Il prof. Roberto Maragliano risponde ai nostri lettori
la domanda (29.10.99)
E' possibile
ipotizzare che gli alunni,
che a scuola non ricevono una prima alfabetizzazione informatica,
possano piu facilmente diventare disadattati
e soprattutto non orientati all'uso delle stesse,
nell'attuale contesto socio-comunicativo in cui sono immersi ?
la risposta di Roberto Maragliano
Mi risulta difficile afferrare il senso della sua
domanda.
Per quel che capisco, le propongo di tradurla in questo modo: perche' i pc a scuola,
visto che sono cosi' presenti nel mondo dei nostri ragazzi ?
Se questo e' il significato dell'interrogativo, la mia risposta e': perche' solo la
scuola puo' proporre un approccio intenzionale, sistematico, consapevole ai codici
e ai paradigmi della conoscenza, codici e paradigmi che trovano un riflesso
diretto nel rapporto individuo/computer/gruppo cosi' come ne trovano un
altro nel rapporto individuo/libro/gruppo.
Se vuole approfondire il problema, o meglio il mio modo di affrontarlo, la invito a
consultare, nella sezione News del sito del mio Laboratorio (http://ltaonline.cjb.net), il saggio
"Verso una scuola bilingue", in via di pubblicazione (ormai da otto mesi!)
sulla rivista Iter della Treccani.
la domanda (25.10.99)
Cosa ne pensa dell'idea
di riciclare vecchi PC
per allestire aule di informatica nelle scuole elementari
o, ancora meglio, per portare i PC in classe ?
la risposta di Roberto Maragliano
L'idea e' interessante e i suoi effetti sono certamente
utili.
Ma, attenzione!, piu' per la scuola secondaria (soprattutto superiore) che per
quella primaria. Perche' ? Perche' i bambini hanno bisogno di una
multimedialita' "spinta", dove la scrittura si integri il piu' possibile
con i codici audiovisivi.
Per questo, piu' che Internet (che offre ancora una multimedialita' modesta) il loro
supporto privilegiato e' il cd-rom.
Diverso e' il caso in cui il compito di esercitazione e di studio e' prevalentemente
o totalmente centrato sulla scrittura, come generalmente avviene ai livelli piu'
avanzati: qui, salvo specifiche eccezioni, puo' bastare anche un pc modesto, che
comunque possa ospitare un word processor e la connessione ad Internet.
Per dirla con uno slogan: piccoli pc per utenti grandi, grandi pc per utenti piccoli.
la domanda (19.10.99)
Le sarei molto grata se
mi parlasse della connessione
apprendimento-multimedialità.
Il mio interesse è dovuto alla mia condizione disperata
di tesista prossima alla laurea,
ma con un urgente bisogno di altro materiale.
la risposta di Roberto Maragliano
Nel sito del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive, del quale sono responsabile (http://ltaonline.cjb.net), alla sezione "News", trovera' una serie di recenti interventi sui temi che la interessano. Per un inquadramento generale del problema, oltre al mio "Nuovo manuale di didattica multimediale. Con cd-rom", pubblicato da Laterza, la rinvio al recente "Computer per un figlio", di Francesco Antinucci, sempre dell'editore Laterza, al primo capitolo del volume di Roger Chartier, "Cultura scritta e societa'", Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 199 (che affronta il problema storico e attuale delle "rappresentazioni dello scritto") nonche' all' Introduzione e alla Postfazione al volume a cura di Alberto Abruzzese e Alessandro Dal Lago, "Dall'argilla alle reti. Introduzione alle scienze della comunicazione", Costa & Nolan, Genova, 1999.
la domanda (19.10.99)
Che tipo di competenza/e
sviluppano
le attività multimediali nella scuola elementare ?
la risposta di Roberto Maragliano
Dipende dal contesto e dal modo di utilizzazione della
multimedialita'.
Comunque alcune considerazioni generali possono essere fatte.
In primo luogo, per quanto riguarda le attivita' di lettura e scrittura, il ricorso
al computer sollecita lo sviluppo dell'insieme delle competenze legate ai processi di
significazione, consentendo di inquadrarli dentro una logica
"situazionale".
In altri termini, sia in sede di ricezione sia in sede di costruzione, attribuire
dei significati ad un testo equivale, dentro gli spazi della multimedialita', ad
integrarlo, legarlo (da cui "lettura") in un tessuto testuale, ponendolo
in un rapporto di dialogo con altri testi, simili o dissimili che siano.
Sul piano piu' specifico dell'allestimento di un singolo testo, usare il computer
consente al piccolo utente di controllare una serie di elementi cruciali per la "resa
pubblica" del testo stesso, elementi che hanno a che fare con le operazioni di
editing (impaginazione, scelta dei caratteri, uso dei colori, eventuali integrazioni con
elementi iconici e sonori, etc.).
Su un altro versante, personalmente ho piu' volte insistito (anche dedicandogli un
capitolo del "Nuovo manuale di didattica multimediale. Con cd-rom") sul fatto
che la multimedialita' offre risorse di enorme importanza per sensibilizzare gli
allievi alle pratiche dei linguaggi sonori, garantendo una spazio di
"metacognizione" che non trova equivalenti in altri contesti (infatti non ci si
limita qui ad "ascoltare" ma si puo' anche intervenire sui suoni, modificandoli,
manipolandoli, riorganizzandoli). Analogo discorso puo' esser fatto per le immagini,
soprattutto per quelle in movimento. Con quali altri strumenti puo' esser
data la possibilita' di realizzare un'animazione, studiando i modi della sua costruzione?
