Direzione didattica di Pavone Canavese

Multimedialità e dintorni

[multimedialità] [home page]

Il prof. Roberto Maragliano risponde ai nostri lettori


la domanda (29.10.99)

E' possibile ipotizzare che gli alunni,
che a scuola non ricevono una prima alfabetizzazione informatica,
possano piu facilmente diventare disadattati
e soprattutto non orientati all'uso delle stesse,
nell'attuale contesto socio-comunicativo in cui sono immersi ?

la risposta di Roberto Maragliano

Mi risulta difficile afferrare il senso della sua domanda.
Per quel che capisco, le propongo di tradurla in questo modo: perche' i pc a scuola,   visto che sono cosi' presenti nel mondo dei nostri ragazzi ?
Se questo e' il  significato dell'interrogativo, la mia risposta e': perche' solo la scuola  puo' proporre un approccio intenzionale, sistematico, consapevole ai codici   e ai paradigmi della conoscenza, codici e paradigmi che trovano un riflesso   diretto nel rapporto individuo/computer/gruppo cosi' come ne trovano un
altro nel rapporto individuo/libro/gruppo.
Se vuole approfondire il  problema, o meglio il mio modo di affrontarlo, la invito a consultare,  nella sezione News del sito del mio Laboratorio (http://ltaonline.cjb.net),  il saggio "Verso una scuola bilingue", in via di pubblicazione (ormai da  otto mesi!) sulla rivista Iter della Treccani.


la domanda (25.10.99)

Cosa ne pensa dell'idea di riciclare vecchi PC
per allestire aule di informatica nelle scuole elementari
o, ancora meglio, per portare i PC in classe ?

la risposta di Roberto Maragliano

L'idea e' interessante e i suoi effetti sono certamente utili.
Ma,  attenzione!, piu' per la scuola secondaria (soprattutto superiore) che per   quella primaria. Perche' ? Perche' i bambini hanno bisogno di una   multimedialita' "spinta", dove la scrittura si integri il piu' possibile   con i codici audiovisivi.
Per questo, piu' che Internet (che offre ancora  una multimedialita' modesta) il loro supporto privilegiato e' il cd-rom.
Diverso e' il caso in cui il compito di esercitazione e di studio e'  prevalentemente o totalmente centrato sulla scrittura, come generalmente  avviene ai livelli piu' avanzati: qui, salvo specifiche eccezioni, puo'  bastare anche un pc modesto, che comunque possa ospitare un word processor  e la connessione ad Internet.
Per dirla con uno slogan: piccoli pc per utenti grandi, grandi pc per utenti piccoli.


la domanda (19.10.99)

Le sarei molto grata se mi parlasse della connessione
apprendimento-multimedialità.
Il mio interesse è dovuto alla mia condizione disperata

di tesista prossima alla laurea,
ma con un urgente bisogno di altro materiale.

la risposta di Roberto Maragliano

Nel sito del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive, del quale sono  responsabile (http://ltaonline.cjb.net), alla sezione "News", trovera' una  serie di recenti interventi sui temi che la interessano. Per un  inquadramento generale del problema, oltre al mio "Nuovo manuale di  didattica multimediale. Con cd-rom", pubblicato da Laterza, la rinvio al  recente "Computer per un figlio", di Francesco Antinucci, sempre   dell'editore Laterza, al primo capitolo del volume di Roger Chartier,   "Cultura scritta e societa'", Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 199   (che  affronta il problema storico e attuale delle "rappresentazioni dello  scritto") nonche' all' Introduzione e alla Postfazione al volume a cura di  Alberto Abruzzese e Alessandro Dal Lago, "Dall'argilla alle reti.   Introduzione alle scienze della comunicazione", Costa & Nolan, Genova,   1999.


la domanda (19.10.99)

Che tipo di competenza/e sviluppano
le attività multimediali nella scuola elementare ?

la risposta di Roberto Maragliano

Dipende dal contesto e dal modo di utilizzazione della multimedialita'.
Comunque alcune considerazioni generali possono essere fatte.
In primo luogo, per quanto riguarda le attivita' di lettura e scrittura, il  ricorso al computer sollecita lo sviluppo dell'insieme delle competenze legate ai processi di significazione, consentendo di inquadrarli dentro una  logica "situazionale".
In altri termini, sia in sede di ricezione sia in  sede di costruzione, attribuire dei significati ad un testo equivale,  dentro gli spazi della multimedialita', ad integrarlo, legarlo (da cui  "lettura") in un tessuto testuale, ponendolo in un rapporto di dialogo con  altri testi, simili o dissimili che siano.
Sul piano piu' specifico dell'allestimento di un singolo testo, usare il  computer consente al piccolo utente di controllare una serie di elementi cruciali per la "resa pubblica" del testo stesso, elementi che hanno a che fare con le operazioni di editing (impaginazione, scelta dei caratteri, uso dei colori, eventuali integrazioni con elementi iconici e sonori, etc.).
Su un altro versante, personalmente ho piu' volte insistito (anche dedicandogli un capitolo del "Nuovo manuale di didattica multimediale. Con cd-rom") sul fatto che la multimedialita' offre risorse di enorme  importanza per sensibilizzare gli allievi alle pratiche dei linguaggi sonori, garantendo una spazio di "metacognizione" che non trova equivalenti in altri contesti (infatti non ci si limita qui ad "ascoltare" ma si puo' anche intervenire sui suoni, modificandoli, manipolandoli, riorganizzandoli). Analogo discorso puo' esser fatto per le immagini,   soprattutto per quelle in movimento. Con quali altri strumenti puo' esser   data la possibilita' di realizzare un'animazione, studiando i modi della sua costruzione?
Ad un livello piu' generale credo di poter dire che la differenza maggiore che passa fra un sapere costruito in ambito multimediale e uno costruito con un riferimento privilegiato all'ambito libresco sta nel fatto che con il primo la conoscenza viene "abitata", cioe' fatta propria e quindi  personalizzata ("vissuta") dall'utente, mentre con il secondo la conoscenza e' acquisita come qualcosa di "esterno" al soggetto.
Per non dire poi di come il navigare dentro la multimedialita' dia alimento ad un sapere   reticolare, basato sulle logiche dell'associazione e della connessione.
Tutto questo porta a considerare il computer come "dispositivo filosofico", cornice concettuale entro la quale dar conto della molteplicita' delle forme del conoscere (ne ho parlato in questi termini  in "Tre ipertesti su multimedialita' e formazione", Laterza).
Sul tema complessivo delle competenze e dell'autonomia, segnalo il dossier
contenuto nel n. 1/2- 1999 di "Annali della Pubblica Istruzione", rivista
disgraziatamente (incomprensibilmente!) non disponibile in rete.

