02.07.2014
Progressione di carriera e figure di sistema: perché sì
di
Antonio Valentino
In un ragionamento “2.0” come si dice adesso, sulla progressione di carriera – che leghi il riconoscimento dello sviluppo professionale soprattutto al funzionamento didattico-organizzativo della scuola - assume urgente centralità il problema delle funzioni: quelle cosiddette strumentali e di collaborazione (in genere, aggiuntive all’insegnamento) e quelle necessarie per dare adeguata funzionalità e qualità al sistema.
L’urgenza deriva dal fatto che garantire un funzionamento delle scuole
- che ci aiuti a superare l’attuale situazione di progressivo, diffuso
declino - e ripartire è un must difficilmente contestabile.
La centralità si spiega con l’ovvia considerazione che, senza risorse
professionali adeguate allo scopo, ogni altro discorso diventa difficile, se
non addirittura vano.
Va anche aggiunto che tale centralità acquista un senso più profondo e
potenzialmente efficace se l’idea di scuola che andiamo a privilegiare tende
a sconfiggere definitivamente la visione diffusa dell’insegnante impiegato
delle stato e a dare concretezza ad un disegno che punti a
coinvolgerlo direttamente nel funzionamento didattico organizzativo e a
conferirgli ruolo incisivo e responsabilità.
In altri termini: a favorire, anche attraverso una diversa progressione di
carriera, l’assunzione responsabile di compiti ormai imprescindibili,
in una situazione di crescente complessità del fare scuola e di innovazioni
a 180 gradi.
Resta ovviamente centrale la figura leader del DS che è chiamato
comunque a ridefinire il suo profilo privilegiando quei tratti della
professione che sappiano garantire clima collaborativo, efficacia operativa,
orientamento a risultati condivisi e competenze decisionali per garantirli.
È a
motivo dell’accresciuta complessità – che nasce non solo dai “numeri”, ma
anche da nuove attese, domande, responsabilità - che funzioni di supporto
didattico-organizzativo e nuovi ruoli non possono più essere, pertanto,
un optional. Essendo ormai elementi imprescindibili per garantire il
servizio scolastico e i risultati attesi.
È tale complessità a richiedere, per il suo funzionamento (della scuola,
intendo, come servizio e come istituzione), il coinvolgimento e l’impegno
in modo stabile di un buon numero di professionisti ‘scolastici’.
La questione non può perciò essere risolta solo con incentivi temporanei,
tra l’altro sempre più ridotti. Occorre favorire le disponibilità a
impegnarsi su questi terreni e dare stabilità e continuità alle figure che
se ne fanno carico.
Allora, una diversa progressione di carriera, che a) tenga conto delle
necessità di funzionamento non più affidato alla buona volontà di qualche
docente; b) renda possibile, in primo luogo, la valorizzazione di
particolari competenze professionali (e quindi la formazione e il
riconoscimento di figure stabili), costituisce
leva fondamentale per qualsiasi
operazione di rinnovamento e miglioramento. Oltre che – aggiungerei -
misura di equità, in quanto riconosce e apprezza, favorendoli,
impegni oggi “aggiuntivi” che non possono più rimanere tali.
Sul discorso delle funzioni - e corrispondenti figure - il dibattito è
aperto da un paio di decenni almeno. Il passaggio all’autonomia e le
esperienze didattiche e organizzative riconducibili ad essa - e non solo ad
essa - hanno permesso di approdare a proposte che, con accenti e sensibilità
diverse, hanno non pochi punti in comune[1].
Interrogativi
Alla luce di queste considerazioni a premessa, gli interrogativi diventano allora:
quali funzioni e quante figure; anche in relazione ai diversi ordini di scuola e ai diversificati bisogni legati alle specificità territoriali del paese
quale la loro natura. Cioè: quale è il salto che va previsto rispetto alle vecchie funzioni obiettivo, alle attuali funzioni strumentali – ma anche rispetto alle “figure di sistema” previste in un provvedimento legislativo nientemeno che della fine defli anni ’80 (L. n. 426/’88) – (mai andato in porto per ragioni soprattutto economiche ),
quale la loro collocazione in una idea di leadership di scuola collaborativa e diffusa.
