Direzione didattica di Pavone Canavese

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LAVAGNA SULLO SCHERMO
a cura di Paola Tarino

PICCOLI LAMA NELLA COPPA DEL MONDO

Film di Khyentse Norbu

Nella settimana della visita del Dalai Lama (evento mondano al centro delle onorificenze tributategli dalle autorità cittadine "di ogni tendenza" in osmosi sospetta) una presenza decisamente insolita e maggiormente discreta ha fatto la sua comparsa sugli schermi italiani: il film "LA COPPA", primo ed unico lungometraggio girato in lingua tibetana, seppur giunto doppiato nella nostre sale.
Il regista buthanese Khyentse Norbu, considerato un lama reincarnato ("Si suppone che io sia la reincarnazione di un essere molto importante. Ma io credo che, per la prima volta nella storia del buddismo, ci sia stato un errore di Karma! I Tibetani si sentono sempre un po' a disagio quando spiego loro che un film può raggiungere ben più di un individuo della loro costante ossessione nel voler costruire monasteri!") ed uno degli interpreti più provocatori del buddismo contemporaneo, ha scelto di ricorrere alla macchina da presa, dopo essere stato consulente religioso sul set di "Piccolo Buddha" di Bernardo Bertolucci, per raccontare una storia semplice, addirittura "vera" (come spiegano i titoli di coda), intenta a mostrare come i monaci siano prima di tutto degli uomini, soggetti pertanto alle passioni e alle frenesie dell'animo umano.

Prodotto da una troupe internazionale proveniente da Bhutan, Australia, Canada, Hong Kong, Francia ed America, il film è interamente ambientato nel monastero indiano di Chokling, situato in una zona abitata da rifugiati tibetani ai piedi dell'Himalaya.
Interpretata da numerosi monaci del monastero, intenti a recitare se stessi ("Per poter mantenere gli impegni nella preghiera, i monaci si svegliavano alle 4 di mattina, così da essere pronti per le riprese della giornata"), corre voce che l'opera sia stata terminata nei tempi e nel budget previsti (è costata in tutto un miliardo di lire) anche grazie al ricorso a pratiche divinatorie e alle presenza sul set di oracoli, yogi ed indovini, per favorire le circostanze propizie alla produzione, benedire il primo ciak, far cessare le piogge estenuanti o far tornare l'elettricità.

La sequenza iniziale del film, accompagnata dal sottofondo musicale che agevola l'immersione nello scenario di lì a poco svelato, predispone lo sguardo alla visione ed è al contempo "pars pro toto" della valenza che il regista sembra attribuire alla sua messinscena e ai contenuti da essa veicolati. Assistiamo infatti ad una lenta, meticolosa e delicata preparazione di uno stoppino, che consentirà di accendere una candela, ossia di iniziare il film, sprigionandone i bagliori, accentuati dalle dominanti rosse ed aranciate degli interni, ripresi dalle tuniche dei monaci. Un invito ad aderire a quella lanterna magica (considerata "forma d'arte pura"), per imparare gradualmente, nel corso del film e con gli sviluppi della narrazione, a prenderne le distanze: una lezione fondamentale del buddismo, da Norbu concepito come filosofia di vita e non religione in senso stretto ("Il buddismo insegna il distacco dalle passioni terrene, ma per staccarsi da qualcosa bisogna prima essere attaccati. Considerare il buddismo una religione equivale a considerare il calcio come una religione: sono atteggiamenti sbagliati").

Il monaco-regista Norbu

Monastero tibetano in esilio, 1998
Scorgiamo monaci intenti nelle loro occupazioni quotidiane, scandite dal suono del gong: le abluzioni, il bucato, le pulizie, le preghiere, le commissioni con la bici, i giochi dei più giovani in cortile, intanto la macchina da presa passa in dissolvenza dall'inquadratura di una statua a quella di una lattina di coca-cola (gettata sul pavimento, raccolta e messa in mano all'indovino perché provveda a fare una "predizione per i ragazzi"), mostra le tifoserie graffitate sul muro o i poster dei calciatori appesi in camera, inquadra i bigliettini che riportano i risultati delle partite che Orgyen, il piccolo apprendista lama, scambia con i compagni durante i rituali, sotto l'occhio vigile di un monaco più anziano, addetto alla loro educazione secondo i dettami della tradizione.
Il giovane, fiero di indossare sotto il saio la canottiera gialla che riporta il numero (9) ed il nome del suo adorato campione (Ronaldo: un altro con la testa rapata, pur non essendo monaco), non vede l'ora di uscire di nascosto dal monastero per poter assistere - previo pagamento - alle finali dei mondiali di calcio alla tv del villaggio vicino, sperando nella vittoria della Francia, nazione da sempre amica del Tibet.
Un taxi malridotto arranca lentamente lungo la strada del monastero, dal suo interno fuoriescono due giovani, Palden e Nyima, anch'essi tibetani, spediti clandestinamente in esilio dai loro parenti, nella speranza di essere ammessi alla vita monastica, lontani da ogni influenza cinese. Saranno affidati alle cure di Orgyen e di un altro compagno, che insegneranno loro le regole del convento, ma anche quelle del calcio, in una frenesia che aumenta con l'avvicinarsi della fatidica finale: un'onda magnetica trepidante capace di influenzare la comunità intera. Persino Geko, il superiore del monastero, non potrà far altro che assecondarla, accettando la proposta dei giovani (si rende conto che diventa difficile mantenere la disciplina quando "i rappresentanti di due stati vicini lottano per il possesso di una palla e per guadagnare una coppa"): la finale sarà trasmessa via satellite, attraverso un parabolone issato sul tetto del monastero, ma proprio nel momento in cui il sogno sembra realizzarsi ed il pallone entrare in rete, notiamo Orgyen eclissarsi, distaccarsi, interessato ad altro evento ..., di cui non mi sembra corretto fare lo spoiler, per non sciupare la poesia del finale, comunque lasciato aperto.

In attesa della partita ...

Solo qualche notazione: un episodio gustoso, uno dei pochi in grado di spezzare il ritmo dei rituali a cui lo sguardo si è ormai abituato, mostra i giovani davvero solidali nel disperato tentativo di fare la colletta per raggranellare la somma necessaria al noleggio dell'apparecchio televisivo. Nonostante la circostanza sia futile, a tratti divertente, si avverte la presenza della comunità, "l'abitare" il convento con se stessi e gli altri da sé, misurandosi con un sogno, a cui aderire per il tempo di una partita, che ha una durata prevedibile (al massimo si va ai supplementari), ma una particolarità unica: si gioca solo ogni quattro anni ed allora non si può proprio perderla, costi quel che costi! (la prossima lavagna ne mostrerà un altro esempio, ancora più sofferto)

Pur essendo semplice e a tratti didascalico, il film risulta efficace perché spogliato dal solito misticismo greve che spesso permea le cinematografie che trattano temi analoghi, in più rimanda - a modo suo - ad un dramma autentico, quale quello dell'occupazione cinese del Tibet ("Questione dolorosa, per la quale non c'è altro da fare che renderla pubblica"), tra anziani che sognano di potervi tornare (per questo tengono i bagagli pronti a portata di mano), e giovani che non si fanno problemi a lasciarsi contaminare dalle mode occidentali (il giovane Jamyang Lodro, l'interprete di Orgyen, in cambio della sua prestazione, ha ottenuto un viaggio premio a Disneyland e non se l'è fatto dire due volte: ci è andato di corsa!). In fondo questi giovani, pur destinati a confrontarsi con il proprio destino di futuri lama, non fanno altro che assomigliare a tutti gli altri ragazzi della loro età. Per fortuna …, vien da dire, anche se resta sempre il sospetto di trovarsi di fronte ad una delle tante facce del mondo globalizzato. Di certo i piccoli lama sanno conservare almeno un'ora e mezzo al giorno per la meditazione, mentre noi ne occupiamo di più per navigare in Internet!

Finalmente si gioca!

* Gli appassionati di calcio non potranno non notare un errore vistoso: nella partita Italia - Francia sono stati inseriti rigori appartenenti in realtà ad una partita precedente: quella che permise il passaggio della Francia al turno per arrivare alla finale. Per ragioni di costo il produttore non acconsentì di correggere quella svista, scusandosi in seguito: "Non poteva immaginare che l'opera sarebbe circolata con successo in tutto il mondo!"

Verso un'altra coppa!

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La diciassettesima puntata ha preso in rassegna il film di Andrej Tarkovskij
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