08.11.2013
La scuola
media al traguardo dei … 50 anni
di Piero Cattaneo
1. Un evento … al negativo
Non posso nascondere il mio disagio, da persona di scuola, nel constatare come negli ultimi due anni, all’avvicinarsi del traguardo dei “primi cinquant’anni della scuola media unica”, si siano accesi ogni tanto i riflettori sull’evento, ma solo per mettere in evidenza le criticità, le debolezze, i problemi rimasti insoluti nel “segmento” di scuola denominato per tanto tempo “media unica” ora secondaria di primo grado.
La campanella dell’avvio dell’esperienza cinquantennale è suonata il 1° ottobre 1963 e onestamente mi sarei aspettato che il traguardo del cinquantenario assumesse almeno un riconoscimento istituzionale significativo e venisse “ricordato”, attraverso un confronto a livello nazionale, il significato dell’esperienza, il contributo dato dalla scuola media unica allo sviluppo culturale degli Italiani, con equilibrio e onestà senza trionfalismi ed anche senza far diventare la scuola media il solo capro espiatorio di tutti i mali della scuola italiana.
Invece, in questi ultimi due anni, i riflettori si sono accesi sulle criticità, sulle debolezze, sulle inadempienze della scuola media, senza riconoscere gli sforzi compiuti in questi 50 anni per rispondere in modo efficace al “mandato” affidato alla scuola media della legge istitutiva (legge 31.12.1962 n. 1859) in relazione ai cambiamenti della società italiana avvenuti in quel periodo.
E, sempre in questi ultimi due anni, i riflettori poi rimanevano spenti per mesi, quasi in attesa del successivo momento di “ritorno” sulla scena con altri elementi mirati ad avallare la tesi della scuola media come “anello debole” del sistema scolastico italiano.
Ho lavorato per più di trent’anni nella scuola media, prima come docente e poi come preside (preferisco questo termine a quello di dirigente scolastico!); sono stato alunno di una scuola media del Basso Lodigiano e onestamente faccio fatica a riconoscermi in molte delle analisi fatte da illustri pedagogisti e altrettanto importanti e competenti ricercatori.
In particolare sono rimasto molto sorpreso dall’articolo apparso sul Corriere della Sera dello scorso 19 ottobre che, proprio citando la ricorrenza del cinquantenario, titolava:
I cinquant’anni della scuola media (in crisi di identità). I dati OCSE: anello debole del sistema.
E ancora: Istruzione – Nata nel 1963. Da riforma democratica o modello di rivedere.
In poche righe si confermava quanto negli ultimi due anni si veniva consolidando a livello di opinione pubblica, oltre che tra gli addetti ai lavori: il bilancio fallimentare della scuola media unica.
2. La necessità di un dibattito ampio, serio e fondato
Non è giusto, secondo me, liquidare un’esperienza di cinquant’anni in questo modo. Non è onesto nei confronti di quanti hanno lavorato con impegno e serietà, con passione e professionalità, con attenzione e sensibilità verso i cambiamenti in atto nel Paese e nell’intera Europa.
In questi 50 anni l’Italia è molto cambiata così come è cambiata l’Europa e purtroppo i trend dei fenomeni socio-economici e culturali non sono sempre stati positivi, come ben si sa. Non occorrono infatti molti dati per accorgersi che il mondo intero è stato interessato da profonde trasformazioni e tutto questo non va dimenticato, senza cadere nell’errore di cercare giustificazioni per le conseguenze negative registrate nei vari settori dell’attività umana.
Quindi, anche il bilancio sull’esperienza della scuola media va fatto tenendo conto di tutti questi cambiamenti, senza farli diventare alibi per il non fatto, per la debolezza e per le criticità rilevate, ma, nello stesso tempo, per riconoscere e valorizzare quanto, del mandato ricevuto dal legislatore,
è stato realizzato.
Mi sarei aspettato un dibattito ampio a livello nazionale, in grado di affrontare i nodi problematici rimasti irrisolti o sorti durante i cinquant’anni, con uno sguardo d’ insieme che avrebbe richiesto ricerca, riflessività, investimenti proprio con l’intento di trovare soluzioni idonee a ridare identità alla scuola media, a rivedere il modello pedagogico-didattico, quello organizzativo-gestionale, i raccordi con la scuola precedente e quella successiva, gli esiti formativi da garantire, la formazione dei dirigenti scolastici e dei docenti.
Un dibattito ampio e serio tra soggetti istituzionali diversi, capace di coinvolgere le famiglie, gli operatori della scuola, i rappresentanti delle Amministrazioni locali, il MIUR e le Università, l’Invalsi e Centri di Ricerca, l’OCSE e le Istituzioni europee impegnate nei sistemi educativi e formativi. Tutto questo non è avvenuto ma, data la complessità dell’operazione “ bilancio”, comunque non più procrastinabile, è necessario fornire alcune linee di discussione, degli orientamenti non solo dettati dalle urgenze ma fondati su prospettive di sviluppo e di evoluzione dell’intero sistema scolastico italiano.
