Direzione didattica di Pavone Canavese

HOMO PATRIOTICUS:
NAZIONALISMO ED EDUCAZIONE

di Aluisi Tosolini

"da ALFAZETA n. 67/68. Il mondo capovolto. L'Argentina e il suo sogno"

"Ci sono due possibili immagini del labirinto. Uno è il dedalo, cui siamo abituati da millenni, un intrico di vie che non portano da nessuna parte, con al centro il mostro o il nulla... L’altra, cui non ci abitueremo mai, è quella del deserto. Nel primo c’è tutto sommato qualcosa di rassicurante: sei al riparo nel chiuso di un palazzo o di un giardino; nel secondo non sei al riparo proprio per niente: sei nullificato a priori. Se dal primo un’uscita si dà, dal secondo non c’è uscita, è certo."

Con queste parole in testa, [parole di Rino Genovese che nel retro di copertina del suo "Tango italiano" ipotizza una uscita dal labirinto italo-argentino.... uscita che poi non c’è perché siamo nel deserto, non nel chiuso di un palazzo, o di una città (foss’anche Buenos Aires), o di un giardino. Siamo, se non proprio nel deserto della pampas... di certo nel deserto metaforico, ma non per questo meno reale e drammatico, della condizione post-moderna ... ] con queste parole in testa - dicevo - ho cercato di affrontare uno dei nodi cruciali della storia argentina: l’educazione.
La domanda può così riassumersi: quanto la scuola argentina (nelle sue forme e nei suoi programmi) ha inciso a livello di formazione e creazione di una mentalità "nazionalista", autoritaria, non democratica?
Un'ipotesi di risposta è ritrovabile nello studio di Carlos Escudé (La riconquista argentina. Scuola e nazionalismo) pubblicato da Edizioni Cultura della Pace.
Un’analisi storica che muove i propri passi dalla fine dell’800 mostrando come, anno dopo anno, caratteristica della classe dirigente fu quella di mascherare ipocritamente con un linguaggio liberale una cultura ed una pratica autoritarie.

L’HOMO PATRIOTICUS

Se la prima forma di educazione in Argentina fu progressista, ciò venne meno dal 1908 in avanti, anno in cui iniziò una pratica educativa tesa al più spinto nazionalismo ed all’indottrinamento patriottico collettivo.
Per capirci bastano poche parole di Joaquìn V. Gonzàles tratte dal suo famosissimo volume "Patria" del 1908. "La Patria è la persona imperitura per cui lottano e lavorano gli uomini, le società, i governi, le nazioni. Essa è distinta e superiore a tutte queste cose: ne è l’anima invisibile e generatrice". La Patria è vista come una "persona", è l’"anima invisibile", assurge al ruolo di divinità e l’individuo deve essere al suo servizio (e non il contrario, alla faccia di ogni liberalismo). E, scrive Escudé, "quando si instaura un dogma fallace, nascono sempre i salvatori della patria che credono di incarnare gli autentici interpreti dell’Essere Nazionale e che tentano, spesso con successo, di imporsi ai desideri della maggioranza ed ai diritti degli individui" (pag. 19). Ne consegue che "la tolleranza è inammissibile, il pluralismo aberrante e la democrazia un male al massimo grado" (pag 20).
Ma perchè prese avvio un tale processo? Il motivo è legato alla massiccia immigrazione che negli ultimi anni dell’800, provenendo dall’Europa, investì l’Argentina. E proprio gli immigrati e la loro cultura (per molti versi "progressista") costituivano un problema. Il progetto della aristocrazia argentina fu chiaro: diseuropizzare gli immigrati da tutto ciò che di progressista la cultura europea poteva apportare senza tuttavia rigettare gli involucri di tale cultura. Così, dall’inizio del secolo in poi, la parola liberale in Argentina non designò più una concezione politica basata sulla difesa dei diritti degli individui ma iniziò ad identificare un contenuto nazionalista. E’ la nascita dell’ homo patrioticus fondato su una argentinità inesistente (perché l’Argentina non esiste, se non negli indios autoctoni che però furono fra i primi ad essere "eliminati" dalla scena politico-sociale della pampas) ma continuamente riproposta.