Ad un livello piu' generale credo di poter dire che la differenza maggiore che passa fra
un sapere costruito in ambito multimediale e uno costruito con un riferimento privilegiato
all'ambito libresco sta nel fatto che con il primo la conoscenza viene
"abitata", cioe' fatta propria e quindi personalizzata
("vissuta") dall'utente, mentre con il secondo la conoscenza e' acquisita come
qualcosa di "esterno" al soggetto.
Per non dire poi di come il navigare dentro la multimedialita' dia alimento ad un sapere
reticolare, basato sulle logiche dell'associazione e della connessione.
Tutto questo porta a considerare il computer come "dispositivo filosofico",
cornice concettuale entro la quale dar conto della molteplicita' delle forme del conoscere
(ne ho parlato in questi termini in "Tre ipertesti su multimedialita' e
formazione", Laterza).
Sul tema complessivo delle competenze e dell'autonomia, segnalo il dossier
contenuto nel n. 1/2- 1999 di "Annali della Pubblica Istruzione", rivista
disgraziatamente (incomprensibilmente!) non disponibile in rete.
n.d.r. è tuttavia disponibile in rete l'intervento
di Roberto Maragliano "Consapevolezza dei saperi e filosofia
della reticolarità"
la domanda
(26.02.99)
Sono insegnante nella scuola materna.
Secondo Lei il Ministero avrebbe dovuto indicare l'allestimento
di un laboratorio multimediale(1b)
per la scuola materna piu a misura di bambino?
A me pare che non ci abbiano proprio pensato.
La mia domanda è conseguenza delle difficoltà che,
come referente del progetto 1b,
ho incontrato quando ho richiesto tastiere e mouse
a misura di bambino per ovvi motivi.
Quale il suo parere in merito ?
la risposta di Roberto Maragliano
Non sono d'accordo.
Nel dare alcune indicazioni generali, valide per tutti gli ordini scolastici, una
volta tanto, io credo, il Ministero si e' attenuto a quelli che dovrebbero i suoi
compiti di orientamento. Questo vuol dire, o almeno io interpreto cosi' la
situazione, che le scuole avevano e hanno liberta' - nel rispetto di alcune esigenze
generali, per esempio quella di acquisire computer che garantiscano prestazioni non
inferiori a determinati livelli - di decidere riguardo alla
"personalizzazione didattica" degli acquisti. Mi sarei ben piu'
preoccupato se il Ministero avesse imposto le tastiere e i mouse
"infantili" a tutte le materne: avesse cioe' resa vincolante una scelta
che non puo' non essere il frutto di decisioni locali (non tutti i bambini di
quell'eta', a quanto so, usano tastiere e mouse di questo tipo, trovandosi bene con
quelli "adulti").
la domanda
(18.02.99)
Sono una laureanda in filosofia con
indirizzo pedagogico,
sto svolgendo una tesi sull'utilizzazione dell'ipertesto
come strumento didattico per l'insegnamento della storia.
Le mie ricerche sull'esistenza di tali ipertesti didattici sono, però, fallite.
Non esistono, oggi, pubblicazioni ipermediali,
riguardanti l'ambito storico, esclusivamente per uso didattico,
ed in particolare rivolte ai ragazzi della scuola media inferiore?
la risposta di Roberto Maragliano
Come prima considerazione, la invito a non cadere nella tentazione
di trasferire modelli concettuali propri dell'ambiente libresco all'ambiente
multimediale.
Che ci siano libri di storia pensati e realizzati esclusivamente per uso didattico e
destinati alla scuola media è un fatto.
Che per questa stessa ragione ci possano (o ci debbano) essere prodotti
multimediali di storia, pensati e realizzati esclusivamente per uso didattico e
destinati alla scuola media, è tutto da dimostrare, anche sul piano dei
principi.
Penso che questo possa anche essere, ma che poi non sia cosi' importante che sia,
proprio per le sorti dell'arte multimediale,
anche di quella destinata alla formazione. Cosa voglio dire? Che passando da un
ambiente ad un altro, cambiano necessariamente alcuni degli elementi di riferimento:
per esempio, la buona multimedialità, almeno la penso così, non può avere un
rapporto "esclusivo" con la didattica (come invece ha un buon libro di
testo), ma avra' un rapporto per cosi' dire "plurimo", all'interno del
quale l'intrattenimento (di solito escluso dalle dimensioni della didattica
libresca) si coniuga con l'esigenza formativa e la trattazione di una parte della
materia (nel caso, la storia) si integra con altre dimensioni, disciplinari e no.
Detto questo, la invito ad adottare una classificazione molto semplice di prodotti
multimediali di (o per) l'area storica, che include:
Alla prima classe appartengono prodotti del tipo di "L'Europa
raccontata ai
ragazzi", un cd-rom tratto da un'opera di Jacques Le Goff, curato da Andrea
Giardina e recentemente pubblicato da Laterza Multimedia: i diversi temi
della nostra storia di europei sono qui presentati e sviluppati attraverso
percorsi che prevedono anche la presenza (per la verità un po' pedante) di
prove di valutazione.