3. Alcune direzioni per il dibattito e per le azioni
La prima è quella di smettere di fare della scuola media il capro espiatorio dei “mali” dell’intero sistema scolastico e di quello formativo più ampio, come suggerisce il prof. Pierpaolo Triani in una sua riflessione pubblicata sul sito di Scuola e Didattica.
Del mandato iniziale affidato alla scuola media che cosa è stato fatto? Che cosa non è stato possibile realizzare? Che cosa è opportuno fare nella prospettiva futura del Paese Italia?
Due questioni sono rimaste purtroppo irrisolte in questi 50 anni anche se la scuola media (ormai da 10 anni denominata scuola secondaria di primo grado) le ha affrontate con tentativi che si sono susseguiti nel tempo, purtroppo con scarso successo: l’identità della scuola media e il suo rapporto con la scuola primaria (già scuola elementare) che la precede e la scuola secondaria di 2° grado (per anni denominata scuola “superiore”) quale esperienza non obbligatoria (almeno fino alla pubblicazione del DM 139/2007. Il nuovo obbligo di istruzione) che la seguiva.
La questione dell’identità della scuola media unica si pone fin dalla sua introduzione con la legge del 1962. In realtà è rimasto irrisolto, già dal suo avvio, il problema della natura e della funzione della scuola media quale scuola successiva a quella elementare che di fatto non ha mai assunto, se non in tempi successivi, la caratteristica di scuola primaria, cioè di scuola in grado di fornire agli allievi dai 6 ai 10 anni le conoscenze e i saperi essenziali e capaci di generare altre conoscenze e saperi, secondo un processo cognitivo ed esperienziale continuativo, graduale, progressivo.
La cosiddetta scuola elementare (denominata primaria con la legge n. 53/2003) in effetti ha avuto il compito di presentare, in termini più ridotti e semplificati, i contenuti disciplinari, ripresi alla scuola media secondo la logica della spirale, a livelli via via più ampi e complessi.
In concreto le due logiche non si sono mai integrate anche a causa di due periodi scolastici di durata differente (5 anni e 3 anni) e di un’articolazione che prevedeva un triennio iniziale (1° ciclo della scuola elementare) un biennio (2° ciclo della scuola elementare); i tre anni della scuola media nel tempo si sono rilevati poco funzionali proprio per il problema della “giuntura” con il segmento precedente e con quello scolastico successivo.
Alcuni tentativi sono stati fatti nei 50 anni per integrare le logiche dei vari percorsi: dalla legge n. 30/2001 con la proposta del ministro Berlinguer (primo ciclo di 7 anni secondo ciclo di 5 anni) alla legge n. 53/2003 in cui si proponevano due cicli di istruzione: il primo costituito da 4 anni e due monoenni (uno iniziale e uno finale) e il secondo ciclo formato da quinquennio (due bienni e un monoennio finale) con la differenza tra il sistema dei licei (gestiti direttamente dal MIUR) e dal sistema dell’istruzione della formazione professionale attribuita alle regioni.
Tentativi, si diceva, non sempre riusciti ma indicativi della necessità e della volontà di “cambiare” l’identità, la struttura, la natura dei processi di apprendimento/insegnamento anche in considerazione dei risultati non certamente lusinghieri e rassicuranti delle indagini nazionali e internazionali circa i livelli di apprendimento degli allievi italiani, in particolare della scuola media.
La specifica età degli allievi che la frequentano (dagli 11 ai 14 anni) è senza dubbio un’ulteriore variabile da tenere in debita considerazione nel fare il bilancio. La scuola media coglie i ragazzi in un momento particolarmente delicato del loro sviluppo, quello della pre-adolescenza, in cui a cruciali trasformazioni fisiche, emotive e cognitive si accompagna l’affermazione della propria personalità spesso in contrasto con le figure adulte. Le sfide educative che pongono i pre-adolescenti sono – se possibile – ancora più difficili di quelli dell’età precedente e successiva e tutto questo rende ancora più complessa l’azione educativa e didattica della scuola media.
Piuttosto impietoso, anche se fondato su un’indagine ampia e documentata, è il quadro sulla scuola media che emerge dal Rapporto sulla scuola in Italia 2011 della Fondazione Agnelli: dall’età avanzata del corpo docente ai modelli didattici antiquali e basati su una troppo rigida specializzazione per discipline; dal rapporto scuola-famiglia, caratterizzato da tensioni crescenti a causa di un atteggiamento iperprotettivo verso i figli da parte di genitori sempre meno disposti a riconoscere l’autonomia dei docenti, a problemi di accoglienza e di integrazione dei ragazzi stranieri.