Ovviamente le risposte a tali interrogativi vanno lette e considerate alla luce dell’insieme delle questioni che riguardano una diversa progressione di carriera. A partire dalle ragioni che ne motivano le scelte, ma anche:
a) dai percorsi e dalle tappe possibili (livelli),
b) dai crediti per accedervi,
c) dai riconoscimenti economici,
d) dalla valutazione (soggetti e modalità), ai fini dell’assegnazione dei crediti,
e) dalle responsabilità rispetto ai vari passaggi (chi e in che modo verifica la corretezza delle operazioni e garantisce l’applicazione uniforme delle regole a livello nazionale).
È anche opportuno, in tale ricerca, mettere in conto –
per approfondendola e favorirla - la possibilità, in questa fase di
ristrettezze economiche, di sperimentazioni su progetti nazionali
(ovviamente non a costo zero) che dovrebbero permettere alle scuole, che
hanno interesse e volontà, di mettersi alla prova e di contribuire a
costruire un modello da estendere eventualmente poi alle altre istituzioni.
Ma su tali questioni, il dibattito, da parecchio tempo avviato[2],
stenta a intravedere una soluzione[3].
Nel merito delle figure
che coprono le variegate funzioni già da tempo esplorate e sperimentate:
che debbano essere stabili, è convinzione sempre più diffusa e da
condividere.
Che tali funzioni debbano essere considerate di sistema - nel senso
che a tutte le scuole, in coerenza con l’ordine a cui appartengono, vanno
garantite in misura congruente con il numero di studenti e le loro
caratteristiche -, mi sembrerebbe anche questo abbastanza ovvio.
Che debbano altresi, per essere di sistema, essere declinate
opportunamente, in termini di indicatori per permettere rilevazioni
significative e valutabili, mi sembra anche questa una opzione da
condividere.
Ovviamente, parlare di funzioni, da garantire a livello di sistema,
significa porsi il problema di una loro probabile “legificazione”.
Interrogativi si pongono anche - e in misura considerevole - rispetto alla
natura di queste funzioni. Fiorella Farinell, nel saggio citato[4]
tende a considerarle tutte specialistiche.
Io tenderei piuttosto a distinguere le funzioni di alcune aree di intervento
rispetto ad altre. Se per alcune non ho difficoltà a considerarle
specialistiche
(quelle per esempio delle aree 5 e 6 del Quadro “Area
di intervento e funzioni”
[v.
sotto] di un precedente contributo - v. nota 3), per le altre (quelle delle
prime quattro aree; per meglio intenderci – e semplificando -, quelle di
collaborazione e presidio e di coordinamento didattico-organizzativo),
preferirei
piuttosto parlare di funzioni potenziate (riconosco che la locuzione non è
delle più felici). Nel senso che si tratta di funzioni riconducibili lato
sensu all’attuale profilo docente, ma che si sviluppano così da
includere competenze organizzative, relazionali e progettuali-gestionali che
si collocano ad un livello più elevato rispetto a quelle che si esercitano
nel lavoro d’aula (d’altra parte, già oggi in molte scuole tali competenze
si vedono, in buona misura, all’opera).
(Nessuna voglia, però, di spaccare il capello in quattro. Considerato che si
tratta di questioni che, sia detto con molto senso di ottimismo, chissà in
quale decennio del prossimo secolo potranno probabilmente tagliare il
traguardo. Comunque, non si sa mai.)