La seconda è ben rappresentata dal (doppio) cd-rom "Complotto alla Corte
del Re Sole", di produzione francese, ma ben tradotto in italiano, e
distribuito da CTO (via Piemonte 7/F, Zola Presoda - BO): 25 ore di gioco, un intero
edificio (Versailles) virtualmente ricostruito in tutti i suoi particolari, un sacco
di quadri e di musiche dell'epoca da visitare e usare, innumerevoli personaggi, il
tutto per scoprire chi ha ordito un complotto per distruggere il palazzo.
Così non "si fa" storia, ma "si è " nella storia.
La terza classe e quella delle enciclopedie, da Encarta della Microsoft a
Omnia della De Agostini, a Rizzoli Larousse.
Non manca mai una barra del tempo dal quale partire per le proprie navigazioni, e
sulla quale riflettere in ordine agli intrecci, i contrappunti, le non coincidenze
tra
le diverse periodizzazioni.
Per non dire poi di come (in particolare in Encarta) i temi specificamente storici
si integrino con altri, acquistando in densità e complessità.
Insomma, credo che si possa sostenere che con la multimedialità è possibile dar
corpo ad "un'altra idea di storia".
la domanda
(31.01.99)
Sono una neolaureata in Psicologia.
Per la laurea ho presentato una tesi sulla multimedialità e la didattica
con la realizzazione di un ipertesto per studiare gli effetti che un simile
strumento produce sull'apprendimento.
Vorrei sapere se nella scuola puo essere inserita una figura
come la mia nonostante non sia insegnante.
Se si, come? Oltre ai corsi di perfezionamento esistono delle scuole di
specializzazione sulla multimdialita applicata alla didattica?"
Anna Maria Chiodo, Verona
la risposta di Roberto Maragliano
Lo scorso ottobre il Consiglio dei Ministri ha
approvato lo "Schema di
regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche" .
Successivamente e stato avviato un complesso piano sperimentale (le relative
circolari le può trovare in una apposita
pagina di questo sito), al quale hanno aderito un numero elevatissimo di
scuole (si fa prima a dire quasi tutte). Molte di queste hanno presentato progetti (e
relative richieste di finanziamento) che, nell'ambito dell'atunomia, hanno a che fare con
l'uso delle tecnologie e quindi si collegano ai primi (comunque significativi) risultati
del Piano di Sviluppo per le Tecnologie Didattiche (su questo punto può trovare molto
materiale nel sito del Ministero).
Facendo riferimento a questa situazione in movimento, le consiglio di preparare un
suo curricolo dettagliato, che includa alcune possibilita di collaborazione (sui
versanti dell'aggiornamento dei docenti o dell'ampliamento dell'offerta formativa), e
inviare il tutto a un certo numero di scuole del suo ambito territoriale. Scuole
che, se impegnate nella sperimentazione dell'autonomia, si trovano nella condizioni
formali per stipulare contratti a tempo determinato con esperti particolarmente
qualificati.
Riguardo alla sua altra richiesta di corsi universitari, so (anche perche' sono
coinvolto) di un Master in Multimedia, organizzato da Universita' di Firenze, Rai e
Mediateca Regionale Toscana (http://www.dsi.unifi.it/master_multimedia),
pero' i termini di iscrizione sono abbondantemente scaduti, per quest'anno.
Veda se l'esperienza sara' riproposta l'anno a venire.
la domanda
(21.01.99)
Sono un'insegnante di lingua inglese e
vorrei avere
suggerimenti utili (testi di riferimento, titoli di software ecc.) per
poter utilizzare efficacemente nella didattica i software multimediali
appositamente creati per la didattica della lingua straniera.
Caterina Policaro, docente di lingua inglese a Vibo Valentia
la risposta di Roberto Maragliano
"La lingua straniera non e' un sapere da
trasmettere, ma una pluralita' di
linguaggi da esplorare. E l'esplorazione vera e' quella che porta alla
manipolazione del linguaggio, alla sperimentazione delle sue potenzialita'
combinatorie e creative".
Questo sostiene Caterina Cangia' nel primo di tre articoli in corso di pubblicazione
sulla rivista "La Vita Scolastica" della Giunti (veda il n. 10,
febbraio1999).
Meglio non saprei dire. E meglio non saprei fare, a proposito di un necessario
ri-pensamento delle modalità e dei metodi di un rinnovato insegnamento delle lingue
straniere, che rinviarla al saggio della stessa Cangia' L'altra glottodidattica,
Giunti, Firenze 1998.
Decisamente un buon "testo di riferimento".
Riguardo l'altra sua richiesta, di "software multimediali appositamente creati per la
didattica della lingua straniera", mi lasci esprimere un po' di perplessita'.
Sarei perplesso (e uso un eufemismo !) se sapessi che c'è un esperto di libri
scolastici capace di dare la dritta ad ogni insegnante, per qualsiasi ambito
disciplinare e rispetto a qualsiasi impostazione didattica.
Cosa voglio dire ?
Che interessarsi come io faccio di multimedialita' per la formazione non vuol dire
essere in grado di giudicare tutti i software per tutte le materie e per tutte le
impostazioni didattiche.
Posso sì avere qualche idea, riguardo a determinati settori, ma questa idea,
necessariamente, sarà astratta e dovrà confrontarsi, una volta resa pubblica, con le
teorie e le pratiche didattiche del docente che vorrà misurarsi con essa.
Questo per dirle che non me la sento di suggerire dei titoli, ma eventualmente solo
delle considerazioni d'ordine metodologico.
