SULLA SCIA DI UN AQUILONE
MULTICOLORE
"Festa
dei lavoratori": la lavagna si tinge di rosso vivo.
Colore di lotta e di sangue come testimonianza visiva da offrire a tutti gli Iqbal
Masih sparsi nel mondo, costretti negli anni più belli della loro vita ad un lavoro
minorile massacrante e disumano, venduti per pochi soldi, sfruttati da un mercato della
globalizzazione, che vede proprio nella loro manodopera, preziosa in quanto sottopagata
("3 bambini fanno il salario di un adulto"), l'inizio di un ciclo
produttivo sempre più decentrato, delocalizzato, subappaltato e quindi mai soggetto ad
alcun controllo possibile.
Bambini che cuciono palloni in India per aziende europee e grandi marche americane,
bambini che producono mocassini in Albania per conto di calzaturifici italiani, bambini
che preparano maglioni in Turchia per ditte subfornitrici di nostre industrie famose,
abili poi nelle loro campagne pubblicitarie per diffondere immagini di infanzie
multietniche felici e solidali: l'elenco potrebbe continuare all'infinito, come i
molteplici nodi stretti da mani piccine su tappeti destinati a fornire guadagni altrui,
passando di mano in mano ("Mani piccole nodi piccoli, guadagni immensi per fare
tappeti. Questo tappeto glielo vendo a cento dollari, spiega il padrone di Iqbal al
cliente bianco, ma a casa sua lo potrà rivendere a duemila").
Il
film di Cinzia Th Torrini, "IQBAL" (1998), liberamente ispirato alla vera
storia del bambino pakistano ucciso il 16 aprile 1995 dai suoi ex-schiavisti per un pugno
di tessuti e di dollari, s'inizia proprio con una dedica: "Al piccolo Iqbal Masih
che ha sacrificato la vita per la libertà di tutti i bambini schiavi del mondo",
un simbolo della lotta contro il lavoro minorile, a cui dedicare con orgoglio questo
giorno di festa. Una pellicola da affiancare a quelle famose sulla strage di Portella
delle Ginestre.
Iqbal, venduto a riscatto all'età di cinque anni dalla sua famiglia
per sole 5000 rupie (ossia 140 dollari, ma c'è chi vale ancora di meno!), trascorre
dodici ore al giorno, in condizioni pessime, incatenato ad un telaio per sei lunghi anni,
finché, durante uno dei suoi innumerevoli tentativi di fuga, trova il coraggio di
rivolgersi non alle forze dell'ordine (corrotte e comprate dai commercianti senza
scrupoli) e neppure alla famiglia (che si vedrebbe costretta a riconsegnarlo al suo
aguzzino per poter estinguere un debito senza fine), ma ad un sindacalista che si batte
per la difesa dei diritti dei minori.
A 12 anni Iqbal può finalmente imparare a leggere e
a scrivere, decide di impegnarsi nella lotta di liberazione di tanti altri coetanei che
vivono la sua stessa sorte, rischia di suo e diventa famoso (riceve persino a Boston il
premio dei giovani in azione per i diritti dell'infanzia), ma la sua notorietà finirà al
contempo per nuocergli. Non appena i fatturati delle vendite dei tappeti pakistani
cominceranno a scendere del 20%, la lobbie dei commercianti locali farà in fretta ad
identificare il lui la causa della perdita economica, decidendo di condannarlo a morte.
Una piccola vittima sacrificale esposta troppo e pertanto poco tutelata anche dall'amico
sindacalista, come sembra suggerire nel film un'attivista previdente, quando gli mormora:
"La pubblicità che gli fai non è un bene per lui, rischia molto e ha solo dodici
anni. Non lo stai proteggendo, lo stai usando".
Forse Iqbar si sarebbe esposto da solo, il film ce lo mostra determinato e coraggioso,
irriducibile e votato alla causa, desideroso di istruirsi, ma anche di giocare o di far
felice la nonna cieca, regalandole la bambola che non aveva mai potuto avere da bambina.
Prima
che il proiettile sicario trovi il proprio bersaglio nel suo giovane petto, nella scena
finale lo vediamo correre sulla spiaggia in compagnia di amici, intento a far volare un
aquilone, che resterà in cielo a volteggiare come un simbolo di speranza, mentre lui si
accascia al suolo.
Il vero Iqbal non ha nemmeno meritato questo ultimo gioco: era uno dei 250 milioni di
piccoli schiavi moderni, secondo le stime dell'UNICEF (la cui rappresentanza italiana ha
patrocinato il film insieme ad altre coproduzioni europee), piccolo rappresentante di un
problema ormai noto: in Pakistan lavora il 20% della popolazione minorile, in India 44
milioni di bimbi, in Bangladesh un quarto della popolazione infantile è impiegata
nell'industria tessile, in Nepal ben il 60% dei bambini svolge lavori che ne impediscono
lo sviluppo.
Le cifre impressionanti potrebbero proseguire, passando in rassegna altri stati. Ma mi
fermo qui, ne basta solo uno, come Iqbal, per farci già vergognare di essere uomini,
adulti, e forse anche di essere occidentali.
Mi permetto di segnalare due interessanti siti in Internet dedicati ad Iqbal:
- il primo, curato dai bambini della scuola elementare di Canale, approfondisce numerose problematiche dedicate al lavoro infantile
- il secondo, prodotto dalla Broadmeadow Middle School, ha l'intento
di mantenere vivo il sogno di Iqbal attraverso una campagna di progetti ed iniziative
didattiche.
Colgo inoltre l'occasione per ricordare che ad Afragola, vicino a
Napoli, è stata da poco varata, da parte della scuola Europa Unita, l'iniziativa di
costituire un museo - laboratorio permanente intitolato ad Iqbal Masih,
proprio in un quartiere "a rischio", vicino idealmente a quelli del Sud-Est
asiatico.
I suoi obiettivi sono quelli di creare una sorta di memoria storica
dell'infanzia attraverso materiali dei e sui ragazzi esposti al disagio e di costituire
una banca dati sulla condizione dell'infanzia nel mondo.
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La puntata precedente ha
preso in rassegna il film di Lewis Milestone
¨All'ovest niente di nuovo"
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