita di lavoro nella scuola, in tutti i documenti, libri, corsi
di aggiornamento, letture ecc. ho sentito attribuire alla scuola moltissime
finalità. Alcune aderenti, pertinenti, altre più di contorno, altre poco
probabili, altre improprie, altre ancora poco attinenti. Il fine di ridurre
i costi del sistema sanitario nazionale francamente è la prima volta che lo
sento. Mi sembra di avere per merenda il classico cavolo. Provo a introdurre
qualche ragionamento.
L'istruzione, riprendendo il paradigma economicistico, è finalizzata alla riduzione della spesa. Non solo non deve spendere, ma deve altresì "produrre" riduzione di spesa di altri comparti. Compiti che, senza esagerare, sembrano più propri per un ministero economico che della pubblica istruzione.
La riduzione dei costi del servizio sanitario tecnicamente e in primaria istanza è un compito che riguarda la sanità; le iniziative che la sanità deve prendere nei confronti della società, da quelle che riguardano le campagne di comunicazione sociale, fino a iniziative settoriali verso situazioni specifiche di malessere sociale, abitudini e stili di vita dannosi per la salute ecc. sono a carico della sanità, nessuno può essere più accreditato della sanità, è il suo “mestiere”, sono le sue competenze.
Se qualsiasi aspetto della vita sociale che comporti relazioni educative si fa ricadere sulla scuola (la questione delle educazioni) allora la scuola dovrebbe fare tutto, tranne che scuola. Sarebbe quanto meno strano se alla fine la scuola facesse tutti i mestieri di questo mondo, tranne che insegnare a "leggere, scrivere, far di conto", o, come gli stessi "saggi" auspicano, "il rafforzamento delle competenze di base: comprensione dei testi, competenze logico-matematiche e applicazione del metodo scientifico".
Infine, saranno "saggi" ma non sono informati del fatto che iniziative generali e specifiche di "educazione alla salute" nelle scuole italiane ce ne sono un'infinità, troppe persino, dal mio punto di vista.
La scuola digitale e la cultura
dei dati.
Ormai è un mantra che ci sentiamo ripetere ossessivamente. Su questo
tema, dirò molto sbrigativamente, si fa più propaganda che fatti. Fatti seri
intendo. A parte le carenze infinite, la mancanza di investimenti,
strutture, ambienti ecc. manca una strategia seria che renda "compatibili"
“questa” scuola e le nuove tecnologie. Manca l'intermediazione umana,
intelligente, esperta, matura, consapevole delle potenzialità, ma anche dei
punti critici delle nuove tecnologie. Non è da scuola mettere al centro lo
strumento e non il soggetto che si deve formare (non istruire).
Conclusione
Del trittico inscindibile "istruzione, formazione, educazione" che è
alla base di un sistema scolastico degno di questo nome, i "saggi" sembrano
interessati solo all'istruzione, agli aspetti più pragmatici, finalizzati ad
un mercato del lavoro che allo stato attuale delle cose è più virtuale che
reale, e che ha bisogno di ben altri interventi. Non è della semplice
istruzione, dell'addestramento professionale che ha bisogno la nostra
società, non solo di lavoratori capaci e competenti, ma anche di cittadini
responsabili e persone mature, consapevoli, capaci di ritagliarsi un ruolo
in questo difficile e complicato mondo. Non si può parlare di scuola se non
si parte e se non si arriva alla Costituzione. Per farlo occorre un
progetto, una visione della società e dei processi sociali di largo e lungo
respiro. Ci vogliono, insomma, altri “saggi”.