Non da ultimo il Rapporto sottolinea i risultati insoddisfacenti negli apprendimenti come testimoniano i confronti internazionali relativi alle conoscenze matematiche e scientifiche, spesso confermate dalle valutazioni a livello nazionale (Prove Invalsi) che evidenziano differenze significative tra gli esiti riferiti agli allievi di scuole medie in regioni diverse.
Se gli adulti italiani risultano i meno formati dei Paesi OCSE è alquanto semplificatorio attribuire la causa alla scuola media unica. Forse occorre interrogarsi più a fondo e a più ampio raggio.
La seconda linea di direzione per il dibattito e il confronto riguarda gli “investimenti” di risorse destinate allo “svecchiamento” dell’apparato organizzativo-gestionale e al potenziamento delle attrezzature didattiche delle scuole.
Appare sempre più difficile per i docenti operare nella direzione di una didattica personalizzata, di una individualizzazione degli apprendimenti senza l’impiego di “risorse” per la formazione dei dirigenti scolastici e dei docenti, per la revisione degli impianti didattici, dei tempi scuola, dell’organizzazione dei moduli opzionali, per la formazione di classi costituite, in alcuni momenti della giornata e/o della settimana, da allievi aggregati per interessi o scelte opzionali.
Una terza linea riguarda sicuramente l’autonomia delle scuole e la loro capacità progettuale nell’attuazione delle Indicazioni Nazionali che hanno da tempo sostituito i tradizionali programmi scolastici. L’autonomia scolastica rappresenta una grande opportunità per le singole istituzioni scolastiche: spesso però le scuole tendono a “perpetuare” modelli obsoleti e a non sfruttare a pieno le potenzialità dell’autonomia.
Lo “strumento” Indicazioni Nazionali costituisce un quadro di riferimento fortemente innovativo e vincola le scuole a progettare per competenze, a conseguire le competenze definite dal profilo dello studente al termine del 1° ciclo di istruzione, a dotarsi, nell’ambito del Piano dell’offerta formativa, di un curricolo di istituto verticale a seguito del diffondersi degli istituti comprensivi.
Autonomia scolastica significa anche autovalutazione a livello di singola istituzione e in questa direzione si stanno promuovendo vari progetti finalizzati a valutare il merito e la qualità delle scuole, in relazione agli esiti garantiti sul piano degli apprendimenti.
La valutazione delle istituzioni scolastiche è sicuramente un problema ancora aperto e l’avvio degli istituti comprensivi dovrà essere monitorato proprio per verificare se le questioni, rimaste aperte nei cinquant’anni della scuola media unica, possano trovare una risposta soddisfacente.
E infine una quarta direzione è rappresentata dalla politica delle alleanze tra scuola e territorio, tra istituzioni scolastiche e Enti locali, con i vari servizi alla persona presenti e operanti nel territorio, con cui la singola istituzione scolastica possa interagire per affrontare con competenza i vari problemi della vita scolastica quotidiana.
Alleanze che richiedono la definizione di convenzioni, accordi di programma, contratti, allo scopo di chiarire i compiti da assumere rispetto alla specifica funzione di ogni servizio quali consulenze, interventi socio-sanitari, progettazione integrata ecc.
4. E per concludere …
Cinquant’anni rappresentano un arco di tempo significativo per “tentare” un bilancio dell’esperienza della scuola media italiana le cui “vicende” storiche, istituzionali, culturali, pedagogiche e didattiche hanno finito per consolidare la sua immagine di “terra di mezzo” e mai parte integrata di un percorso unitario, armonico, continuativo dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado. Sarebbe ingiusto però ignorare il fatto che la scuola media ha rappresentato il “motore”dell’innovazione nel sistema scolastico italiano durante gli anni 60, 70, 80 e 90 con provvedimenti ed iniziative innovative di largo respiro che hanno avviato processi di cambiamento anche negli altri segmenti scolastici.
Cinquant’anni di storia della scuola italiana non possono essere “archiviati”….in silenzio o solo con titoli ad effetto su ciò che non è stato fatto: la profonda revisione delle strategie di apprendimento e dell’organizzazione dei contenuti, dei tempi e dei metodi di insegnamenti attuata in questi 50 anni, si dovrà fondere con un’altrettanto seria e accurata riflessione sulla necessità di offrire agli allievi modelli di insegnamento compresenti e caratterizzati da approcci metodologici, relazionali, organizzativi e gestionali del tutto differenti.
Tutto questo ed altro ancora potrà essere “recuperato” in una visione prospettica, più sistemica e più rispondente alle necessità formative e di istruzione dei giovani di oggi.
Purtroppo il futuro delle nuove generazioni appare meno roseo di quello dell’inizio degli anni 60 e quindi a maggior ragione la scuola, nelle sue varie articolazioni, è tenuta a formare gli allievi per renderli capaci di affrontare i problemi che via via saranno chiamati a risolvere.
Ai posteri … l’ardua sentenza, ma ritengo doveroso rivolgere un grazie a chi in questi 50 anni ha dedicato le proprie energie personali e professionali alla scuola media italiana.