Area di intervento e funzioni. Ipotesi di lavoro (Quadro) 1. Coordinamento didattico-organizzativo (dipartimenti, consigli classi parallele, gruppi di progetto …) 2. Collaborazione gestionale 3. Orientamento tutoring counseling 4. Cura e sviluppo laboratori, spazi, arredi 5. Valutazione e sviluppo Valutazione – Autovalutazione delle scuole Rilevazioni statistiche nazionali e internazionali Aggiornamento e formazione Tecnologie informatiche 6. Coordinamento territoriale Rapporti col territorio e, in modo particolare, per la secondaria di secondo grado, con le imprese, e alternanza scuola lavoro Reti Progetti europei |
Quanto alle voci di una sua possibile articolazione, quelle di seguito considerate potrebbero fornire alcune indicazioni, per quanto ancora approssimative:
Formazione e profilo:
per entrambe le tipologie di funzioni andrebbero previsti percorsi
formativi ad hoc. Specifiche (di settore) per quelle specialistiche;
“unitarie”, perché più prossime alle competenze professionali dei docenti,
e quindi intercambiabili, per le altre.
Stabilità
sulle funzioni:
mentre le figure specialistiche sono stabili sulla specifica funzione,
quelle ricondicibili alle attività di coordinamento potrebbero utilmente
ruotare, dopo un esercizio continuativo di qualche anno (tre?), sulle
diverse articolazioni del Collegio (dipartimenti, commissioni, …).
Potrebbero essere così evitati alcuni rischi legati alla fissità degli
incarichi e garantire nello stesso tempo la continuità necessaria allo
sviluppo e alla valorizzazione delle esperienze maturate.
Orario di
servizio:
le figure specialistiche potrebbero essere utilizzate, nei nuovi ruoli
individuati, per l’intero orario di servizio, da ridefinire
contrattualmente. Per le funzioni che ruotano invece intorno
alle attività di coordinamento, potrebbero essere previsti o un orario di
servizio allungato (per esempio: 18+6 ore), adeguatamente retribuito, o
esoneri parziali dall’insegnamento.
Una voce cui riservare, nella proposta, particolare
attenzione è quella dei profili delle figure chiamate a coprire le funzioni
individuate.
Qui si farà riferimento, a livello esemplificativo (anche se
approssimativo), alle sole figure di coordinamento.
A proposito delle quali, la prima cosa dire è che, nell’assegnazione
delle funzioni previste, non si dovrebbe prescindere dai requisiti propri
della professionalità docente, su cui sviluppare competenze più solide ed
estese.
Per quanto riguarda le funzioni di coordinamento, la padronanza delle
competenze dell’attuale profilo docente (sia come saperi di esperienza e
frutto di partecipazione attiva alla vita della scuola, sia come esito di
attenzione e cura del proprio sviluppo professionale - non solo disciplinare
- ) è / dovrebbe essere pertanto condizione per l’affidamento di incarichi
per tali profili.
Quanto alle competenze di coordinamento vero e proprio, queste vanno però
recuperate, ai fini del nostro discorso, in tutta la loro ricchezza e
“potenza” (Sergio Auriemma definisce il coordinamento, non senza ragione,
“la più potente figura organizzatoria” per una istituzione come la
scuola). E declinate così da comprendervi, ad esempio:
buone capacità relazionali specifiche per un gruppo di pari, ma anche ascolto attivo e riflessività,
una gestione differenziata del gruppo, in ragione dei diversi livelli di consapevolezza delle competenze professionali dei singoli,
la valorizzazione delle esperienze personali e del gruppo,
la responsabilità in termini di accountability (da riscoprire anche come strumento per la ricostruzione “della catena di senso” di quello che si fa)[5].
Ripropongo conclusivamentte il problema delle diffidenze che sorgono ogni
qual volta si affronta la questione delle figure di organizzazione didattica
e di sostegno al fare scuola, anche – e forse soprattutto – all’interno di
una diversa progressione di carriera.
Sappiamo da cosa nascono questi timori: si teme una scuola gerarchizzata,
una “scuola di capi e capetti” che intorpidisca il clima di scuola e scateni
“sgomitamenti”, gelosie, comportamenti “divisivi” che costituiscono un
rischio pesante che non si può assolutamente correre.