Perchè dunque far ricorso alla multimedialità per le lingue straniere ?
Perchè è comoda per l'insegnante, perchè è efficace per l'allievo, o per altro ?
Senza negare queste due risposte, ne aggiungerei un'altra, che
rimanda alle posizioni della Cangià, decisamente più competente di me in
questa materia.
La mia risposta, secca secca, è: perchè la multimedialità consente più di
altri mezzi di contestualizzare la lingua, cioè di farla vivere (o meglio di
simularne la vita) "in situazione".
Pertanto, sarei perplesso nei confronti di prodotti "appositamente creati per
la didattica", se questo volesse dire che riproducono una didattica (che io
aborro, e non solo per l'ambito linguistico) impostata sulla retorica, il
formalismo, insomma la decontestualizzazione della lingua.
Purtroppo, questa didattica e' dura a morire, ed anzi rischia di trovare nuove
risorse dentro un uso "macchinistico" del computer (dove la macchina
automatizza delle procedure fisse d'insegnamento e di verifica).
Che fare, allora ?
Quel che le voglio suggerire è di non trascurare il fatto che in Internet l'inglese è la
lingua veicolare.
E sempre, o quasi, si tratta di una lingua contestualizzata, cioe' legata a temi e
argomenti non artificiali.
Ci sono centinaia di siti "infantili" in lingua, con abbondanza di suoni ed
immagini. Come ci sono buone e anche ottime cassette video in inglese o per
l'inglese (persino "Topolino" ne proponeva alcune, tempo fa), destinate ad
un pubblico infantile.
Forse non sono prodotti appositamente pensati per la didattica scolastica, ma e'
anche vero (o meglio, vorrei suggerirle l'idea) che frequentemente dei prodotti
realizzati per un apprendimento "informale" funzionano meglio (riguardo un
pubblico infantile, ma non solo!) di altri prodotti pensati per un apprendimento
"formale".
L'altro consiglio che mi permetto di darle è di provare su di lei, facendo
finta di essere un adulto desideroso di immergersi nel mare della lingua
inglese, le innumerevoli offerte che attualmente propone l'edicola.
Per esempio, su che cosa si basa la fortuna (e l'efficacia) di una rivista come "Speak
Up" della De Agostini, se non sul fatto che materializza un modello di
lingua viva, fortemente contestualizzata (legata, appunto, al sistema di attese di
un lettore di riviste di varia, che vuole conoscere il mondo prima che la lingua
inglese) ?
O ancora: qual è il "valore aggiunto" di opere in cd-rom come Talk
to me (distribuita assieme al settimanale "L'Espresso" uno o due
anni fa), o come Fast Forward (distribuito sempre assieme a
"L'Espresso" in queste prime settimane del 1999), se non il fatto di
puntare la prima sulla produzione verbale e il riconoscimento della pronuncia e la
seconda su un sistema integrato di spiegazioni, esercizi, test, vocabolario, tutte
cose che sarebbe impossibile garantire con altri mezzi piu' tradizionali come carta
stampata e cassette audio o video ?
Conclusione. Le offerte non mancano, e sempre più aumenteranno nel futuro: ma nel
valutarle non dimentichi che nella rete e nella multimedialita' la lingua inglese e
piu' facile incontrarla e farla propria che evitarla e, soprattutto, volendo
adottare uno strumento didattico, non manchi di chiedersi se la lingua lì
presentata e "lavorata" e' di tipo contestuale e se al computer è lì
garantito quel "valore aggiunto" che lo fa essere un medium irriducibile
agli altri media.
la domanda
(15.12.98)
Vorrei iniziare a usare il computer con i
bambini della scuola materna.
Ma ho alcuni dubbi: sono troppo piccoli? Che cosa posso fargli fare ?
Laura De Witt, insegnante (Torino)
la risposta di Roberto Maragliano
La sua domanda e' per me, come suol dirsi, un
"invito a nozze". Ho infatti sempre sostenuto che la multimedialita', e
quindi il computer, possono rappresentare delle risorse importanti per i bambini,
soprattutto per i piu' piccoli, quelli che che sono ancora lontani dall'inizio dei
processi dell'alfabetismo formale. Infatti, la buona multimedialita' mette in
discussione non tanto la centralita' quanto l'esclusivita' della lingua scritta, e
fornisce abbondante alimento al pensiero audiovisivo (se cosi' posso
esprimermi) e a pratiche di interattivita' che prescindano dalla lingua scritta.
Il primo problema da affrontare, in questo contesto, e' di natura teorica.
L'ho affrontato, fra l'altro, nel mio Tre ipertesti su multimedialita' e
formazione, recentemente pubblicato per Laterza.
Le riproduco qui alcuni nodi del terzo ipertesto, dedicato al rapporto fra bambini e
media:
"III. 5 Il bambino letterato
L'idea di infanzia ereditata dalla tradizione culturale e in buona parte scientifica
e, per cosi dire, "letteraria", trova cioe il suo ambito di
concettualizzazione e legittimazione dentro ad uno spazio sociale e un ordine
semiotico dominati dal carattere di esclusivita riconosciuto alla lingua scritta:
esclusivita duplice, sia perche all'alfabetismo si riconosce la prerogativa di essere il
medium per eccellenza, per molti aspetti l'unico medium cui affidare la riproduzione
dei saperi e dei comportamenti, sia perchè esso agisce isolando i suoi utenti in
fasce di età, di interessi, di identità.