n.d.r. è tuttavia disponibile in rete l'intervento di Roberto Maragliano "Consapevolezza dei saperi e filosofia della reticolarità"


la domanda (26.02.99)

Sono insegnante nella scuola materna.
Secondo Lei il Ministero avrebbe dovuto indicare l'allestimento

di un laboratorio multimediale(1b)
per la scuola materna piu a misura di bambino?
A me pare che non ci abbiano proprio pensato.
La mia domanda è conseguenza delle difficoltà che,

come referente del progetto 1b,
ho incontrato quando ho richiesto tastiere e mouse
a misura di bambino per ovvi motivi.
Quale il suo parere in merito ? 

la risposta di Roberto Maragliano

Non sono d'accordo.
Nel dare alcune indicazioni generali, valide per tutti  gli ordini scolastici, una volta tanto, io credo, il Ministero si e'  attenuto a quelli che dovrebbero i suoi compiti di orientamento. Questo  vuol dire, o almeno io interpreto cosi' la situazione, che le scuole avevano e hanno liberta' - nel rispetto di alcune esigenze generali, per  esempio quella di acquisire computer che garantiscano prestazioni non   inferiori a determinati livelli - di decidere riguardo alla   "personalizzazione didattica" degli acquisti. Mi sarei ben piu' preoccupato  se il Ministero avesse imposto le tastiere e i mouse "infantili" a tutte le  materne: avesse cioe' resa vincolante una scelta che non puo' non essere il  frutto di decisioni locali (non tutti i bambini di quell'eta', a quanto so,  usano tastiere e mouse di questo tipo, trovandosi bene con quelli "adulti").


la domanda (18.02.99)
Sono una laureanda in filosofia con indirizzo pedagogico,
sto svolgendo una tesi sull'utilizzazione dell'ipertesto

come strumento didattico per l'insegnamento della storia.
Le mie ricerche sull'esistenza di tali ipertesti didattici sono, però, fallite.
Non esistono, oggi, pubblicazioni ipermediali,
riguardanti l'ambito storico, esclusivamente per uso didattico,
ed in particolare rivolte ai ragazzi della scuola media inferiore?


la risposta di Roberto Maragliano

Come prima considerazione, la invito a non cadere nella tentazione di  trasferire modelli concettuali propri dell'ambiente libresco all'ambiente   multimediale.
Che ci siano libri di storia pensati e realizzati  esclusivamente per uso didattico e destinati alla scuola media è un fatto.
Che per questa stessa ragione ci possano (o ci debbano) essere prodotti
multimediali di storia, pensati e realizzati esclusivamente per uso  didattico e destinati alla scuola media, è  tutto da dimostrare, anche sul  piano dei principi.
Penso che questo possa anche essere, ma che poi non sia  cosi' importante che sia, proprio per le sorti dell'arte multimediale,
anche di quella destinata alla formazione. Cosa voglio dire? Che passando  da un ambiente ad un altro, cambiano necessariamente alcuni degli elementi  di riferimento: per esempio, la buona multimedialità, almeno la penso  così, non può avere un rapporto "esclusivo" con la didattica (come invece  ha un buon libro di testo), ma avra' un rapporto per cosi' dire "plurimo",  all'interno del quale l'intrattenimento (di solito escluso dalle dimensioni  della didattica libresca) si coniuga con l'esigenza formativa e la  trattazione di una parte della materia (nel caso, la storia) si integra con  altre dimensioni, disciplinari e no.
Detto questo, la invito ad adottare una classificazione molto semplice di  prodotti multimediali di (o per)  l'area storica, che include:

Alla prima classe appartengono prodotti del tipo di "L'Europa raccontata ai
ragazzi"
, un cd-rom tratto da un'opera di Jacques Le Goff, curato da Andrea
Giardina e recentemente pubblicato da Laterza Multimedia: i diversi temi
della nostra storia di europei sono qui presentati e sviluppati attraverso
percorsi che prevedono anche la presenza (per la verità  un po' pedante) di
prove di valutazione.
La seconda è ben rappresentata dal (doppio) cd-rom "Complotto alla Corte
del Re Sole"
, di produzione francese, ma ben tradotto in italiano, e   distribuito da CTO (via Piemonte 7/F, Zola Presoda - BO): 25 ore di gioco,  un intero edificio (Versailles) virtualmente ricostruito in tutti i suoi  particolari, un sacco di quadri e di musiche dell'epoca da visitare e  usare, innumerevoli personaggi, il tutto per scoprire chi ha ordito un  complotto per distruggere il palazzo.
Così non "si fa" storia, ma "si è "  nella storia.
La terza classe e quella delle enciclopedie, da Encarta della Microsoft a
Omnia della De Agostini, a Rizzoli Larousse.
Non manca mai una barra del  tempo dal quale partire per le proprie navigazioni, e sulla quale  riflettere in ordine agli intrecci, i contrappunti, le non coincidenze tra
le diverse periodizzazioni.
Per non dire poi di come (in particolare in  Encarta) i temi specificamente storici si integrino con altri, acquistando  in densità e complessità.
Insomma, credo che si possa sostenere che con la multimedialità è  possibile dar corpo ad "un'altra idea di storia".


la domanda (31.01.99)
Sono una neolaureata in Psicologia.
Per la laurea ho presentato una tesi sulla multimedialità e la didattica
con la realizzazione di un ipertesto per studiare gli effetti che un simile
strumento produce sull'apprendimento.
Vorrei sapere se nella scuola puo essere  inserita una figura
come la mia nonostante non sia insegnante.

Se si, come? Oltre ai corsi di perfezionamento esistono delle scuole di specializzazione sulla multimdialita applicata alla didattica?"


Anna Maria Chiodo, Verona


la risposta di Roberto Maragliano

Lo scorso ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato lo "Schema di   regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche" . Successivamente e stato  avviato un complesso piano sperimentale (le relative circolari le può trovare in una apposita pagina di questo sito), al quale hanno aderito un numero elevatissimo di scuole (si fa prima a dire quasi tutte). Molte di queste hanno presentato progetti (e relative richieste di finanziamento) che, nell'ambito dell'atunomia, hanno a che fare con l'uso delle tecnologie e quindi si collegano ai primi (comunque significativi) risultati del Piano di Sviluppo per le Tecnologie Didattiche (su questo punto può trovare molto materiale nel sito del Ministero).
Facendo riferimento a questa situazione in movimento, le consiglio di  preparare un suo curricolo dettagliato, che includa alcune possibilita di  collaborazione (sui versanti dell'aggiornamento dei docenti o dell'ampliamento dell'offerta formativa), e inviare il tutto a un certo  numero di scuole del suo ambito territoriale. Scuole che, se impegnate nella sperimentazione dell'autonomia, si trovano nella condizioni formali  per stipulare contratti a tempo determinato con esperti particolarmente   qualificati.
Riguardo alla sua altra richiesta di corsi universitari, so (anche perche'  sono coinvolto) di un Master in Multimedia, organizzato da Universita' di  Firenze, Rai e Mediateca Regionale Toscana (http://www.dsi.unifi.it/master_multimedia), pero' i termini di iscrizione sono abbondantemente scaduti, per quest'anno.
Veda se l'esperienza sara'  riproposta l'anno a venire.


la domanda (21.01.99)
Sono un'insegnante di lingua inglese e vorrei avere
suggerimenti utili (testi di riferimento, titoli di software ecc.) per
poter utilizzare efficacemente nella didattica i software multimediali
appositamente creati per la didattica della lingua straniera.


Caterina Policaro, docente di lingua inglese a Vibo Valentia


la risposta di Roberto Maragliano

"La lingua straniera non e' un sapere da trasmettere, ma una pluralita' di
linguaggi da esplorare. E l'esplorazione vera e' quella che porta alla
manipolazione del linguaggio, alla sperimentazione delle sue potenzialita'
combinatorie e creative"
.
Questo sostiene Caterina Cangia' nel primo di tre  articoli in corso di pubblicazione sulla rivista "La Vita Scolastica" della  Giunti (veda il n. 10, febbraio1999).
Meglio non saprei dire. E meglio  non saprei fare, a proposito di un necessario ri-pensamento delle modalità e dei metodi di un rinnovato insegnamento delle lingue straniere, che rinviarla al saggio della stessa Cangia' L'altra glottodidattica, Giunti, Firenze 1998.
Decisamente un buon "testo di riferimento".
Riguardo l'altra sua richiesta, di "software multimediali appositamente creati per la didattica della lingua straniera", mi lasci esprimere un po'  di perplessita'.
Sarei perplesso (e uso un eufemismo !) se sapessi che c'è un esperto di  libri scolastici capace di dare la dritta ad ogni insegnante, per qualsiasi  ambito disciplinare e rispetto a qualsiasi impostazione didattica.
Cosa  voglio dire ?
Che interessarsi come io faccio di multimedialita' per la  formazione non vuol dire essere in grado di giudicare tutti i software per  tutte le materie e per tutte le impostazioni didattiche.
Posso sì avere qualche idea, riguardo a determinati settori, ma questa idea,   necessariamente, sarà astratta e dovrà confrontarsi, una volta resa pubblica, con le teorie e le pratiche didattiche del docente che vorrà misurarsi con essa.
Questo per dirle che non me la sento di suggerire dei  titoli, ma eventualmente solo delle considerazioni d'ordine metodologico.
Perchè dunque far ricorso alla multimedialità per le lingue straniere ?
Perchè è comoda per l'insegnante, perchè è efficace per l'allievo, o per  altro ? Senza negare queste due risposte, ne aggiungerei un'altra, che
rimanda alle posizioni della Cangià, decisamente più competente di me in
questa materia.
La mia risposta, secca secca, è: perchè la multimedialità consente più di
altri mezzi di contestualizzare la lingua, cioè di farla vivere (o meglio  di simularne la vita) "in situazione".
Pertanto, sarei perplesso nei confronti di prodotti "appositamente creati  per la didattica", se questo volesse dire che riproducono una didattica  (che io aborro, e non solo per l'ambito linguistico) impostata sulla  retorica, il formalismo, insomma la decontestualizzazione della lingua.
Purtroppo, questa didattica e' dura a morire, ed anzi rischia di trovare  nuove risorse dentro un uso "macchinistico" del computer (dove la macchina   automatizza delle procedure fisse d'insegnamento e di verifica).
Che fare, allora ?
Quel che le voglio suggerire è di non trascurare il fatto che in Internet l'inglese è la lingua veicolare.
E sempre, o quasi, si tratta di una  lingua contestualizzata, cioe' legata a temi e argomenti non artificiali.
Ci sono centinaia di siti "infantili" in lingua, con abbondanza di suoni ed   immagini. Come ci sono buone e anche ottime cassette video in inglese o per   l'inglese (persino "Topolino" ne proponeva alcune, tempo fa), destinate ad  un pubblico infantile.
Forse non sono prodotti appositamente pensati per la  didattica scolastica, ma e' anche vero (o meglio, vorrei suggerirle l'idea)  che frequentemente dei prodotti realizzati per un apprendimento "informale"  funzionano meglio (riguardo un pubblico infantile, ma non solo!) di altri  prodotti pensati per un apprendimento "formale".
L'altro consiglio che mi permetto di darle è di provare su di lei, facendo
finta di essere un adulto desideroso di immergersi nel mare della lingua
inglese, le innumerevoli offerte che attualmente propone l'edicola.
Per esempio, su che cosa si basa la fortuna (e l'efficacia) di una rivista come  "Speak Up" della De Agostini, se non sul fatto che materializza un modello  di lingua viva, fortemente contestualizzata (legata, appunto, al sistema di  attese di un lettore di riviste di varia, che vuole conoscere il mondo  prima che la lingua inglese) ?
O ancora: qual è il "valore aggiunto" di  opere in cd-rom come Talk to me (distribuita assieme al settimanale  "L'Espresso" uno o due anni fa), o come  Fast Forward (distribuito sempre assieme a "L'Espresso" in queste prime settimane del 1999), se non il fatto  di puntare la prima sulla produzione verbale e il riconoscimento della  pronuncia e la seconda su un sistema integrato di spiegazioni, esercizi,  test, vocabolario, tutte cose che sarebbe impossibile garantire con altri  mezzi piu' tradizionali come carta stampata e cassette audio o video ?
Conclusione. Le offerte non mancano, e sempre più aumenteranno nel futuro:  ma nel valutarle non dimentichi che nella rete e nella multimedialita' la  lingua inglese e piu' facile incontrarla e farla propria che evitarla e,  soprattutto, volendo adottare uno strumento didattico, non manchi di  chiedersi se la lingua lì presentata e "lavorata" e' di tipo contestuale e  se al computer è lì garantito quel "valore aggiunto" che lo fa essere un  medium irriducibile agli altri media.


la domanda (15.12.98)
Vorrei iniziare a usare il computer con i bambini della scuola materna.
Ma ho alcuni dubbi: sono troppo piccoli? Che cosa posso fargli fare ?

