Direzione didattica di Pavone Canavese

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LAVAGNA SULLO SCHERMO
a cura di Paola Tarino

 

IQBAL, di Cinzia Th Torrini (1998)

altri materiali sul tema del lavoro minorile

Dossier, a cura di Aluisi Tosolini

 

SULLA SCIA DI UN AQUILONE
M
ULTICOLORE

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"Festa dei lavoratori": la lavagna si tinge di rosso vivo.
Colore di lotta e di sangue come testimonianza visiva da offrire a tutti gli Iqbal Masih sparsi nel mondo, costretti negli anni più belli della loro vita ad un lavoro minorile massacrante e disumano, venduti per pochi soldi, sfruttati da un mercato della globalizzazione, che vede proprio nella loro manodopera, preziosa in quanto sottopagata ("3 bambini fanno il salario di un adulto"), l'inizio di un ciclo produttivo sempre più decentrato, delocalizzato, subappaltato e quindi mai soggetto ad alcun controllo possibile.
Bambini che cuciono palloni in India per aziende europee e grandi marche americane, bambini che producono mocassini in Albania per conto di calzaturifici italiani, bambini che preparano maglioni in Turchia per ditte subfornitrici di nostre industrie famose, abili poi nelle loro campagne pubblicitarie per diffondere immagini di infanzie multietniche felici e solidali: l'elenco potrebbe continuare all'infinito, come i molteplici nodi stretti da mani piccine su tappeti destinati a fornire guadagni altrui, passando di mano in mano ("Mani piccole nodi piccoli, guadagni immensi per fare tappeti. Questo tappeto glielo vendo a cento dollari, spiega il padrone di Iqbal al cliente bianco, ma a casa sua lo potrà rivendere a duemila").

Il film di Cinzia Th Torrini, "IQBAL" (1998), liberamente ispirato alla vera storia del bambino pakistano ucciso il 16 aprile 1995 dai suoi ex-schiavisti per un pugno di tessuti e di dollari, s'inizia proprio con una dedica: "Al piccolo Iqbal Masih che ha sacrificato la vita per la libertà di tutti i bambini schiavi del mondo", un simbolo della lotta contro il lavoro minorile, a cui dedicare con orgoglio questo giorno di festa. Una pellicola da affiancare a quelle famose sulla strage di Portella delle Ginestre.
Iqbal, venduto a riscatto all'età di cinque anni dalla sua famiglia per sole 5000 rupie (ossia 140 dollari, ma c'è chi vale ancora di meno!), trascorre dodici ore al giorno, in condizioni pessime, incatenato ad un telaio per sei lunghi anni, finché, durante uno dei suoi innumerevoli tentativi di fuga, trova il coraggio di rivolgersi non alle forze dell'ordine (corrotte e comprate dai commercianti senza scrupoli) e neppure alla famiglia (che si vedrebbe costretta a riconsegnarlo al suo aguzzino per poter estinguere un debito senza fine), ma ad un sindacalista che si batte per la difesa dei diritti dei minori.

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A 12 anni Iqbal può finalmente imparare a leggere e a scrivere, decide di impegnarsi nella lotta di liberazione di tanti altri coetanei che vivono la sua stessa sorte, rischia di suo e diventa famoso (riceve persino a Boston il premio dei giovani in azione per i diritti dell'infanzia), ma la sua notorietà finirà al contempo per nuocergli. Non appena i fatturati delle vendite dei tappeti pakistani cominceranno a scendere del 20%, la lobbie dei commercianti locali farà in fretta ad identificare il lui la causa della perdita economica, decidendo di condannarlo a morte.
Una piccola vittima sacrificale esposta troppo e pertanto poco tutelata anche dall'amico sindacalista, come sembra suggerire nel film un'attivista previdente, quando gli mormora: "La pubblicità che gli fai non è un bene per lui, rischia molto e ha solo dodici anni. Non lo stai proteggendo, lo stai usando".
Forse Iqbar si sarebbe esposto da solo, il film ce lo mostra determinato e coraggioso, irriducibile e votato alla causa, desideroso di istruirsi, ma anche di giocare o di far felice la nonna cieca, regalandole la bambola che non aveva mai potuto avere da bambina.          

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Prima che il proiettile sicario trovi il proprio bersaglio nel suo giovane petto, nella scena finale lo vediamo correre sulla spiaggia in compagnia di amici, intento a far volare un aquilone, che resterà in cielo a volteggiare come un simbolo di speranza, mentre lui si accascia al suolo.
Il vero Iqbal non ha nemmeno meritato questo ultimo gioco: era uno dei 250 milioni di piccoli schiavi moderni, secondo le stime dell'UNICEF (la cui rappresentanza italiana ha patrocinato il film insieme ad altre coproduzioni europee), piccolo rappresentante di un problema ormai noto: in Pakistan lavora il 20% della popolazione minorile, in India 44 milioni di bimbi, in Bangladesh un quarto della popolazione infantile è impiegata nell'industria tessile, in Nepal ben il 60% dei bambini svolge lavori che ne impediscono lo sviluppo.
Le cifre impressionanti potrebbero proseguire, passando in rassegna altri stati. Ma mi fermo qui, ne basta solo uno, come Iqbal, per farci già vergognare di essere uomini, adulti, e forse anche di essere occidentali.
Mi permetto di segnalare due interessanti siti in Internet dedicati ad Iqbal:

- il primo, curato dai bambini della scuola elementare di Canale, approfondisce numerose problematiche dedicate al lavoro infantile
- il secondo, prodotto dalla
Broadmeadow Middle School, ha l'intento di mantenere vivo il sogno di Iqbal attraverso una campagna di progetti ed iniziative didattiche.
Colgo inoltre l'occasione per ricordare che ad Afragola, vicino a Napoli, è stata da poco varata, da parte della scuola Europa Unita, l'iniziativa di costituire un museo - laboratorio permanente intitolato ad Iqbal Masih, proprio in un quartiere "a rischio", vicino idealmente a quelli del Sud-Est asiatico.
I suoi obiettivi sono quelli di creare una sorta di memoria storica dell'infanzia attraverso materiali dei e sui ragazzi esposti al disagio e di costituire una banca dati sulla condizione dell'infanzia nel mondo.

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La puntata precedente ha preso in rassegna il film di Lewis Milestone
¨All'ovest niente di nuovo"