In altri termini, la sua stessa designazione di "essere che non parla" fa
del bambino un individuo manchevole, incompiuto, il cui destino di crescita e
completamento e fortemente segnato dall'alfabetismo.
Una volta assicurato il possesso di un tale strumento, materiale e spirituale, la
sua identita di bambino (dentro lo scenario tradizionale, e il caso di ripeterlo)
smette di essere "negativa", carente, ed egli entra a pieno titolo nello
scenario di comunicazione e di dialogo con il mondo. Il bambino che legge e scrive e
un bambino compiuto, che non trova piu ostacoli sia nel rapportarsi al mondo e agli
altri, sia nell'autorappresentarsi come essere innocente (si pensi, a questo
proposito, al ruolo "fondante" che famiglia e scuola attribuiscono alla
lettura, da parte del bambino in via di compimento, di testi letterari che hanno
come protagonista l'infanzia).
III.5.1 Con-fusione tra eta infantile ed eta adulta
La tesi secondo cui e l'alfabetismo a creare l'infanzia puo certamente essere
accusata di superficialismo e di rozzezza deterministica. Ma e difficile negare che
nell'eta precedente l'avvento della stampa i bambini fossero considerati meno
diversi dagli adulti e che nell'eta presente, anche in forza dell'oralita di ritorno
di media come la televisione e il computer, questa distinzione abbia perso molti dei
suoi tratti: il bambino e coinvolto direttamente, dalla tv, in quella parte del
mondo che prima gli era preclusa o presentata in termini selettivi od edulcorati
dalla stampa.
Il libro, insomma, isola il bambino dal mondo adulto in una maniera inconcepibile
per una cultura orale, pre o post scritturale.
Ovviamente non e il libro di per se che determina l'eta infantile e quella adulta,
ma le maggiori possibilita proprie dell'alfabetismo di tenere nettamente separati i
sistemi informativi adulti e quelli infantili.
La tv, permettendo ai bambini di accedere ad uno spazio aperto, non piu diviso (se
non in modo molto blando) per "fasce d'eta", fa saltare l'idea di
innocenza [III.2.1] e mette in crisi l'idea di una progressione prestabilita dei
contenuti e delle forme dell'esperienza individuale. Tv e computer hanno
radicalmente compromesso la gerarchia delle informazioni e dei modelli di
apprendimento storicamente costituita dall'alfabetizzazione e dal suo contesto di
massima legittimazione, cioe la scuola (Johsua Meyrowitz, Oltre il senso del
luogo. Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale,
Baskerville, Bologna, 1995).
III.6 Analfabetismo e post-alfabetismo
Lo schema che garantisce all'alfabetismo il compito di fissare e governare il
sistema delle eta e di conseguenza il filtraggio delle esperienze e delle conoscenze
entra in crisi non tanto con l'avvento dei media (che comunque usano altri codici,
accanto o in alternativa a quello scritto) quanto con il fatto che essi, occupando e
plasmandogli spazi delle rappresentazioni collettive secondo modalita aperte - non
piu riservate -, trovano un interlocutore privilegiato nel bambino, piu propriamente
nella sua componente "analfabetica": non intesa come carenza, ma come
dotazione costitutiva del suo essere "soggetto simbolico".
Il rapporto di amore che ogni soggetto in crescita, fin dal suo primo affacciarsi
sul mondo, vive nei confronti di strumenti come il telefono, il registratore audio,
la radio, la televisione, il videoregistratore, la telecamera, fino ad arrivare al
computer trova qui la sua origine: nel fatto che l'accesso a tali mezzi e il loro
uso prescinde dal (anzi talvolta trova ostacolo nel) possesso formale della
strumentazione alfabetica.
Le tecnologie della riproduzione audio e quelle audiovisive, ma per certi aspetti
anche le tecnologie multimediali, investono molto, e spesso in modo esclusivo, su
codici diversi da quelli dell'alfabetismo.
Ma quel che e piu importante e dirimente, per il ragionamento proposto qui, e che
esse si fanno garanti di forme di esperienza e di conoscenza assai diverse rispetto
a quelle codificate (e giudicate come esclusive) dalla
scrittura (e dalla tradizionale vocazione imperialistica che essa esercita negli
spazi scolastici).
Provo a dirlo con una formula provocatoria.
Il contributo piu rilevante che le macchine cognitive offrono al cambiamento dei
regimi collettivi dell'esperienza e della conoscenza non sta nella diffusione
massiccia e intergenerazionale di quadri di sapere, quanto nella messa in
discussione di una concezione "macchinistica" (o meccanicistica) del
sapere stesso.
E' il caso che mi spieghi.
La stampa e la cultura testuale di cui si fa portatrice ci hanno abituato a
considerare ogni ambito di sapere come uno spazio oggettivato o oggettivabile in un
discorso scritto, o "testo", a sua volta scomponibile nei suoi elementi
costitutivi. Mettere un individuo nelle condizioni di acquisire questo ambito
equivale a consentirgli di scriverselo dentro, e ciò avviene perlopiù attraverso
una pianificazione delle attivita di lettura, dalle porzioni piu semplici a
quelle piu complesse che compongono il sapere-testo (vale a dire il sapere inteso
come testo).
