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La cultura a Torino tra le due guerre:
un dibattito solo accademico?
(a cura di Gianni Cimalando)
Aggiornamenti del 10.06.2000
Da Luigi Saragnese riceviamo un contributo sul caso d'Orsi: si tratta di un articolo a firma dello stesso D'Orsi comparso su "Liberazione".
Aggiornamenti del 31.05.2000
Non poteva mancare, a questo punto della "querelle", una presa di
posizione dell'autore del saggio che ha infiammato il dibattito tra gli storici in questo
ultimo mese a proposito dell'atteggiamanto, nei confronti del fascismo, assunto dagli
intellettuali torinesi durante il ventennio.
L'intervista
di Papuzzi a d'Orsi pubblicata sulla Stampa di oggi ha due
meriti: da una parte consente di prendere atto, finalmente, del pensiero dell'autore,
dall'altra mette in condizione il d'Orsi di rispondere agli interventi che in questi
giorni sono comparsi sugli organi di stampa e che noi abbiamo cercato di documentare con
questa rubrica."
Aggiornamenti del 30.05.2000
Nella polemica nata dal saggio di dOrsi, interviene anche un altro dei
protagonisti della storia torinese a cavallo tra le due guerre mondiali: si tratta del
filosofo Norberto Bobbio, che dalle pagine del La Stampa entra nel merito della questione
di cui abbiamo fin qui dato conto attraverso la raccolta degli articoli comparsi sul
quotidiano.
Clicca
qui per scaricare il testo dell'intervento di Bobbio, in formato
*.rtf
Gli allievi del filosofo e il Centro Studi Piero Gobetti gli hanno dedicato un sito Internet, presso il quale sono consultabili i tremila titoli della Bibliografia di Bobbio e si può anche accedere alla sua biblioteca professionale, che consta di circa trentamila volumi.
Aggiornamento del 26.05.2000
Il dibattito su quello che è ormai diventato "il caso
dOrsi" si è fatto, in questi ultimi giorni, sempre più infuocato; la
"querelle" infatti, come era del resto prevedibile, è uscita dallambito
del quotidiano "La Stampa", ed è stata ripresa ed ampliata soprattutto da
"Il Foglio", diretto da Giuliano Ferrara.
Per completezza di informazione, mi sembra pertanto utile integrare gli articoli
presenti nel dossier con i tre interventi degli storici
dellAteneo torinese F. Levi, G. De Luna e M. L. Salvadori; per quanto riguarda
invece gli articoli de "Il Foglio", avendo questo quotidiano un archivio dei
numeri arretrati (contrariamente a "La Stampa"), rimando allo specifico sito
internet.
La pubblicazione, avvenuta in questi primi mesi dellanno, per i tipi della casa editrice Einaudi, del saggio di Angelo dOrsi (La cultura a Torino tra le due guerre, Biblioteca Einaudi 87, L. 38.000), sul comportamento degli intellettuali a Torino nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali (gli anni del Fascismo quindi), ha indotto il quotidiano La Stampa ad affidare ad Angelo Papuzzi una serie di articoli che, prendendo lo spunto dalle tematiche proposte da dOrsi, affrontano, da ottiche diverse, la realtà della cultura a Torino nel corso del ventennio.
Si tratta, per chi è interessato alla "querelle", di tre articoli:
A questi tre articoli, a firma di Angelo Papuzzi, si è aggiunto, in data 19 maggio, un intervento di Bruno Dongiovanni, docente di storia contemporanea allUniversità di Torino. La tesi che viene esposta è che se indubbiamente vi fu anche a Torino quella "zona grigia" segnalata dal dOrsi, gli intellettuali della città non vennero però mai meno allantifascismo, nel senso che non rinunciarono mai al lavoro culturale. Si trattò pertanto di un "aristocratico e conventicolare disprezzo della cultura torinese verso la goffaggine e la media cultura del fascismo".
La lettura dei quattro articoli è davvero interessante perché dà conto del dibattito che finalmente in questi anni si è aperto su un periodo sul quale sembrava difficile alzare il velo del convenzionale e del "consacrato". La tesi di dOrsi è infatti che la "mitizzazione" dellantifascismo della cultura torinese nel corso del ventennio ha impedito di analizzare quelle "zone grigie" che pure sono state la caratteristica della maggior parte degli intellettuali dellepoca. Si sarebbe così creato lequivoco in base al quale si tendeva ad accreditare limmagine di un attivismo antifascista ampio, diffuso e per nulla disposto a scendere a compromessi con il regime ed i suoi esponenti. La ricerca del dOrsi perviene a conclusioni diverse: sicuramente la gran parte degli intellettuali torinesi non era fascista e non condivideva le iniziative e lideologia del regime; ciò però non è sufficiente per sostenere che vi fosse una separazione netta tra le due realtà. Molti, infatti, tra gli intellettuali torinesi, non disdegnavano né la collaborazione con le iniziative culturali ed editoriali del regime né la frequentazione di esponenti di spicco della cultura fascista. E a questo proposito che lautore parla di una "zona grigia", praticata dalla stragrande maggioranza degli intellettuali torinesi.
A parere di chi scrive, tale conclusione non dovrebbe stupire: se questo discorso era già stato affrontato e risolto nella stessa direzione, per esempio da Pavone nel suo saggio "Una guerra civile", in merito alle modalità di partecipazione ed adesione al fenomeno resistenziale, perché non dovrebbe valere anche per la "categoria" degli intellettuali?
Il problema però che in questa sede mi interessa è un altro e riguarda la didattica.
Secondo quali modalità infatti i termini del dibattito che in questi ultimi otto/dieci anni si sta sviluppando intorno allepoca fascista, possono entrare nella didattica scolastica? Il rischio al quale si va incontro è proprio quello di non essere in grado di rendere la complessità del discorso e, causa un eccesso di semplificazione, di ricorrere ad "informazioni" stereotipate di tipo apposto a quelle che fino ad ora sono state proposte agli studenti.
Dunque, il rischio è quello di passare da un eccesso allaltro.
Credo che lunica, modesta soluzione (che per altro non è una novità!), sia quella di abbandonare la didattica tradizionale, basata sulla centralità della lezione frontale, per passare ad un approccio più problematico che solo il confronto di posizioni diversificate può soddisfare. Non pertanto tesi precostituite, anche se molto problematizzate (dallinsegnante!), ma lofferta agli studenti di un materiale sul quale debbano effettuare delle operazioni autonome, quali lanalisi ed il confronto, la formulazione di ipotesi e la loro verifica nei testi. Un simile lavoro non porta ovviamente e soluzioni facilmente schematizzabili, ma rende la complessità delle problematiche affrontate.
Tale complessità, ritengo, ha infine un altro vantaggio: quello di rendere i "soggetti" della storia più umani e forse proprio per questo più "accessibili" alle giovani generazioni. Non tutti sono eroi, non tutti sanno scegliere, non tutte le scelte sono definitive, non tutte le scelte sono razionali; molti, come Galileo, di fronte al rischio della tortura e della morte, preferiscono abiurare.
Ma allora la storia è fatta anche da uomini come noi! Questa, secondo me, sarebbe già una bella scoperta!
Nota: