08.09.2010
La
questione federalista
di Stefano Stefanel
Il mio articolo sul federalismo, che ha aperto il dibattito sul tema e che è stato pubblicato con tanto di occhiello da Pavone Risorse, non ha suscitato alcun commento diretto, anche perché sulla questione del federalismo difficilmente le persone ascoltano e, dunque, preferiscono esporre le proprie idee in modo diretto, anche se magari alcune di queste idee sono basate su preconcetti. Ho trovato molto interessanti tutti gli articoli usciti sul sito, che si sposano con altri che stanno uscendo su alcune riviste specializzare a cominciare da quelli di Anna Armone e Aladino Tognon su “Dirigere la scuola”, due autori convinti che il federalismo sarà pensato e non improvvisato e che comunque apporterà mutamenti positivi al sistema scolastico italiano. In questa direzione si muove l’intervento di Enrico Monteil Federalismo per migliorare il “been comune” scuola pubblica (29 agosto 2010), molto interessante perché seziona la problematica federalista in molte micro problematiche, anche se assume come dato accertato la capacità delle scuole di innovare, mentre tutte le ricerche dicono che con l’avvento dell’autonomia c’è stata una verticale caduta di innovazione da parte delle scuole diventate autonome.
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Marina Boscaino in
La scuola pubblica tra Padania e azienda
(6 settembre 2010) espone delle argomentazioni anti federaliste molto nette
e molto puntuali, ma a mio modo di vedere non riesce a distinguere nel
furore ideologico (e nell’indignazione civile) che la muove alcuni dati
oggettivi. Il primo e più eclatante è quello che fa scambiare a lei e alla
sinistra di cui fa parte (molto presente nella scuola) il concetto
costituzionale di “senza oneri per la stato” con un “divieto” per lo
stato di trasferire risorse alle scuole non statali. La cassa integrazione
non è un intervento economico che aiuta il dipendente di un’azienda in
crisi, ma aiuta anche l’azienda a limitare i danni.
La terminologia “scuola pubblica” applicata anche alle paritarie e
parificate non è di Livia Turco o di Roberto Formigoni, ma è proprio del
nuovo rapporto creatosi con l’autonomia scolastica tra l’erogazione di un
servizio pubblico e i soggetti che lo erogano. Un servizio pubblico può
anche essere erogato da un privato. Non è vero, ad esempio, che le scuole
dell’infanzia statali non vengono costruite per non disturbare quelle
parrocchiali: ciò in questo momento avviene per mancanza di fondi e di
bacino d’utenza. Se i comuni danno soldi alle scuole parrocchiali che
svolgono servizio pubblico (per interventi strutturali, per abbattere le
rette, per le mense, per progetti, ecc.) non caricano lo stato di “oneri”
impropri, ma danno un contributo a chi ritengono svolga una funzione sociale
e pubblica. L’onere è un’altra cosa e riguarda il sistema scolastico
statale.
Ma la Boscaino più avanti dice che tra gli
sbagli del centro sinistra al Governo ci sono anche l’autonomia scolastica e
la parità scolastica, ma forse si dimentica di dire che lo sbaglio più
grosso è stata l’istituzione del dirigente scolastico, perché nella visione
assembleare e deresponsabilizzata della Boscaino un preside o un direttore
didattico sottomesso al provveditore bastano e avanzavano. Scrive ancora la
Boscaino che il federalismo creerà “immense disparità tra istituti, a
seconda del loro livello ordinamentale, dell’utenza, della collocazione nel
territorio”: Perché, non è così già adesso ?
Si può dire, come una grande fetta di docenti sta facendo, che le
rilevazioni Invalsi, Iea e Ocse-Pisa sono delle stupidaggini che non servono
a niente e che costano un sacco di soldi, ma se invece non si pensa questo
si deve constatare che quelle rilevazioni non fanno altro che sancire il
divario enorme creatosi nel Paese proprio da quella scuola “democratica” cui
vorrebbe tornare la Boscaino. Il disastro del sistema scolastico italiano
inizia molti anni fa, quando nessuna delle recenti innovazioni della Gelmini
era stata neppure pensata. Ribadisco quello che ho già scritto: sono contro
il federalismo leghista e sono contro la riforma Gelmini, ma sono due volte
contro coloro che vogliono fermare il tempo e tornare ad un passato che si è
rivelato disastroso. I quadri orari delle secondarie della riforma Gelmini
sono più al passo con i tempi e non si possono contestare partendo dai tagli
all’occupazione intellettuale. Gli organici delle scuole riguardano le
necessità della didattica, non quelli dell’occupazione. E 200.000 precari
non li assume nemmeno il centro sinistra più spinto a sinistra con Paolo
Ferrero Ministro dell’Istruzione.
La proposta della Lega Nord del Friuli Venezia Giulia portata avanti dal senatore udinese Mario Pittoni non dice che i docenti devono essere friulani o residenti in Friuli, dice che devono avere il domicilio professionale in Friuli. E’ una proposta pericolosa, perché coglie nel segno e aumenta la popolarità della Lega Nord: se c’è bisogno di un supplente a Udine lo si deve cercare a Udine e non a Siracusa e che chi vuole lavorare in Friuli deve domiciliarsi lì e non dovunque. Che è quello che già avviene a Trento (Italia). La Lega Nord bercia e sbraita, ma non è stupida e dunque il provvedimento se spiegato è logico. Sono gli inserimenti a pettine che non sono logici: perché molti titoli vengono acquisiti in Università private e fasulle e servono per superare in graduatoria i laureati di Università serie e selettive. Non si combatte il federalismo travisandolo.
Sta di fatto che leggendo gli interventi di Marina Boscaino noto una grande passione, una forte competenza, una grossa idea di scuola: tutto questo messo in campo per conservare, non per innovare. Ed è uno spreco assurdo, perché nella scuola italiana c’è pochissimo da conservare. Mi piacerebbe che le persone come Boscaino mettessero il loro impegno nella proposta progressiva, non nei tentativi di bloccare l’avvio di un anno scolastico perché gli organici sono stati fatti su circolari e non su decreti (banalmente: e chi se ne frega, tanto poi a quello si arriva, dunque meglio prima). Alle persone intelligenti come la Boscaino direi di stare attenti al richiamo costante alla legalità, perché sono le persone come lei che non hanno applicato la Riforma Moratti, una legge dello Stato, perché non erano d’accordo. Quando Berlusconi e il centrodestra non applicano le leggi fanno male, perché se lo fa il centrosinistra fa bene? Perché solo il centrosinistra sa cos’è una legge giusta?
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Con Franco de Anna dovrei essere più in sintonia, anche se complessivamente il suo ragionamento sul federalismo è un po’ troppo rigido. Ma il suo lungo intervento Federalismo, spesa e investimenti nel sistema di istruzione fornisce strumenti di grande valore per comprendere quella problematica. Il federalismo è prima di tutto un modo di pensare e poi un sistema di dispositivi. Il contenuto di gran parte dei suoi ultimi articoli lo conoscevo già avendo partecipato a suoi splendidi interventi formativi. Il problema non è una spinta più o meno forte del capitale verso il proprio interesse, è che i territori rispondono in maniera diversa a sollecitazioni uguali e questo è proprio un meccanismo federalista. Il federalismo fa lievitare la spesa pubblica per forza di cose, soprattutto se avviene per una trasformazione da centralistica a federalista. Ma nel campo dell’istruzione i pochi meccanismi federali messi in atto in Italia (Trento, Bolzano, Valle d’Aosta) hanno aumentato i soldi del comparto dell’istruzione e fatto lievitare gli stipendi dei docenti e dei dirigenti. Per la scuola il federalismo porterà più risorse, ma la perdita dell’unitarietà dell’istruzione. Ma c’è ancora qualcuno in Italia che ritenga che l’attuale sistema scolastico italiano non sia già di fatto federalista, ma senza le risorse di Trento e Bolzano? Gli schemi di De Anna sono chiari e dicono qualcosa che nessuno vuol sentirsi dire e cioè che l’Italia è tra i Paesi che spendono di più per la scuola e tra quelli che chiedono di meno alle famiglie per la scuola. Se i termini del dibattito fossero più chiari forse le persone si esprimerebbero meglio: il federalismo costa di più e produce squilibri, ma il centralismo nel mondo della scuola ha portato verso la catastrofe.
