Il
film descrive la fanciullezza di Ivan, bruscamente troncata dagli eventi bellici della
seconda guerra mondiale, il cui desiderio di vendetta diventa capace di trasformarlo in
una cieca macchina da guerra.
Ivan è un dodicenne che la guerra ha reso orfano, ponendo crudelmente fine ai suoi
giochi, al suo sorriso ed anche al suo primo innocentissimo idillio. Risentito ed offeso
(sul muro di una cella illumina con una torcia l'appello lanciato da un gruppo di giovani
russi condannati a morte: "Vendicateci!"), avrà una repentina evoluzione,
dominata dall'ossessione di riscattare i suoi morti, i bambini massacrati, le vittime
della furia nazista.
Per condurre la propria battaglia decide di seguire le truppe dell'armata rossa al fronte,
diventando un esploratore ed un informatore di un reggimento di prima linea: una sorta di
staffetta preziosa, in quanto capace di attraversare a nuoto il fiume che separa le linee
nemiche, intrufolandosi nei pertugi o attraverso il filo spinato.
Benvoluto dai soldati, che rappresentano la sua nuova famiglia e che invano cercano di
convincerlo a tornarsene a scuola (ci provano, ma lui fugge), fermo nei suoi propositi,
precocemente maturo, ma al contempo bisognoso di affetto, Ivan scomparirà durante
una missione pericolosa, la sua ultima avventura, poi gli sarebbe stato concesso di
allontanarsi dal fronte.
Solo a guerra finita, presso la sede della polizia segreta di Berlino, la sua fotografia
emergerà ufficialmente tra i fascicoli dei morti civili: impiccato dai nazisti.
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Il
film trova la sua forza più autentica proprio nella sua ferma condanna della guerra, una
realtà mostruosa, perché non solo distrugge fisicamente, ma uccide dentro,
impedendo ad esempio ai bambini di avere una fanciullezza e di poter crescere serenamente.
Quasi automaticamente il pensiero va alle infanzie distrutte a Belgrado e ai bambini
ceceni che subiscono le medesime turpitudini, questa volta a causa dell'esercito russo.
Ivan appare come un morto vivente, ha perso la gioia di vivere, è
animato solo dall'odio contro chi ha sterminato la sua famiglia, fa della guerra un
impegno d'onore ed al contempo una prova di coraggio. Eppure è capace di frenare il suo
rancore sognando un'infanzia diversa, immaginando schegge passate di una vita ipotetica
cancellata dall'assurdità del conflitto, che lo costringe comunque ed inevitabilmente ad
una dolorosa discesa agli inferi.
Il rapporto tra realtà e desiderio viene tradotto sullo schermo dal regista in una
originale contrapposizione, ora drammatica ora lirico-sentimentale, affidata alla scelta
stilistica del bianco e nero. L'alternanza di luci e di ombre, di chiaro e di scuro,
sottolinea la differenza tra sogno e realtà, tra paradiso ed inferno, tra brani di
documentari bellici e scene affidate alla memoria.
La luminosità dei siparietti onirici,
flashback che consentono al ragazzo di ricordare il passato felice, in compagnia della
madre (interpretata dalla mamma stessa del regista, Irma Tarkoskaja), della bambina con
cui divide i frutti della terra e dei cavalli liberi, ferisce lo sguardo, non solo per
ragioni di tipo estetico, ma a causa del repentino passaggio, privo di dissolvenze, al
buio delle sequenze nel bosco, con gli alberi allagati, illuminati dai razzi che solcano
il cielo o attraversati da un'alba livida.
Lungo il cammino della sua ultima missione, Ivan
scorge impiccati i due soldati che erano venuti a cercarlo, muore uno dei suoi amici,
l'insidia nemica lo sovrasta, ma al contempo l'esalta e lo rende forte: lo vedremo,
temerario e scuro in volto, allontanarsi per raggiungere le linee nemiche, fare un ultimo
cenno di saluto ai commilitoni dell'Armata Rossa, per poi scomparire e confondersi nel
fitto della foresta ...
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Considerato un film importante nella storia del cinema del cosiddetto
"disgelo", annoverato nel filone del cinema antifascista sovietico, il
primo lungometraggio di Tarkoskij venne premiato con il Leone d'Oro alla Mostra di Venezia
del 1962, tra le polemiche di una parte della critica ufficiale, in particolar modo quella
proveniente dalla sinistra europea (solo Sartre spezzò una lancia in suo favore,
difendendolo in una lettera pubblicata sull'Unità), che osò tacciarlo di eccessivo
formalismo per i suoi virtuosismi nei movimenti di macchina, per l'uso compiaciuto di
metafore e immagini poetiche, e le critiche dell'aparatnik sovietico, che lo giudicò un
film affatto patriottico (gli eroi non abbastanza celebrati come tali, la storia trattata
in maniera irrazionale ed emotiva), troppo pacifista, incapace di continuare l'oratoria
propagandistica e l'ottimismo volontaristico del periodo staliniano.
Per farla breve
venne accusato di tiepidezza ideologica ed in alcuni casi persino di disfattismo.
Per quanto datato (4 aprile 1963) risulta
significativo ricordare il parere di Grazzini:
"Condannare L'infanzia
di Ivan perché il dodicenne protagonista del film è privo di consapevolezza
patriottica, equivale ancora una volta a strumentalizzare la coscienza. Il senso poetico
dell'opera consiste invece nel denunciare il male della guerra senza tener conto che si
tratti di una guerra giusta o ingiusta. Siamo tutti abbastanza maturi per essere convinti
che non esistono guerre giuste, e che esse rappresentano in ogni caso, come dice Sartre,
le perdite secche della storia [
].
La mano di Tarkoskij è così delicata che
accusarlo di formalismo ci sembra immeritato. In realtà questo giovane regista ha la
sobrietà di un poeta che esprime attraverso le immagini una sua tenue ma schietta
ispirazione. Se esse sono talvolta troppo eleganti, non perciò mancano di espressività
lirica [
].
L'eleganza formale, applicata soprattutto al
paesaggio, è d'altronde l'implicita risposta di un regista moderno, che guardando
indietro, al recente passato del suo Paese, ha ragione di preferire la compagnia di
artisti giovani e inquieti a quella degli accademici illustratori di gesta proletarie.
Tarkoskij scegliendo la via dei sentimenti, e tuttavia imboccandola con pudore (egli
stesso ha criticato l'enfasi di Evtuenko), ha toccato più di quanto forse non creda
una corda dalle lunghe risonanze, in Oriente e in Occidente. Vengono i brividi a pensare
che un film come L'infanzia di Ivan possa avere provocato, in Russia, polemiche sul
suo contenuto. È vero che c'è sempre chi odia il cuore dell'uomo, e disprezza la
grazia". (Giovanni Grazzini, "Gli anni sessanta in cento film",
Universale Laterza, Roma-Bari, 1978, pp. 50-53).
Ad Ivan e a tutti i
bambini costretti ad imbracciare un fucile tributiamo questo omaggio virtuale,
ricordandoli in occasione del disperato appello lanciato dalla Coalition to Stop
the Use of Child Soldiers.
Per chi fosse
interessato a noleggiare la pellicola in 16 mm, può rivolgersi alle seguenti case di
distribuzione:
EFFETTO NOTTE Tel. 02-89429226 Fax
02-8051755
FENICE Tel. 06-491161 Fax 06-491990
ANTONIANA 049-8762436 Fax 049-8074242 |
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