Direzione didattica di Pavone Canavese

Progetto Storia del '900. Libri e articoli

(27.01.2002)

Genocidio: definizioni
di Gianni Cimalando

Definire l’atto del Genocidio, solleva questioni di ordine giuridico e politico; del resto, compiere questa operazione, rappresenta una premessa essenziale per qualsiasi metodologia ed ogni tipo di indagine a carattere sociologico.

La prima definizione di Genocidio ci proviene dall’avvocato polacco Raphael Lemkin, il quale, nel 1944, scriveva: "Questo nuovo termine, coniato dallo scrivente per descrivere un comportamento antico in un contesto contemporaneo, deriva dal termine greco genos (razza, tribù) e da quello latino cide (da caedere, uccidere)".

Gli atti mostruosi compiuti con la Shoah confermano il valore semantico terrificante del termine Genocidio, il quale otterrà consacrazione ufficiale e giuridica nella "Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di Genocidio" che le Nazioni unite adottano nel 1948 e che viene applicata a partire dal 1951: il Genocidio viene in essa definito come un crimine tipico dei tempi di guerra, ma anche di quelli di pace.

"Con la presente Convenzione, viene definito come Genocidio uno qualunque degli atti di seguito elencati, commessi con l’intenzione di distruggere, del tutto o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: il massacro dei membri di un gruppo; l’attentato grave all’integrità fisica o mentale del gruppo; la sottomissione intenzionale di un gruppo a condizioni di esistenza che comportano la sua soppressione fisica, totale o parziale; le misure finalizzate ad impedire le nascite all’interno di un gruppo; il trasferimento forzato di bambini da un gruppo verso un altro".

Tuttavia, la Convenzione non ha rappresentato la parola definitiva per quanto riguarda le diverse accezioni del termine Genocidio. Altre definizioni infatti hanno ampliato il concetto, includendovi ogni azione arbitraria o apertamente politica, ogni atto di massacro, ma anche di pregiudizio collettivo. Il dibattito si è incentrato su alcuni aspetti essenziali: le categorie dei gruppi vittime (è senza dubbio l’aspetto maggiormente dibattuto); ciò che si intende con "intenzione di distruggere", ma anche con "Totalmente" e "in parte"; il livello di intenzionalità; stabilire se i governi sono i soli responsabili di Genocidio; stabilire se il termine Genocidio può essere applicato a azioni sistematiche perpetrate nel lungo periodo o, allo stesso modo, ad azioni sporadiche; il concetto di tempo; il senso da attribuire a "in quanto tale".

In questo testo verranno affrontati i seguenti aspetti: la definizione del gruppo vittima, l’intenzionalità, gli autori del Genocidio, il carattere sistematico dello sterminio.

Definire il gruppo individuato quale vittima.

La Convenzione ha ampliato la definizione di gruppo data da Lemkin (gruppo nazionale o etnico) al fine di farvi rientrare i gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi. Vanno però a questo proposito sottolineate tre omissioni significative: il gruppo sociale, quello sessuale e quello politico, i quali si sa essere stati tutti vittime di atti di Genocidio dopo il 1945.

Il non tenerne conto equivale a ignorare, fra altre vittime, dai 100.000 ai 500.000 Indonesiani (la forbice tra le diverse stime è considerevole), uccisi nel 1965/66 in quanto membri del partito comunista e circa 1,8 milioni di Cambogiani, uccisi dagli Kmer rossi tra il 1975 e il 1979.

Secondo la sociologa Elena Fein, una definizione restrittiva di Gruppo è contraria alla filosofia sottesa al concetto stesso di Genocidio, vale a dire, la distruzione di un gruppo, di un insieme sociale, di una unità di base, dal momento che, a suo parere, il gruppo equivale ad una collettività. L’eminente sociologo e specialista del Genocidio Leo Kuper, ha anche lui insistito per l’inclusione dei gruppi politici. Nel mondo contemporaneo, afferma il sociologo, le differenze politiche sono causa di massacri almeno quanto le differenze razziali, nazionali, etniche e religiose; inoltre, i genocidi compiuti nei confronti di gruppi razziali, nazionali, etnici o religiosi, nascondono spesso conflitti politici. E’ proprio perché i gruppi politici non vengono presi in considerazione nella definizione data dalla Convenzione che Ted Gur e Barbara Harf hanno coniato il termine, per l’Italia intraducibile, di politicidio.

Già nel 1959 Pieter Drost, uno specialista del diritto, aveva definito il Genocidio come "la distruzione intenzionale dell’integrità fisica di singoli esseri umani a causa della loro appartenenza a una collettività umana in quanto tale".

Per quanto riguarda la Convenzione sul Genocidio, Drost scriveva: "Una Convenzione sul Genocidio non può contribuire in modo efficace a proteggere alcune delle minoranze descritte, allorquando questa prende in considerazione solo alcuni gruppi specifici predefiniti, mentre, al contrario, se vuole raggiungere il suo scopo, deve estendere la sua protezione ad ogni gruppo composto da esseri umani".

Lo storico Frank Clark e il sociologo Kurt Jonassohn, che pure tentano di adoperarsi perché si tenga conto anche delle categorie che non sono prese in considerazione dalla Convenzione, hanno definito il gruppo vittima in quanto gruppo, e appartenenza a quest’ultimo, così come sono definiti da chi commette il crimine; alla fine dei conti il gruppo vittima è quello che viene individuato come tale dall’ aggressore. La Germania nazista ha stabilito chi era ebreo e chi no. Gli Kmer rossi hanno stabilito chi era cambogiano e chi no. Non va dimenticato che nel 1985, la Commissione per i Diritti dell’uomo dell’ONU ha fatto proprio il rapporto di Ben Whitaker, che raccomanda che la definizione contempli anche i gruppi politici, economici e sociali. "Nell’epoca ideologica nella quale viviamo (nota Whitaker), si uccide per motivazioni ideologiche".