Rimane il problema non risolto dei Livelli essenziali delle Prestazioni, che De Anna continua a vedere come un modello rigido, strutturato e pensato, ma che invece potrebbe essere (e io penso sarà) un meccanismo farraginoso, non regolare, non pensato. E comunque al ribasso, perché lo standard su cui impostare i Livelli Essenziali delle Prestazioni sarà quello che conviene allo stato e alle regioni del Nord. Invito De Anna a valutare se il taglio degli organici e quindi l’impossibilità di gestire le ore di supplenza come un tempo non sia di per sé un LEP e che come tale vada gestito, al di là di quello che ognuno di noi pensa sul tempo scuola. Incaponirsi a fare come una volta, quando lo stato ti dice di fare altrimenti mi pare un ottimo modo per andare verso il default. I LEP non verranno mai negoziati, ma possono essere orientati: perché la scuola non smette di protestare e vagire e si mette a progettare? Perché non ci si rende conto che la scuola italiana ha più risorse mal spese e mal gestite di tanti altri paesi dell’Ocse e che il tempo scuola italiano è il più alto dell’Ocse per motivi occupazionali e non didattici.
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Gianni Cavinato in Quale federalismo pedagogico? fornisce un quadro molto realistico del federalismo abbandonato alle esigenze dei territori, ma soprattutto mette in discussione il principio cardine su cui si basa l’autonomia scolastica e cioè il suo rapporto con l’ente locale. Se venissero abolite le province anche le scuole secondarie di secondo grado passerebbero sotto l’influsso comunale e questo permetterebbe di pensare dei comprensivi che abbiano al loro interno entrambi i cicli, cosa necessaria per non lasciare che la secondaria continui a deragliare. Ma il concetto stesso di istituto comprensivo è collegato a quello di ente locale e se l’ente locale non supporta l’offerta formativa della sua scuola cade l’autonomia e cade anche non il federalismo, ma il semplice rapporto tra virtù dell’ente locale e virtù della scuola. Per questi motivi credo sia molto pericoloso sciogliere il legame tra scuola e comune, perché questo vorrebbe dire riportare la scuola nel calderone del sistema nazionale, pensato e costruito sui centri cittadini, non sui piccoli comuni, che sono la base strutturale del Nord Est.
Complesso è anche il ragionamento sul federalismo pedagogico che di fatto ha prodotto divisioni e assurde contrapposizioni, ma che orientato sui territori può essere una buona base innovativa, soprattutto se favorisce una vera formazione e istruzione professionale in territori di artigianato (Nord Est). Quello che mi pare venga avanti è l’anarchia degli statalisti che non accettando controlli, confronti, valutazioni in nome dell’uguaglianza lasciando che si compiano misfatti pedagogici in giro per l’Italia in nome dell’unitarietà del sapere. I dati sugli esami di stato sono lì che parlano da soli su come valuta il nord e come valuta il sud e questo federalismo pedagogista di fatto non può assolutamente essere più accettato, perché porta acqua al mulino del leghismo che vuole distruggere l’unità d’Italia. Ma per fermarli bisogna parlarci chiaro, non continuare a protestare per difendere una scuola che si è dimostrata non al passo con i cambiamenti del mondo.