LA RELIGIONE DEL PATRIOTTISMO

L’edificazione dell’argentinità si può seguire agevolmente analizzando i libri di testo, in particolare di Geografia, diffusi nel paese dal 1908 in avanti. E’ curioso notare come gli argentini (ma anche l’Ecuador, il Perù ed altri paesi latinoamericani, e qui sta la curiosità) si ritenessero vittime dell’espansionismo dei paesi limitrofi. Il mito delle perdite territoriali ben spiega la follia collettiva della guerra delle Malvinas ed è funzionale agli interessi corporativi delle forze armate che hanno bisogno di "ipotesi di conflitto" per giustificare bilanci gonfiati, acquisti di armi, pesanti interventi repressivi dentro la società.
Il progetto "educativo" sin qui descritto non rimane tuttavia solo a livello teorico ma informa di sé ogni aspetto della didattica, dagli esercizi di matematica ai canti (patriottici, ovviamente), agli argomenti di storia e lingua.
Il programma di educazione civica del 1908 (e poi per molti decenni) recita: "Il primo e principale dovere dell’uomo e del cittadino consiste nell’amare, onorare e servire la Patria, adoperandosi per la sua prosperità interna e per la sua grandezza e la sua gloria all’estero.". Non è difficile leggere, in questa affermazione, una singolare assonanza linguistica con il quarto comandamento che chiama i cristiani ad onorare il padre e la madre.... Non contenti, tuttavia, i pedagogisti argentini prepararono anche un prontuario (una specie di catechismo patriottico) da imparare a memoria. Ecco una perla:
"Maestro: Quali sono i doveri del buon cittadini?
Alunno: Il primo dovere è quello di amare la Patria
Maestro: Più dei genitori?
Alunno: Sopra ogni altra cosa".

L’ideologia del patriottismo si trasforma così in religione, religione che sta alla base della creazione di un "nazionalismo" che può stare in piedi solo costruendo una nazione laddove l’Argentina è, al contrario, solo un incidente storico-politico.
Chi si distinse in tale opera fu Carlos Octavio Bunge che, dalle colonne del Monitor (l’organo di stampa che seguiva le questioni educative), mira a costruire un corpus di miti, leggende e tradizioni capaci di forgiare l’immaginario collettivo del popolo argentino mediante un lavaggio collettivo del cervello ed una ipnosi di massa.

EVITA MI AMA

Non si creda che il progetto educativo sopra presentato sia mutato nel tempo. Carlos Escudé, analizzando i documenti ufficiali ed i libri di testo diffusi in Argentina, mostra con dovizia di particolari come il progetto educativo improntato al nazionalismo, all’irrazionalità, all’emotività ed al dogmatismo abbia continuato ad agire indisturbato per decenni.

Si vedano ad esempio gli orientamenti morali per l’educazione pubblicati su Monitor dopo il colpo di stato del 1930:

  1. la scuola argentina, dai primi anni sino all’università, deve proporsi di sviluppare negli argentini la ferma convinzione che il destino manifesto della loro nazionalità consiste nel consumare una civiltà propria, di carattere eminentemente democratico, erede di valori spirituali - rivisitati - della civiltà occidentale

  2. di conseguenza ... la scuola argentina si propone di contribuire alla formazione di una razza in grado di realizzare il manifesto destino della nazione

  3. l’educatore argentino deve contribuire alla formazione di un tipo di uomo resistente alla fatica e alle malattie, sereno, pronto ad affrontare i pericoli e adatto al lavoro...

  4. la scuola argentina deve proporsi l’obiettivo di educare la personalità psichica del nostro fanciullo in funzione dell’ideale collettivo...

Non credo siano necessari commenti... se non che ai punti sopra citati va aggiunta una significativa esaltazione mistica del militarismo. Come scriverà Josè Astolfi "La mistica dell’insegnamento si coniuga con la mistica del nazionalismo, sentimento che non ci è né nuovo né estraneo. Questa mistica del nazionalismo deve venir promossa dalla scuola. Viviamo in un paese in cui l’ondata migratoria è dilagante. Nonostante i nostri sforzi per assimilare gli stranieri, continuano ad esserci gruppi che fanno resistenza e si ostinano a non integrarsi nelle masse. Tale resistenza rappresenta indiscutibilmente un pericolo.....
Voglia Dio che l’esercito non si trovi mai nella necessità di difendere il suolo patrio mediante una campagna militare, ma il corpo insegnante deve già da ora stare all’erta, lottando contro questo (pericolo). Questo compito di fondamentale importanza è stato infatti delegato a coloro che sono impegnati nel campo educativo. Il patriottismo è stata una bella manifestazione di amore collettivo: bandiere che sventolano, inni che si innalzano, colonne di bambini, di soldati e di cittadini che sfilano con gioia; tutto questo è diventato un’esigenza categorica, un obiettivo imprescindibile per difendere la nazione" (Monitor, 1940).

Parole profetiche, purtroppo: infatti l’esercito argentino (e non credo Dio abbia voluto...) è intervenuto lungo il corso degli anni con mano pesantissima dentro la stessa società eliminando migliaia di oppositori.
Secondo Astolfi, militari ed insegnanti sono due facce della stessa medaglia, due armi in mano allo stesso esercito.
"Qualche anno più tardi scrive Escudé - Peron forgerà una nuova mistica, imperniata sul movimento e la sua stessa persona. L’idea era già nell’aria. La mistica peronista non risulterà estranea agli argentini" (pag 78).
Così, per concludere con le parole di Evita Peron (1950): "... colui che non si sente peronista non può sentirsi argentino". E, quasi di rimando, i libri di testo di grammatica del periodo utilizzano come esercizio sulla coniugazione del verbi la frase "Evita mi ama", in sostituzione di "la mamma mi ama".
Detto altrimenti: l’ingranaggio educativo che aveva preso l’avvio all’inizio del secolo era perfettamente sopravvissuto ed era capace di assorbire e digerire qualsiasi contenuto: purché compatibile con il suo autoritarismo originario. Ed il messaggio di Peron e dei dittatori militari che lo seguirono lo era.