Così funziona la scuola, e in buona parte funzionano tutte le attività di
insegnamento formale: promuovendo un adeguamento meccanico ad un testo, che funge da
mappa e da ambiente concreto per la pianificazione-realizzazione degli itinerari
didattici e successivamente da garanzia per l'esercizio delle eventuali attivita di
verifica ("capire se l'allievo ha capito" significa, in questo spazio,
sottoporlo ad una prova di riconoscimento o di riproduzione testuale).
Dentro i media non albergano gli attributi formali della conoscenza e della
comunicazione testuale. Al posto di una forma di sapere caratterizzata da chiusura,
sistematicita, verticalita (nel senso di approfondimento) troviamo un sapere centrato sui
principi dell'apertura, della reticolarita,
dell'orizzontalità (nel senso di estensione): non meccanico bensi magmatico e
fluido, non analitico ma connettivo e quindi integrante, non totalmente oggettivo o
soggettivo ma contemporaneamente contaminato da istanze di soggettivazione e istanze
di oggettivazione, non distaccante ma proiettante.
Ciò che intendo sostenere qui è che un tale pensiero si presenta, da un punto di
vista formale, come assai vicino alla componente non alfabetica (non ancora
alfabetizzata) del pensiero del bambino: quella che viene agita dal potere
attrattivo, coinvolgente, immersivo del suono e dell'immagine in movimento, quella
che l'adulto sente come insidia e si propone di annullare attraverso l'imposizione
sovente formalistica e violenta dell'alfabetismo.
Contattati in questo modo, i media si configurano come espressione-legittimazione di
un sapere ad un tempo primordiale e post-alfabetico (qualcuno direbbe post-moderno),
pre-adulto e post-adulto (dove l'attributo "adulto" concide con il
possesso pieno e consapevole della strumentazione alfabetica), astratto ma non
totalmente distanziante (in quanto garantito dal circolo
immersione-astrazione-immersione).
E' in questa chiave, io credo, che dovrebbero essere indagate le funzioni di
"normalizzazione" generalmente attribuite ai media."
Chiarito o meglio formulato in termini concettuali aperti questo aspetto del
problema, passo a suggerirle alcune piste di lavoro, raccomandandole comunque di
evitare di indulgere sia a scelte troppo segnate dalla dimensione
dell'intrattenimento sia a scelte troppo piegate ad esigenze
educative. La scelta vituosa e' quella intermedia, all'interno della quale il
piacere del gioco non e' disgiunto da un obiettivo formativo (piu' implicito che
esplicito).
Potrebbe partire con il visitare il sito Disney, dove
trovera' molte proposte di cd-rom adatti anche per la prima eta': libri animati e
ambienti grafici (o di prima scrittura), tutti sviluppati dentro gli spazi
narrativi e illustrativi delle piu note storie disneyane.
Per sua comodita' le riproduco qui la scheda di presentazione del libro
amimato de "La carica dei 101".
"Una storia avventurosa che ti fara sognare
Ascolta la storia, leggi insieme a Pongo, Peggy e i loro cuccioli o va' direttamente nei
luoghi che preferisci in questa avventura interattiva. Ti attendono tante sorprese:
fai clic su una parola, un personaggio o un'immagine e scoprirai una vasta gamma di
giochi e attivita con piu livelli di difficolta, sei fantastiche canzoni e persino
un vocabolario che spiega il significato delle parole in rima. Lascia libera la tua
fantasia e questa classica storia si animera in una maniera completamente nuova !
Comprende 4 fantastici giochi e 6 meravigliose canzoni per ore e ore di
divertimento.
Scopri le animazioni sorprendenti scorrendo lateralmente la pagina per vedere le
scene panoramiche davvero uniche.
Fai clic nuovamente sugli oggetti per vedere qualcosa di diverso.
Leggi insieme ai tuoi personaggi preferiti le parole man mano che appaiono
evidenziate.
Scopri un vocabolario parlante e un dizionario che definisce le parole in maniera
poetica.
Canta accompagnando le immagini sul video e impara le parole di sei divertentissime
canzoni.
Metti alla prova la tua memoria abbinando i cani ai loro padroni nel gioco
Cani e padroni.
Migliora le tue capacita di ascolto e riconoscimento aiutando Kipper a decifrare il
codice segreto per entrare nel castello di Crudelia.
Metti a frutto le tue capacita di risoluzione dei problemi per trovare i cuccioli
nel sinistro castello di Crudelia.
Migliora il tuo senso dell'orientamento e amplia il tuo vocabolario aiutando i
cuccioli a recuperare le loro macchie: devi solo cercare degli oggetti nel
labirinto."
Volendo spingersi su terreni piu impegnativi, lei potra' affrontare assieme ai suoi
bambini alcuni brevi e giocosi itinerari dentro gli spazi della scrittura, curando
soprattutto l'aspetto grafico: per esempio, come visualizzare (con opportune scelte
di carattere, di colore, di animazione, con l'aggiunta eventuale di un disegno) la
riproduzione del loro nome,
oppure come riprodurre le caratteristiche grafiche del logo di un prodotto di
consumo (io ho lavorato sempre con successo con il logo della Kinder, scoprendo
l'estrema perizia di bambini di 4/5 anni nel riprodurlo in tutte le sue
caratteristiche).
Per questo potra' usare un programma come WinScribo della Lynx
(http://www.srd.it/lynx) oppure un wordprocessor
adulto come MS Word 7
(dentro il quale i bambini troveranno tante originali soluzioni di editing,
aspetti che di solito l'adulto non prende in considerazione).