Laura De Witt, insegnante (Torino)


la risposta di Roberto Maragliano

La sua domanda e' per me, come suol dirsi, un "invito a nozze". Ho infatti  sempre sostenuto che la multimedialita', e quindi il computer, possono  rappresentare delle risorse importanti per i bambini, soprattutto per i  piu' piccoli, quelli che che sono ancora lontani dall'inizio dei processi  dell'alfabetismo formale. Infatti, la buona multimedialita' mette in   discussione non tanto la centralita' quanto l'esclusivita' della lingua   scritta, e fornisce abbondante alimento al pensiero audiovisivo (se cosi'   posso esprimermi)  e a pratiche di interattivita' che prescindano dalla lingua scritta.
Il primo problema da affrontare, in questo contesto, e' di natura teorica.
L'ho affrontato, fra l'altro, nel mio Tre ipertesti su multimedialita' e   formazione, recentemente pubblicato per Laterza.
Le riproduco qui alcuni nodi del terzo ipertesto, dedicato al rapporto fra bambini e media:

"III. 5 Il bambino letterato
L'idea di infanzia ereditata dalla tradizione culturale e in buona parte  scientifica e, per cosi dire, "letteraria", trova cioe il suo ambito di   concettualizzazione e legittimazione dentro ad uno spazio sociale e un  ordine semiotico dominati dal carattere di esclusivita riconosciuto alla  lingua scritta: esclusivita duplice, sia perche all'alfabetismo si riconosce la prerogativa di essere il medium per eccellenza, per molti  aspetti l'unico medium cui affidare la riproduzione dei saperi e dei  comportamenti, sia perchè esso agisce isolando i suoi utenti in fasce di  età, di interessi, di identità.
In altri termini, la sua stessa designazione di "essere che non parla" fa   del bambino un individuo manchevole, incompiuto, il cui destino di crescita  e completamento e fortemente segnato dall'alfabetismo.
Una volta assicurato il possesso di un tale strumento, materiale e  spirituale, la sua identita di bambino (dentro lo scenario tradizionale, e  il caso di ripeterlo) smette di essere "negativa", carente, ed egli entra a  pieno titolo nello scenario di comunicazione e di dialogo con il mondo. Il  bambino che legge e scrive e un bambino compiuto, che non trova piu  ostacoli sia nel rapportarsi al mondo e agli altri, sia  nell'autorappresentarsi come essere innocente (si pensi, a questo   proposito, al ruolo "fondante" che famiglia e scuola attribuiscono alla   lettura, da parte del bambino in via di compimento, di testi letterari che   hanno come protagonista l'infanzia).

III.5.1 Con-fusione tra eta infantile ed eta adulta
La tesi secondo cui e l'alfabetismo a creare l'infanzia puo certamente  essere accusata di superficialismo e di rozzezza deterministica. Ma e  difficile negare che nell'eta precedente l'avvento della stampa i bambini  fossero considerati meno diversi dagli adulti e che nell'eta presente,  anche in forza dell'oralita di ritorno di media come la televisione e il  computer, questa distinzione abbia perso molti dei suoi tratti: il bambino  e coinvolto direttamente, dalla tv, in quella parte del mondo che prima gli  era preclusa o presentata in termini selettivi od edulcorati dalla stampa.
Il libro, insomma, isola il bambino dal mondo adulto in una maniera  inconcepibile per una cultura orale, pre o post scritturale.
Ovviamente non e il libro di per se che determina l'eta infantile e quella  adulta, ma le maggiori possibilita proprie dell'alfabetismo di tenere  nettamente separati i sistemi informativi adulti e quelli infantili.
La tv, permettendo ai bambini di accedere ad uno spazio aperto, non piu  diviso (se non in modo molto blando) per "fasce d'eta", fa saltare l'idea  di innocenza [III.2.1] e mette in crisi l'idea di una progressione  prestabilita dei contenuti e delle forme dell'esperienza individuale. Tv e  computer hanno radicalmente compromesso la gerarchia delle informazioni e  dei modelli di apprendimento storicamente costituita dall'alfabetizzazione  e dal suo contesto di massima legittimazione, cioe la scuola (Johsua  Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici influenzano  il comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995).