UNA RIVOLUZIONE PASSIVA

Lo studio di Escudé mi ha illuminato.
Capisco meglio, adesso, la definizione fornita a Rino Genovese da un suo interlocutore di Buenos Aires: "con il concetto di rivoluzione passiva si può cogliere il tratto peculiare della politica latinoamericana in genere ed argentina in particolare. Questo concetto esprime bene il senso di una mobilitazione del popolo come massa di manovra subordinata agli interessi di un’élite dirigente o agli ordini di un capo. E’ la passività intesa in questo modo ciò che ha minato ogni trasformazione sociale qui da noi"(pp. 73-74).
E capisco bene il dramma narrato da Eva che, in qualche modo, era stata peronista. Perché Peron, durante il suo esilio nella Spagna franchista, era riuscito - ecumenicamente - ad essere sostenuto sia da destra che da sinistra. Così, al suo rientro trionfale in Argentina (1973), le due diverse fazioni si incontrarono all'aeroporto e l’ambiguità fu subito sciolta. Le due fazioni si guardarono in faccia.... e fu una carneficina.
Eva, la guida di Genovese nel labirinto argentino, era lì presente, con suo padre. Aveva 12 anni. Suo padre era ebreo: fuggito dall’Europa nazista aveva trovato una "patria" in Argentina.
Il populismo nazionalista alla Peron aveva trovato il modo di sposarsi con il marxismo rivoluzionario alla Guevara. Nel nome della rivoluzione passiva, e su un terreno da decenni arato e messo a coltura dalle logiche educative che sotto l’etichetta di liberalismo nascondevano le peggiori nefandezze dell’autoritarismo.
E, se è così, si capisce anche come sia difficile anche solo pensare di uscire dal "labirinto" argentino.

... UN’ALTRA STORIA

Ed ancora, come il labirinto di cui stiamo parlando non sia solo argentino ma pian piano stia "colonizzando", come la mappa di Borges, significative fette del pianeta.
Dire che stiamo parlando anche di noi può sembrare banale oltre che stupido.
Ma è proprio anche di noi che stiamo parlando. Di noi e del problema di fornire senso e significato a percorsi educativi tesi alla formazione di quanti sono immigrati in Italia (si direbbe "educazione interculturale" ma è così in disuso che persino i grandi saggi a cui l’italico Ministero della Pubblica Istruzione ha affidato il compito di definire i saperi fondamentali per i prossimi decenni nemmeno la citano. Come neppure citano il fatto - che pare incontrovertibile a tutti ma non a loro - che le società del futuro saranno sempre più multiculturali...) e di quanti (tutti noi) sono chiamati ad "emigrare" nell’immaginario collettivo dell’Europa o della casa comune chiamata mondo.
Si potrebbe persino sostenere che tra il progetto di "occidentalizzazione del mondo" (si veda al proposito Serge Latouche ed i suoi illuminanti saggi) e le farneticanti affermazioni di Josè Astolfi sopra riportate non vi siano differenze. Se non di forma. Che oggi l’autoritarismo antidemocratico sa presentarsi in forme e modalità particolarmente affascinanti (... direi ... "neoliberiste"...). E per questo ancor più pericolose.
... ma questa è un’altra storia. Che ci riporta comunque nel cuore del labirinto.
Il labirinto-deserto, quello senza cuore, senza mostri, senza via d’uscita, senza riparo. Quello che nullifica.
Ma è, appunto, un’altra storia. Ne riparleremo (anche stando dentro il labirinto-deserto, anche senza avere la pretesa di uscirne. Visto che uscirne è impossibile. Forse perché il deserto non è fuori di noi ma dentro di noi?. Ed anche questa domanda.... è un’altra storia).

Aluisi Tosolini

 

Note bibliografiche:

1. Rino Genovese, Tango italiano, Torino, Bollati Boringhieri, 1997

2. Carlos Escudé, La riconquista argentina. Scuola e nazionalismo, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole, 1992

3. si veda il documento "I contenuti essenziali per la formazione di base", marzo 1998, reperibile ad esempio in R. Maragliano, Tre ipertesti su multimedialità e formazione,Laterza, 1998, pp. 144-157. Per un’analisi del documento dal punto di vista dell’interculturalità rimando ad un mio saggio in via di pubblicazione sulla rivista I diritti della scuola, oltre che alla sezione Educazione Interculturale (sempre curata dal sottoscritto) in questo sito

4. mi permetto di rimandare alla recensione del saggio di G. Rist (Lo sviluppo, Torino, 1997) pubblicata sul precedente numero di AlfaZeta. In tale recensione viene presentata anche la posizione di Serge Latouche e, soprattutto, si argomenta attorno allo sviluppo come "credenza-religione" dell’occidente. Il che torna utile in questo contesto "argentino" dove "religione" è la categoria con cui vengono trattati i nodi dell’autoritarismo, del nazionalismo, dell’irrazionalità

 

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