13.03.2014
Un
piccolo ricordo di Mario Lodi
di
Franco De Anna
Ti domandi sempre a che servono le
memorie. Ma non sai tu la risposta (almeno la vera risposta, quella che non
ha a che vedere con la consolazione).
La conosce chi ascolta il racconto, e a lui devi affidarti correndo il
rischio di ritrovarti o in una polverosa soffitta piena di cose inutili e da
“rottamare”, oppure in un segnalibro che, come un cammeo, viene appeso alla
memoria di chi ti ascolta e la accompagna in tante occasioni del suo futuro.
Le più diverse.Nelle quali tu non hai più alcun ruolo. Oppure grandissimo,
ma come quello “dovuto agli irokesi” nella storia del pensiero etno
antropologico. Fondamentale, ma non se lo ricorda più nessuno.
Nell’Aprile del 1987 ( e vi assicuro che è stata una impresa ricostruire la
data) alla Fiera di Milano si tenne un “evento” (diremmo oggi) che aveva per
tema “Forum delle professioni”.
Aderimmo (allora ero direttore dell’IRRSAE Lombardia) organizzando uno
stand intitolato “Professione insegnante”. Dovevamo “promuovere” il lavoro
del docente come una prospettiva per i giovani… fare “orientamento” come si
direbbe oggi ( avrete notato che tra le tante professioni e lavori che si
presentano come “prospettive” per i ragazzi nelle iniziative di orientamento
delle nostre scuole manchi regolarmente quella del “fare il docente”?
Provatevi a chiedevi il perché..)-
Ho recuperato tra le cose di soffitta il depliant che mettemmo a punto per
l’occasione (porta in microscopici caratteri laterali la scritta “art
director” Piero D’Alfonso e Franco De Anna). Ne riporto il testo.
La scuola è una zona di
confine-
Vi si fanno i conti con il passato e contemporaneamente
Si prepara il futuro
Ogni ansia di promozione ed
emancipazione sociale
culturale e personale, per sé e per i propri figli
si rispecchia nella scuola.
In cui le mode, i linguaggi,
i comportamenti
vengono sperimentati,
dai giovani innanzi tutto,
per poi affermarsi altrove.
Tra passato e futuro, tra
tradizione ed innovazione
tra conservazione e progresso.
Non sempre il risultato è equilibrato.
A volte predomina il passato.
A volte invece si fugge dalla storia
per riscoprire ciò che è già stato scoperto
o per reinventare ciò che già esiste.
A volte si scava un solco che è poi difficile colmare.
Sempre l’equilibrio è precario:
richiede grande abilità per essere mantenuto.
Ci si può naturalmente
nascondere. E’ comodo.
Affrontare i rischi è però affascinante.
In un mondo che cambia velocemente
chi non si nasconde
deve inventare sempre nuovi modi
per spendere le proprie competenze.
Fare l’insegnante significa
Preparare il lavoro che
verrà.
Creare le basi per tutte le altre professioni.
L’immagine dell’insegnante immobile rivolto al passato
è uno stereotipo falso.
E’ vero invece che ogni insegnante ha in eredità, piccola o grande che sia,
una parte della tradizione culturale da cui proviene
che va spesa per il futuro.
Di idee consumate per
inventarne di nuove
senza nulla sprecare.
Da Socrate al computer
Quasi un milione di
insegnanti rappresentano
la concentrazione di lavoro intellettuale
più grande che in qualsiasi altro settore produttivo.
Il loro lavoro è la riproduzione culturale della società.
La sua stessa continuità.
Fare in modo che questo lavoro si svolga nelle migliori condizioni
è interesse di tutti noi.
Sono parole del 1987… quasi
trent’anni fa… e mi scuso della “memoria”.
Mi importa qui ricordare che invitammo, per presentare il “mestiere” del
docente in una “fiera delle professioni” dedicata ai giovani (studenti,
universitari ecc,..) due interlocutori diversi e ma egualmente capaci di
suscitare interesse e entusiasmo: Mario Lodi e Roberto Vecchioni; due modi
di essere e interpretare il “fare il docente”, a raccontarlo ad una
cinquantina di ragazzi.
Devo dire che fu un successo? Io spero che il gruppo di studenti che
assistettero al confronto ne porti memoria e che, almeno qualcuno di essi,
abbia scelto poi non dico di fare l’insegnante ma almeno di considerare
questa come una prospettiva professionale possibile (e non “di risulta”.)
Ricordo la calma, la semplicità, la “verità” di Mario nel descrivere cosa
volesse dire insegnare… il silenzio dei ragazzi che accompagnava le sue
parole semplici, quasi ne volessero riconoscere, con l’attenzione e il
silenzio stesso, la verità fondamentale… esattamente come ricordo la
capacità di Vecchioni di sollecitare le domande, le risposte, le
provocazioni in una “spendita” di sé senza risparmio… E l’interlocuzione
entusiasta dei ragazzi. Il silenzio della riflessione e l’entusiasmo della
partecipazione. Che altro serve per il mestiere dell’insegnare?
Due modi, due componenti, due tratti essenziali e profondi del mestiere…
Chissà se Vecchioni ricorda, tra i tanti episodi che certamente
contraddistinguono un carriera pubblica con ben altre “emergenze”.