WinScribo, che e' un programma di videoscrittura per bambini, ha in piu', rispetto agli
altri, un esecutore vocale, cioe' una funzione che permette l'esecuzione vocale (da
parte del software stesso) del testo scritto dal bambino o da chi per lui.
Attenzione, pero'! Eviti di considerare questa funzione come una risorsa correttiva,
per far capire al bambino se ha scritto bene o male. Questa soluzione potra' valere
piu' avanti, in prima o in seconda elementare. A livello di scuola materna, cosa
conta è far capire che quel che uno scrive puo essere letto da altri, persino da
una macchina!
Perche' questa osservazione? Perche' le possibilita' di uscita del bambino dalla
logica della correzione sono infinite: uno di cinque anni, sentendo WinScribo che
leggeva correttamente un suo testo (involontariamente) scorretto, dava la colpa
dell'errore al software, dicendo che era quello che sbagliava e invitava l'adulto a
non usarlo piu'...
Buon lavoro e, soprattutto, buon divertimento !
la domanda
(1.12.98)
Che rapporti 'creativi' (nel senso
'rodariano' del termine)
ci possono essere tra multimedialità e interculturalità ?
Mario Piatti, insegnante (Fornacette - PI)
la risposta di Roberto Maragliano
Rispondo. E' un argomento che considero
affacinante e molto produttivo, proprio sul versante di un'interpretazione
"filosofica" delle risorse della multimedialita. Il problema che mi
"intriga", e che vedo generalmente rimosso dalle esperienze di
multiculturalita didattica (salvo alcune eccezioni nel settore sonoro-musicale), è se sia
possibile organizzare esperienze di formazione e di comunicazione che prescindano
dalla centralita e dall'esclusivita della lingua, di una lingua data (di solito della
lingua del paese che ospita l'"altro").
La multimedialita, io penso, offre una soluzione a questo problema, in quanto
ridimensiona tale centralita-esclusivita e offre comunque uno spazio di metaconoscenza,
sul piano operativo.
Il discorso sarebbe lungo. Ci sto comunque lavorando, anche all'interno di un progetto di
ricerca con fondi europei. Siamo però all'inizio. Troveremo l'occasione di
riparlarne.
la domanda
(30.11.98)
Sto utilizzando AMICO per costruire
ipertesti
con classi di scuola elementare.
Trovo alcune lacune forse proprie di uno strumento
semplice da utilizzare
anche con ragazzi così piccoli.
Qual è un programma per ipertesti che coniughi semplicità d'uso
con completezza di elaborazione multimediale ?
Mi parlano di Front Page, ma ne esistono altri ?
Carmelo Stornello, insegnante (Torino)
la risposta di Roberto Maragliano
Il programma Prom (nel cd-rom allegato al mio Nuovo
manuale di didattica multimediale, appena uscito da Laterza) consente di organizzare
documenti ipertestuali (con arricchimenti multimediali) articolati su piu livelli:
offre cioe la possibilita di raggruppare i nodi e di disporre i gruppi su
vari livelli.
Una volta effettuata la regia del documento con Prom, si puo passare alla
sua realizzazione con un'interfaccia più "multimediale",
eventualmente utilizzando Amico, o un programma come Mio Mondo - per costruire mappe
ipermediali (http://www.srd.it/lynx), che si servono
dello stesso motore.
la domanda
(24.11.98)
Quali prerequisiti cognitivi
devono possedere gli alunni per poter realizzare un ipertesto?
O, in altre parole, a che età si può iniziare
a proporre la produzione di ipertesti ?
la risposta di Roberto Maragliano
Sul concetto di prerequisito ho inteso
giocare (spero in modo serio) nel mio Esseri multimediali. Immagini del bambino di
fine millennio, La Nuova Italia, 1996, fin dal titolo di un capitoletto dedicato
ai videogiochi:
"Papà, ti insegno a leggere il videogioco. Ma hai i prerequisiti?".
Ne riproduco alcuni passi:
"Chi videogioca si abitua ad un determinato
tipo di esperienza e di comunicazione: immersione, multimedialità, interattività, per un
verso; gioco, messa in gioco, ironia, leggerezza, per un altro. E, di conseguenza, chiede
che anche i luoghi entro i quali l'esperienza e la comunicazione stesse vengono codificate
ed attivate (la tv, la stampa, sopra e dentro a queste la pubblicità) presentino, nei
limiti del possibile, la stessa configurazione e la stessa chiave discorsiva.
Di conseguenza, la pagina della rivista o il brano della trasmissione tv debbono non solo
richiamare ma realizzare con i loro mezzi l'ambiente di esperienza (percettiva, operativa,
culturale) del videogioco.
Non avrai difficoltà a capire quest'ultimo passaggio se sfogli una delle riviste da cui
ho preso le mosse [riviste, appunto, di videogiochi].Ma attenzione!
Per leggere, per capire, per agire, ti occorreranno dei prerequisiti. Sì, quelle cose che
il docente è abituato a verificare nel bambino che egli intende introdurre al dominio
dell'alfabetismo classico, e che in questo caso di alfabetismo postmoderno - chiamiamolo
così! - il bambino videoludico certamente ha, e il suo docente o genitore non è detto
che abbiano.