Intenzionalità del Genocidio. Responsabili del Genocidio.

Come ho scritto in precedenza, un altro concetto essenziale è quello di intenzionalità. E’ infatti necessario dimostrare che il gruppo che mette in atto il massacro aveva realmente l’intenzione di distruggere il gruppo delle vittime, oppure è sufficiente dimostrare l’esistenza di prove di distruzione (nei termini in cui vengono definiti dalla Convenzione)?

Il realizzatore di un massacro può legittimamente sostenere (come ha fatto il governatore del Paraguay in relazione alla distruzione degli indios Achés) che, nella misura in cui l’obiettivo primario non era la distruzione del gruppo, ma la costruzione di strade e la "pulizia" di un territorio da colonizzare, non si può parlare di Genocidio?.

O è sufficiente tener conto di una intenzionalità implicita?

E’ quanto sostiene Israel Charny, il quale estenderebbe il concetto a tutte le situazioni di distruzioni di massa, comprese quelle avvenute per negligenza o inavvertenza, in quei casi in cui non sono state adottate tutte le precauzioni, per esempio al momento della effettuazione di esperimenti nucleari.

L’obbligo di dimostrare una evidente intenzionalità indurrebbe ad escludere numerosi casi di massacri collettivi. E’ questo il punto di vista di numerosi specialisti che restringono il concetto di Genocidio ad alcuni casi ben individuati come quello della Shoah, escludendo quindi le altre situazioni di sterminio di massa.

Charny propone dunque di definire il Genocidio nel modo seguente: "In senso lato, il Genocidio è il massacro collettivo di un numero considerevole di esseri umani, non impegnati in un’azione militare contro altre forze militari di un nemico riconosciuto, che si trovano in condizioni di vulnerabilità totale e nell’impossibilità, in quanto vittime, di difendersi".

Jennifer Balint, opera una distinzione tra Genocidio e massacro collettivo; pur riconoscendo i pericoli di quella che Charny chiama "una ricerca ossessiva di nuove definizioni", essa sostiene che "occorre operare una distinzione tra la distruzione organizzata, intenzionale di un gruppo, sia che questa intenzionalità sia implicita o esplicita, e il massacro alla cieca di individui. Il primo può essere definito come Genocidio, il secondo come massacro collettivo. Il Genocidio, prosegue l’autrice, si caratterizza dunque per l’intenzionalità e la volontà, implicita od esplicita, di eliminare in modo sistematico (un gruppo di persone)".

Charny conviene sul fatto che la distinzione tra i genocidi intenzionali e gli altri, così come il livello di intenzionalità, sono importanti, ma tiene fermo il punto in base al quale tutti i casi di massacri collettivi devono essere inglobati nel concetto di Genocidio.

Il politologo R. J. Rummel, propone la nozione di democidio (demo, popolo e cidio, da caedere, uccidere), la quale ingloberebbe tutte le altre. Charny a questo proposito non oppone alcuna obiezione di tipo concettuale, nella misura in cui si tratta di una definizione inclusiva che non emargina pertanto i casi di massacro collettivo. Tuttavia, a differenza di Rummel, egli non restringe gli atti di massacro collettivo a quelli perpetrati dai governanti: egli infatti considera quali atti di Genocidio, o di democidio, anche quelli messi in atto da gruppi rivoluzionari tra loro rivali, da organizzazioni terroristiche, dalle diverse Chiese, dalle sette e da ogni altro elemento istigatore. Ed in questo modo egli si colloca sullo stesso piano di V. Dadrian, il quale si raccomanda perché "l’attenzione si sposti dagli Stati ai partiti politici, organismi in grado di sostituirsi al potere statale".

Il futuro ci dirà se il concetto di democidio è destinato ad espandersi. Nel frattempo, il termine Genocidio, che l’opinione pubblica ed i media hanno accettato per descrivere i massacri collettivi, è (secondo Charny) il termine generico all’interno del quale il Genocidio intenzionale rappresenta una sotto categoria molto importante.

Il carattere sistematico dello sterminio.

Lo sterminio deve essere sistematico e continuo o può essere sporadico?

Secondo il sociologo I. Horowitz, il Genocidio, lungi dall’essere un avvenimento sporadico o il risultato del caso, è sistematico e avviene grazie all’approvazione, quando non all’intervento diretto, dell’apparato statale. L. Kuper, ha coniato l’espressione "massacro genocidario" per descrivere avvenimenti che portano a casi non ripetuti di assassinio di massa, come le cruente rappresaglie messe in atto dai francesi nella città di Sétif, in Algeria, nel 1945. Kuper sostiene essere importante mantenere il concetto base di massacro genocidario, in quanto non utile coniare definizioni completamente nuove quando esiste una definizione universalmente riconosciuta ed una Convenzione sul Genocidio che consente un’azione concreta, anche se il concetto ad essa sotteso è abbastanza restrittivo. Egli afferma che in pratica tutti i massacri di massa sono dei genocidi, ma che il termine massacro induce a valutare l’atto dello sterminio in maniera più circoscritta.

Nel complesso dunque, il Genocidio può essere definito molto semplicemente come la distruzione di un gruppo, anche se una definizione maggiormente elaborata sembra da preferirsi per ragioni sia giuridiche sia scientifiche. Infatti, definendo e identificando gli elementi costitutivi del Genocidio, si possono meglio analizzare le modalità che ad esso conducono, nella speranza di impedire che tali azioni si ripetano nel futuro.

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