III.6 Analfabetismo e post-alfabetismo
Lo schema che garantisce all'alfabetismo il compito di fissare e governare  il sistema delle eta e di conseguenza il filtraggio delle esperienze e  delle conoscenze entra in crisi non tanto con l'avvento dei media (che  comunque usano altri codici, accanto o in alternativa a quello scritto)  quanto con il fatto che essi, occupando e plasmandogli spazi delle  rappresentazioni collettive secondo modalita aperte - non piu riservate -,  trovano un interlocutore privilegiato nel bambino, piu propriamente nella  sua componente "analfabetica": non intesa come carenza, ma come dotazione  costitutiva del suo essere "soggetto simbolico".
Il rapporto di amore che ogni soggetto in crescita, fin dal suo primo  affacciarsi sul mondo, vive nei confronti di strumenti come il telefono, il  registratore audio, la radio, la televisione, il videoregistratore, la  telecamera, fino ad arrivare al computer trova qui la sua origine: nel  fatto che l'accesso a tali mezzi e il loro uso prescinde dal (anzi talvolta  trova ostacolo nel) possesso formale della strumentazione alfabetica.
Le tecnologie della riproduzione audio e quelle audiovisive, ma per certi  aspetti anche le tecnologie multimediali, investono molto, e spesso in modo  esclusivo, su codici diversi da quelli dell'alfabetismo.
Ma quel che e piu importante e dirimente, per il ragionamento proposto qui,  e che esse si fanno garanti di forme di esperienza e di conoscenza assai  diverse rispetto a quelle codificate (e giudicate come esclusive) dalla
scrittura (e dalla tradizionale vocazione imperialistica che essa esercita  negli spazi scolastici).
Provo a dirlo con una formula provocatoria.
Il contributo piu rilevante che le macchine cognitive offrono al  cambiamento dei regimi collettivi dell'esperienza e della conoscenza non  sta nella diffusione massiccia e intergenerazionale di quadri di sapere,  quanto nella messa in discussione di una concezione "macchinistica" (o  meccanicistica) del sapere stesso.
E' il caso che mi spieghi.
La stampa e la cultura testuale di cui si fa portatrice ci hanno abituato a   considerare ogni ambito di sapere come uno spazio oggettivato o  oggettivabile in un discorso scritto, o "testo", a sua volta scomponibile  nei suoi elementi costitutivi. Mettere un individuo nelle condizioni di  acquisire questo ambito equivale a consentirgli di scriverselo dentro, e  ciò avviene perlopiù attraverso una pianificazione delle attivita di  lettura, dalle porzioni  piu semplici a quelle piu complesse che compongono  il sapere-testo (vale a dire il sapere inteso come testo).
Così funziona la scuola, e in buona parte funzionano tutte le attività di
insegnamento formale: promuovendo un adeguamento meccanico ad un testo, che  funge da mappa e da ambiente concreto per la pianificazione-realizzazione  degli itinerari didattici e successivamente da garanzia per l'esercizio  delle eventuali attivita di verifica ("capire se l'allievo ha capito"  significa, in questo spazio, sottoporlo ad una prova di riconoscimento o di  riproduzione testuale).
Dentro i media non albergano gli attributi formali della conoscenza e della   comunicazione testuale. Al posto di una forma di sapere caratterizzata da   chiusura, sistematicita, verticalita (nel senso di approfondimento) troviamo un sapere centrato sui principi dell'apertura, della reticolarita,
dell'orizzontalità (nel senso di estensione): non meccanico bensi magmatico  e fluido, non analitico ma connettivo e quindi integrante, non totalmente  oggettivo o soggettivo ma contemporaneamente contaminato da istanze di  soggettivazione e istanze di oggettivazione, non distaccante ma  proiettante.
Ciò che intendo sostenere qui è che un tale pensiero si presenta, da un  punto di vista formale, come assai vicino alla componente non alfabetica  (non ancora alfabetizzata) del pensiero del bambino: quella che viene agita  dal potere attrattivo, coinvolgente, immersivo del suono e dell'immagine in  movimento, quella che l'adulto sente come insidia e si propone di annullare  attraverso l'imposizione sovente formalistica e violenta dell'alfabetismo.
Contattati in questo modo, i media si configurano come  espressione-legittimazione di un sapere ad un tempo primordiale e  post-alfabetico (qualcuno direbbe post-moderno), pre-adulto e post-adulto  (dove l'attributo "adulto" concide con il possesso pieno e consapevole  della strumentazione alfabetica), astratto ma non totalmente distanziante  (in quanto garantito dal circolo immersione-astrazione-immersione).
E' in questa chiave, io credo, che dovrebbero essere indagate le funzioni  di "normalizzazione" generalmente attribuite ai media."


Chiarito o meglio formulato in termini concettuali aperti questo aspetto  del problema, passo a suggerirle alcune piste di lavoro, raccomandandole  comunque di evitare di indulgere sia a scelte troppo segnate dalla  dimensione dell'intrattenimento sia a scelte troppo piegate ad esigenze
educative. La scelta vituosa e' quella intermedia, all'interno della quale  il piacere del gioco non e' disgiunto da un obiettivo formativo (piu'  implicito che esplicito).
Potrebbe partire con il visitare il sito Disney, dove trovera' molte  proposte di cd-rom adatti anche per la prima eta': libri animati e ambienti   grafici (o di prima scrittura), tutti sviluppati dentro gli spazi narrativi  e illustrativi delle piu note storie disneyane.

Per sua comodita' le riproduco qui la scheda di presentazione del libro
amimato de "La carica dei 101".

"Una storia avventurosa che ti fara sognare
Ascolta la storia, leggi insieme a Pongo, Peggy e i loro cuccioli o va' direttamente nei luoghi che preferisci in questa avventura interattiva. Ti  attendono tante sorprese: fai clic su una parola, un personaggio o  un'immagine e scoprirai una vasta gamma di giochi e attivita con piu  livelli di difficolta, sei fantastiche canzoni e persino un vocabolario che  spiega il significato delle parole in rima. Lascia libera la tua fantasia e  questa classica storia si animera in una maniera completamente nuova !
Comprende 4 fantastici giochi e 6 meravigliose canzoni per ore e ore di   divertimento.
Scopri le animazioni sorprendenti scorrendo lateralmente la pagina per  vedere le scene panoramiche davvero uniche.
Fai clic nuovamente sugli  oggetti per vedere qualcosa di diverso.
Leggi insieme ai tuoi personaggi preferiti le parole man mano che appaiono   evidenziate.
Scopri un vocabolario parlante e un dizionario che definisce le parole in  maniera poetica.
Canta accompagnando le immagini sul video e impara le parole di sei  divertentissime canzoni.
Metti alla prova la tua memoria abbinando i cani ai loro padroni nel gioco
Cani e padroni.
Migliora le tue capacita di ascolto e riconoscimento aiutando Kipper a  decifrare il codice segreto per entrare nel castello di Crudelia.
Metti a frutto le tue capacita di risoluzione dei problemi per trovare i  cuccioli nel sinistro castello di Crudelia.
Migliora il tuo senso dell'orientamento e amplia il tuo vocabolario  aiutando i cuccioli a recuperare le loro macchie: devi solo cercare degli  oggetti nel labirinto."


Volendo spingersi su terreni piu impegnativi, lei potra' affrontare assieme  ai suoi bambini alcuni brevi e giocosi itinerari dentro gli spazi della  scrittura, curando soprattutto l'aspetto grafico: per esempio, come  visualizzare (con opportune scelte di carattere, di colore, di animazione,  con l'aggiunta eventuale di un disegno) la riproduzione del loro nome,
oppure come riprodurre le caratteristiche grafiche del logo di un prodotto  di consumo (io ho lavorato sempre con successo con il logo della Kinder,  scoprendo l'estrema perizia di bambini di 4/5 anni nel riprodurlo in tutte  le sue caratteristiche).
Per questo potra' usare un programma come WinScribo della Lynx
(http://www.srd.it/lynx) oppure un wordprocessor adulto come MS Word 7
(dentro il quale i bambini troveranno tante originali soluzioni di editing,
aspetti che di solito l'adulto non prende in considerazione).
WinScribo, che e' un programma di videoscrittura per bambini, ha in piu', rispetto agli altri, un esecutore vocale, cioe' una funzione che permette  l'esecuzione vocale (da parte del software stesso) del testo scritto dal  bambino o da chi per lui. Attenzione, pero'! Eviti di considerare questa  funzione come una risorsa correttiva, per far capire al bambino se ha  scritto bene o male. Questa soluzione potra' valere piu' avanti, in prima o  in seconda elementare. A livello di scuola materna, cosa conta è  far capire che quel che uno scrive puo essere letto da altri, persino da una macchina!

Perche' questa osservazione? Perche' le possibilita' di uscita  del bambino dalla logica della correzione sono infinite: uno di cinque  anni, sentendo WinScribo che leggeva correttamente un suo testo  (involontariamente) scorretto, dava la colpa dell'errore al software,  dicendo che era quello che sbagliava e invitava l'adulto a non usarlo  piu'...

Buon lavoro e, soprattutto, buon divertimento !


la domanda (1.12.98)

Che rapporti 'creativi' (nel senso 'rodariano' del termine)
ci possono essere tra multimedialità e interculturalità ?

Mario Piatti, insegnante (Fornacette - PI)

la risposta di Roberto Maragliano

Rispondo. E' un argomento che considero affacinante e molto produttivo,  proprio sul versante di un'interpretazione "filosofica" delle risorse della  multimedialita. Il problema che mi "intriga", e che vedo generalmente  rimosso dalle esperienze di multiculturalita didattica (salvo alcune eccezioni nel settore sonoro-musicale), è se sia possibile organizzare  esperienze di formazione e di comunicazione che prescindano dalla centralita e dall'esclusivita della lingua, di una lingua data (di solito della lingua del paese che ospita l'"altro").
La multimedialita, io penso,  offre una soluzione a questo problema, in quanto ridimensiona tale centralita-esclusivita e offre comunque uno spazio di metaconoscenza, sul  piano operativo. 
Il discorso sarebbe lungo. Ci sto comunque lavorando, anche all'interno di un progetto di ricerca con fondi europei. Siamo però  all'inizio. Troveremo l'occasione di riparlarne.


la domanda (30.11.98)
Sto utilizzando AMICO per costruire ipertesti
con classi di scuola elementare.
Trovo alcune lacune forse proprie di uno strumento

semplice da utilizzare
anche con ragazzi così piccoli.
Qual è un programma per ipertesti che coniughi semplicità d'uso
con completezza di elaborazione multimediale ?
Mi parlano di Front Page, ma ne esistono altri ?

Carmelo Stornello, insegnante (Torino)


la risposta di Roberto Maragliano

Il programma Prom (nel cd-rom allegato al mio Nuovo manuale di didattica multimediale, appena uscito da Laterza) consente di organizzare documenti  ipertestuali (con arricchimenti multimediali) articolati su piu livelli:   offre cioe la possibilita di raggruppare i nodi e di disporre i gruppi su   vari livelli.
Una volta effettuata la regia del documento con Prom, si puo  passare alla sua realizzazione con un'interfaccia più "multimediale",
eventualmente utilizzando Amico, o un programma come Mio Mondo - per  costruire mappe ipermediali (http://www.srd.it/lynx), che si servono dello stesso motore.


la domanda (24.11.98)
Quali prerequisiti cognitivi
devono possedere gli alunni per poter realizzare un ipertesto?
O, in altre parole, a che età si può iniziare

a proporre la produzione di   ipertesti ?

 

la risposta di Roberto Maragliano

Sul concetto di prerequisito ho inteso giocare (spero in modo serio) nel mio Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, 1996, fin dal titolo di un capitoletto dedicato ai videogiochi:
"Papà, ti insegno a leggere il videogioco. Ma hai i prerequisiti?".

Ne riproduco alcuni passi:

"Chi videogioca si abitua ad un determinato tipo di esperienza e di comunicazione: immersione, multimedialità, interattività, per un verso; gioco, messa in gioco, ironia, leggerezza, per un altro. E, di conseguenza, chiede che anche i luoghi entro i quali l'esperienza e la comunicazione stesse vengono codificate ed attivate (la tv, la stampa, sopra e dentro a queste la pubblicità) presentino, nei limiti del possibile, la stessa configurazione e la stessa chiave discorsiva.
Di conseguenza, la pagina della rivista o il brano della trasmissione tv debbono non solo richiamare ma realizzare con i loro mezzi l'ambiente di esperienza (percettiva, operativa, culturale) del videogioco.
Non avrai difficoltà a capire quest'ultimo passaggio se sfogli una delle riviste da cui ho preso le mosse [riviste, appunto, di videogiochi].Ma attenzione!
Per leggere, per capire, per agire, ti occorreranno dei prerequisiti. Sì, quelle cose che il docente è abituato a verificare nel bambino che egli intende introdurre al dominio dell'alfabetismo classico, e che in questo caso di alfabetismo postmoderno - chiamiamolo così! - il bambino videoludico certamente ha, e il suo docente o genitore non è detto che abbiano.
Insomma, devi aver fatto un'esperienza diretta di videogiochi, o almeno una seduta di osservazione a fianco di un bambino videogiocante.
In caso contrario, se questi prerequisiti ti mancano, e se non colmi rapidamente questa tua lacuna, siine certo, fallirai.
Poco importante, dirai. I videogiochi, ti sarà naturale obiettare, appartengono al mondo dell'intrattenimento e del consumo. Non pongono problemi pedagogici, se non in termini di regolamentazione, di presa di distanza, di orientamento critico.
Errore, voglio controbattere, gravissimo errore!
I videogiochi sono implicitamente e talvolta esplicitamente formativi. Sì, hai letto bene. Sono formativi, sostengo, in due modi.
In un senso profondo, perché danno forma all'esperienza del bambino, coinvolgendolo dentro le dimensioni della virtualità, della pattuizione, dell'operatività: insomma, dell'interattività (che è la matrice primaria della scrittura...).
Ma lo sono anche in un senso più ampio, perché proiettano la loro azione sul suo modo di conoscere il mondo. E, soprattutto, di conoscere il mondo dei media.
Quest'ultimo è l'aspetto più interessante, almeno per le cose che sostengo qui.
La pratica videoludica consente all'utente di stabilire un rapporto complesso con la macchina: il soggetto non la subisce solo (come fa quando è disturbato dalla radio ad alto volume del vicino), né soltanto la recepisce in modo selettivo (come fa quanto legge, o, in una forma diversa, quando guarda e ascolta la tv), ma accoglie i prodotti di queste due azioni e ne fa un campo di intervento, di interazione, di trasformazione.
Insomma, l'esperienza del videogioco sta all'esperienza di tv come l'esperienza di scrittura sta all'esperienza di lettura.
Condotta ai suoi esiti estremi, questa linea argomentativa mi induce a pensare che il videogioco sia la migliore delle introduzioni oggi disponibili alla logica del computer, cioè ad una macchina sempre più multimediale, duttile, colloquiale, alfabetizzante. O meglio, postalfabetizzante.
Se ti restano dei dubbi, prova a riflettere sulla natura della tua conoscenza e della tua esperienza di computer. E' per te soltanto un attrezzo di calcolo? pensi che i monitor a colori siano un estetismo superfluo? e il suono, c'entra o non con il "calcolatore"?
Torniamo agli aspetti "pedagogici".
E' vicino a noi, ma raramente gli dedichiamo attenzione. E' dentro lo spazio di vita dei nostri bambini, ma lo frequentiamo pochissimo. Lo temiamo, noi grandi, almeno quanto i piccoli lo amano. Riconoscilo. Il videogioco divide il mondo in due: da una parte gli utenti, diretti o indiretti (quelli che ci giocano e quelli che vorrebbero giocarci), praticamente tutti i bambini e i ragazzi; dall'altra i non utenti, gli adulti tutti. Con rarissime eccezioni, su questo secondo fronte: i giocatori forzati, come rischiano di diventare i genitori che "democraticamente" accettano la sfida alle macchine lanciatagli dai loro piccoli; gli utenti disinteressati, come sono i - non molti, per la verità - genitori e insegnanti veramente curiosi del mondo dentro cui vivono i destinatari delle loro attenzioni pedagogiche, e i ricercatori - anche questi assai rari - che si interrogano sulle culture infantili; gli addetti ai lavori, cioè quelli che i videogiochi li producono o li smerciano.
Noi adulti di videogiochi sappiamo pressoché nulla.
Loro, i bambini e i ragazzi, ne sanno moltissimo.
Noi reagiamo alla nostra ignoranza e insipienza censurando quella cultura (quella non-cultura, perbacco!) e regolamentandone l'esercizio; loro rispondono sempre più caricando l'esperienza di significati, anche alternativi. Noi chiediamo soccorso al medico, allo psicologo, al pedagogo; loro si fanno gruppo senza distinzioni di età, ceto e sesso.
Il videogioco, insomma, come luogo dell'alternatività. Non sto scherzando.
Te ne accorgerai stando per un po' di tempo, possibilmente senza pregiudizi di sorta, dalla parte del bambino che videogioca, condividendo la sua passione, apprezzando la sua competenza.
Quel mondo, ne converrai, è tutto suo.
E' un ambiente compatto e denso, dentro il quale la sua fame di esplorazione, di sfida, di proiezione, di sogno, trova un alimento costante.
E' una palestra per la sua intelligenza.