Per allontanare tale rischio vanno pertanto previsti scelte e dispositivi
che, per un verso, garantiscano / favoriscano
trasparenza e affidabilità dei criteri per la scelta e l’attribuzione delle funzioni (per esempio gli elementi di profilo prima indicati), e
misure premiali che non creino sperequazioni eccessive dentro la categoria; ma anche
una cultura e una prassi professionale che assuma a riferimento una considerazione dei nuovi ruoli in termini di servizio e responsabilità.
Per
esempio, le capacità: sia di gestire i gruppi (le commissioni, i Consigli, i
dipartimenti….) orientandoli ai risultati previsti, sia di sviluppare clima
collaborativo dovrebbero essere viste come cartine di tornasole
dell’adeguatezza di queste figure e come indicatori importanti nella
rendicontazione delle attività realtive alle funzioni attribuite.
Comunque, il timore dei rischi non può condannarci all’accettazione della
situazione attuale. Perciò diventa imprescindibile l’impegno di tutti i
soggetti interessati (in primo luogo: il ministero, ma anche le
organizzazioni sindacali, le associazioni professionali e gli istituti
competenti, le scuole da sole o in rete) a cercare risposte accettabili su
questo terreno.
[1] Mi limito a richiamare la recenete analisi e le conseguenti proposte, in buona parte condivisibili, di Fiorella Farinelli, in Non solo insegnanti: le figure di sistema, Rivista dell’istruzione n. 6 – 2013, Maggioli Editore. Si rinvia anche al mio Gli insegnanti nell’organizzazione scolastica, e in particolare al capitolo 1 (“Insegnanti non solo insegnanti. Il profilo potenziato”), pp. 19-32, Edizioni Conoscenza 2013, dove si valorizzano le riflessioni di Piero Romei (soprattutto di Gli strumenti per governare le scuole dell’autonomia, in AeD, nn. 4-6, giugno 2002) sull’organizzazione scolastica e, in modo particolare, le proposte delle Unità Operative di scuola e dell’équipe di direzione.
[2] V. Quaderno n. 4 di TREELLE del 2004
[3] V. la proposta avanzata nel mio contributo: Progressione di carriera. Si fa presto a dire (ScuolaOggi.it)
[4] Cfr. il saggio cit. di Fiorella Farinelli, e soprattutto il paragrafo Un middle management di natura tecnica, nel quale però i ragionamenti si discostano in parte da quelli qui seguiti.
[5]
A fianco di queste due aree di competenze occorrebbe però
prevederne una terza, non proprio irrilevante, che potrebbe
comprendere compiti e funzioni generalmente previsti nelle
funzioni di Leadership.
Quali, soprattutto:
orientare il gruppo verso i previsti obiettivi comuni di cambiamento – in una logica comunque di ricerca autonoma - e creare soprattutto una visione condivisa dei processi ai quali si lavora,
sostenere il gruppo, rafforzandone motivazione e impegno, soprattutto attraverso la facilitazione delle relazioni, la cura dei rapporti, il “potere” delle competenze professionali di cui si dispone e la valorizzazione degli apporti dei singoli,
curare l’”accompagnamento dei processi e delle azioni degli attori (docenti e personale tutto, studenti, genitori) nelle varie dimensioni della scuola come ambiente organizzativo”. cioè come struttura e articolazioni, vincoli e regole, relazioni e modalità comunicative, comportamenti e “visione” diffusa .
coordinarsi con le altre figure leader (gli altri coordinatori) in funzione di una Leadership educativa distribuita, diffusa. Che dovrà comunque avere un dispositivo organizzativo, una sua struttura di riferimento per il suo esercizio (v., su questo, A. Bettoni – A. Valentino, Docenti e Leadership educativa nella scuola, in “Articolo 33”, n. 1-2, gennaio – febbraio 2014, Edizioni Conoscenza.