[…]

Il videogioco, qualunque videogioco è il regno dell'interattività: tra una macchina duttile, un soggetto che deve acquisire competenza, un programma che mette in scena le regole del gioco.
Ti verrebbe da pensare (con la tua logica di adulti) che quanto più gioco e macchina sono sofisticati tanto più il loro uso risulti complesso, più insomma escludano i piccoli utenti: non è così. E questa è un'altra dimostrazione dell'alternatività di cui parlavo prima.
Se un libro o un film sono altamente sofisticati, chiedono un uso altrettanto sofisticato, generalmente fuori della portata di un bambino.
Un programma e un videogioco sofisticato si prestano invece ad usi molteplici e differenziati, hanno dentro la capacità di adattarsi ad una grande varietà di utilizzazioni, comprese quelle "ingenue" (che presto, con l'esperienza e soprattutto la dedizione, diventano "sapienti").
Il videogioco è una macchina virtuosa per la cognizione, che attiva un complesso di abilità: di tipo sensomotorio, rappresentativo, narrativo, strategico, simulativo. Talvolta in modo disgiunto, il più delle volte in forma integrata.
E' la via maestra per l'ingresso nel regno della virtualità, dove sono messe in scena le dinamiche dell'osservazione, della progettazione, della prova, dell'errore, dell'immaginazione. Quella stessa virtualità di cui si alimenta la pratica e la logica della scrittura.

Ma è anche, come ho già detto, un luogo dove si strutturano forme sempre più avvicenti e coinvolgenti di comunicazione multimediale: non solo perché le macchine adottano contemporaneamente più codici (visivi, sonori, tattili e operativi), ma anche perché i loro temi e i loro linguaggi rappresentano il crocevia dove confluiscono numerosi percorsi mediologici e numerosissimi scambi tra un ambiente e l'altro (dal videogioco al film, alla televisione, al giornale; e viceversa)."

Bisognerebbe anche intendersi meglio sul tema "ipertesti". Stefano Penge, del quale riproduco, rielaborato, un passo da Storia di un ipertesto. Scrivere, leggere, pensare in forma di rete, La Nuova Italia, Firenze 1994, ci aiuta a farlo:

"Che cos'è un ipertesto? Domanda non facile.
Il problema della delimitazione dell'oggetto vale tanto per un discorso teorico quanto per un'attività pratica. Prima di iniziare a parlare, è necessario concordare con gli altri un argomento. E' una regola di buona creanza: si offre la scelta tra uscire subito dal sentiero comune o proseguire (e tacere per sempre). La prima definizione è una delimitazione di campo: "stiamo per parlare di tutti quegli oggetti che hanno la proprietà di essere ipertestuali".
Ma in questo, come in tanti altri casi, non è possibile premettere una definizione induttiva dell'oggetto; non è possibile raccogliere tutti gli ipertesti prodotti fino a questo momento e tirarne fuori le caratteristiche comuni. Sono troppi, sono troppo diversi; appena si trova una caratteristica comune, ecco un esempio di ipertesto che non ne è provvisto.
Non è un problema relativo a questo oggetto particolare. L'istanza classificatrice, derivata dalla scienze biologiche pre-darwiniane (che cioè ogni specie vivente sia sempre stata così com'è oggi fin dalla creazione), si traduce nell'illusione che anche nelle scienze umane si possano classificare oggetti descrivendone le caratteristiche naturali.
Il romanzo - come l'ipertesto, che qui ci interessa - non è un oggetto naturale, ma artificiale; perciò il problema non è di tipo descrittivo, ma prescrittivo. Non "com'è" un ipertesto, ma "come deve essere".

Il concetto di ipertesto farebbe da modello, da regolo sul quale misurare gli (aspiranti) ipertesti reali. La forma della definizione prescrittiva è la domanda: quali oggetti sono a pieno titolo "oggetto del discorso"? Quali sono i parametri che permettono di assegnare a qualcosa l'aggettivo "iper" (o di rifiutarglielo)? O in forma attiva: quali regole bisogna osservare nella creazione di un ipertesto?

Ci sono grosso modo due scuole di pensiero, che si differenziano per la maniera in cui intendono il concetto di informazione e di rapporto tra informazioni. Queste due tendenze si sono già scontrate nel medioevo, sotto le bandiere di "realismo" e "nominalismo". Oggi la disputa è più sottile e meno dichiarata.

La prima scuola sostiene che ci sono nel mondo due tipi di oggetti: le cose e le informazioni. Rappresentare significa far corrispondere ad ogni cosa una informazione - l'immagine numerica della cosa. Se le cose sono collegate fra di loro, anche le informazioni corrispondenti devono essere collegate fra di loro. Un ipertesto consiste, in questa visione, di un insieme di informazioni, collegate fra di loro in maniera corrispondente ai collegamenti reali tra le cose.

L'altra scuola sostiene invece che le informazioni sono oggetti dotati di dignità propria, che non sono legate da un rapporto di rispecchiamento con le cose, ma sempre e soltanto con altre informazioni. Un ipertesto quindi è semplicemente un sistema di oggetti attivi, collegati fra di loro non da legami permanenti, ma dalla capacità di ricevere e inviare messaggi gli uni gli altri: una pagina di testo è in grado di inviare un messaggio ad un'altra pagina, oppure ad un'immagine, e così via.

C'è in effetti una terza scuola: quella che nega l'esistenza degli ipertesti. Qui bisogna notare come sul terreno degli ipertesti si attui la grande rivincita degli umanisti: è l'informatica per i non specialisti, i letterati, gli insegnanti, i medici. Forse è proprio questa volgarizzazione che gli informatici non perdonano.

Le due scuole sono però d'accordo su alcuni parametri fondamentali. E' sicuramente iper:

1. tutto ciò che è non-sequenziale;

2. tutto ciò che si tiene sulla base di legami associativi;

3. tutto ciò che si presenta visivamente come un mosaico di finestre,

Ci sono poi altre qualità secondarie, non necessarie ma quasi sempre auspicabili:

3. è possibile una (ri)scrittura anche da parte del lettore;

4. i codici usati possono essere molteplici (si parla di ipermedia)

E' facile dimostrare come questi parametri non siano del tutto soddisfacenti indicando oggetti che soddisfano i requisiti prescritti ma a tutta evidenza non sono ipertesti. Per esempio:

1. Un romanzo moderno (da "Tristram Shandy" in poi)

2. Un'enciclopedia

3. Un quotidiano

4. Un nastro magnetico

5. Un film

O accettiamo l'idea che anche i libri e i giornali sono ipertestuali (e non può non venire in mente il signor Jourdain, che faceva della prosa senza saperlo), oppure - se quest'idea ci infastidisce - riconosciamo di sapere già in qualche modo distinguere tra ipertesti e resto del mondo. E infatti chi acquista un libro sugli ipertesti ha già un'idea, almeno vaga, di che cosa troverà.
Ma allora una questione più profonda (non di fatto ma di diritto) va posta preliminarmente: chi stabilisce questi parametri?
In un senso stretto: quali sono le categorie professionali abilitate? Gli autori, gli editori, i critici, i lettori? In un senso lato: quali sono le discipline che per prossimità o derivazione storica hanno il diritto di stabilirli?
Sono stati fatti numerosi tentativi - finora vani - di recuperare gli ipertesti dentro la semiotica, la letteratura, la pedagogia, per non parlare dell'informatica e dell'intelligenza artificiale.
Ma come sempre quando si tratta di oggetti reali - pensati, prodotti, consumati da soggetti diversi - definire un modello ideale significa tracciare dei ferrei limiti che gli ipertesti reali continueranno allegramente ad oltrepassare. Come sapeva già Hegel, la teoria arriva sempre dopo, a giochi fatti, e non può che estrapolare dai fatti una forma più generale (che verrà puntualmente smentita dai fatti ancora da venire...).

Insomma, la tentazione di entrare nelle paludi della definizione va respinta.

Così, tutto quello che si può fare è proporre un esame delle operazioni che si compiono usando quegli oggetti che chiamiamo ipertesti; descrivere le attività nelle quali sono coinvolti, i "giochi" che si possono fare con essi.

Non si tratta cioè di enumerare le proprietà degli ipertesti, ma di riflettere sulle relazioni che si instaurano tra noi, le macchine e i loro contenuti quando leggiamo, scriviamo, disegniamo o suoniamo in maniera ipertestuale. Indagare su quali metafore ci permettono di gestire in maniera efficace le novità, sfruttando l'esperienza passata; quali interfacce ci consentono di manipolare oggetti e utilizzare i risultati di queste manipolazioni per guidare la nostra attività; quali strutture reggono gli oggetti e ci permettono di conferire loro significato."

Dunque, che rispondere alle domande ?

1. Che l’idea stessa di prerequisito va problematizzata.

2. Che lo stesso vale per le pratiche ipertestuali.

3. Che questa problematizzazione deve essere il più possibile collettiva.

4. Che forse non ci sono "età ideali": tutto dipende da come si lavora in 1, 2, 3.

Aggiungo solo due cose.

I) I testi sopra citati sono del 1996, prime e ultime uscite (assieme a Tele di Penelope, di Ornella Martini, dedicato alla pubblicità come sapere ipertestuale) di una collanina da me diretta (Libropiù), sottovalutata dall’editore La Nuova Italia. Peccato, perché ogni titolo tentava di affrontare un tema (bambini, ipertesti, pubblicità) in chiave multimediale, era accompagnato da un software originale e costava pochissimo, poco più di 20.000 lire.

II) E’ appena uscito il mio Nuovo manuale di didattica multimediale, per Laterza. Il libro è ampiamente aggiornato e per non poche parti riscritto, rispetto all’edizione del 1994, ed è integrato adesso da un cd-rom (al prezzo complessivo di 35.000 lire). Nel cd-rom, che fornisce programmi e materiali per la didattica multimediale, trovate Tutti a bordo, un ambiente che integra e adatta per usi didattici i programmi di Office 97 di Microsoft: può essere liberamente utilizzato nel secondo ciclo dell’elementare e consente ai bambini di muoversi e operare in maniera reticolare (quindi in forma blandamente ipertestuale) dentro Word, Excel, Power Point. Potete avere un’idea del libro consultandone alcune sezioni presso il sito Laterza (http://www.laterza.it).

Per approfondimenti: http://www.geocities.com/Athens/Forum/9897