Insomma, devi aver fatto un'esperienza diretta di videogiochi, o almeno una seduta di
osservazione a fianco di un bambino videogiocante.
In caso contrario, se questi prerequisiti ti mancano, e se non colmi rapidamente questa
tua lacuna, siine certo, fallirai.
Poco importante, dirai. I videogiochi, ti sarà naturale obiettare, appartengono al mondo
dell'intrattenimento e del consumo. Non pongono problemi pedagogici, se non in termini di
regolamentazione, di presa di distanza, di orientamento critico.
Errore, voglio controbattere, gravissimo errore!
I videogiochi sono implicitamente e talvolta esplicitamente formativi. Sì, hai letto
bene. Sono formativi, sostengo, in due modi.
In un senso profondo, perché danno forma all'esperienza del bambino, coinvolgendolo
dentro le dimensioni della virtualità, della pattuizione, dell'operatività: insomma,
dell'interattività (che è la matrice primaria della scrittura...).
Ma lo sono anche in un senso più ampio, perché proiettano la loro azione sul suo modo di
conoscere il mondo. E, soprattutto, di conoscere il mondo dei media.
Quest'ultimo è l'aspetto più interessante, almeno per le cose che sostengo qui.
La pratica videoludica consente all'utente di stabilire un rapporto complesso con la
macchina: il soggetto non la subisce solo (come fa quando è disturbato dalla radio ad
alto volume del vicino), né soltanto la recepisce in modo selettivo (come fa quanto
legge, o, in una forma diversa, quando guarda e ascolta la tv), ma accoglie i prodotti di
queste due azioni e ne fa un campo di intervento, di interazione, di trasformazione.
Insomma, l'esperienza del videogioco sta all'esperienza di tv come l'esperienza di
scrittura sta all'esperienza di lettura.
Condotta ai suoi esiti estremi, questa linea argomentativa mi induce a pensare che il
videogioco sia la migliore delle introduzioni oggi disponibili alla logica del computer,
cioè ad una macchina sempre più multimediale, duttile, colloquiale, alfabetizzante. O
meglio, postalfabetizzante.
Se ti restano dei dubbi, prova a riflettere sulla natura della tua conoscenza e della tua
esperienza di computer. E' per te soltanto un attrezzo di calcolo? pensi che i monitor a
colori siano un estetismo superfluo? e il suono, c'entra o non con il
"calcolatore"?
Torniamo agli aspetti "pedagogici".
E' vicino a noi, ma raramente gli dedichiamo attenzione. E' dentro lo spazio di vita dei
nostri bambini, ma lo frequentiamo pochissimo. Lo temiamo, noi grandi, almeno quanto i
piccoli lo amano. Riconoscilo. Il videogioco divide il mondo in due: da una parte gli
utenti, diretti o indiretti (quelli che ci giocano e quelli che vorrebbero giocarci),
praticamente tutti i bambini e i ragazzi; dall'altra i non utenti, gli adulti tutti. Con
rarissime eccezioni, su questo secondo fronte: i giocatori forzati, come rischiano di
diventare i genitori che "democraticamente" accettano la sfida alle macchine
lanciatagli dai loro piccoli; gli utenti disinteressati, come sono i - non molti, per la
verità - genitori e insegnanti veramente curiosi del mondo dentro cui vivono i
destinatari delle loro attenzioni pedagogiche, e i ricercatori - anche questi assai rari -
che si interrogano sulle culture infantili; gli addetti ai lavori, cioè quelli che i
videogiochi li producono o li smerciano.
Noi adulti di videogiochi sappiamo pressoché nulla.
Loro, i bambini e i ragazzi, ne sanno moltissimo.
Noi reagiamo alla nostra ignoranza e insipienza censurando quella cultura (quella
non-cultura, perbacco!) e regolamentandone l'esercizio; loro rispondono sempre più
caricando l'esperienza di significati, anche alternativi. Noi chiediamo soccorso al
medico, allo psicologo, al pedagogo; loro si fanno gruppo senza distinzioni di età, ceto
e sesso.
Il videogioco, insomma, come luogo dell'alternatività. Non sto scherzando.
Te ne accorgerai stando per un po' di tempo, possibilmente senza pregiudizi di sorta,
dalla parte del bambino che videogioca, condividendo la sua passione, apprezzando la sua
competenza.
Quel mondo, ne converrai, è tutto suo.
E' un ambiente compatto e denso, dentro il quale la sua fame di esplorazione, di sfida, di
proiezione, di sogno, trova un alimento costante.
E' una palestra per la sua intelligenza.
[ ]
Il videogioco, qualunque videogioco è il regno
dell'interattività: tra una macchina duttile, un soggetto che deve acquisire competenza,
un programma che mette in scena le regole del gioco.
Ti verrebbe da pensare (con la tua logica di adulti) che quanto più gioco e macchina sono
sofisticati tanto più il loro uso risulti complesso, più insomma escludano i piccoli
utenti: non è così. E questa è un'altra dimostrazione dell'alternatività di cui
parlavo prima.
Se un libro o un film sono altamente sofisticati, chiedono un uso altrettanto sofisticato,
generalmente fuori della portata di un bambino.
Un programma e un videogioco sofisticato si prestano invece ad usi molteplici e
differenziati, hanno dentro la capacità di adattarsi ad una grande varietà di
utilizzazioni, comprese quelle "ingenue" (che presto, con l'esperienza e
soprattutto la dedizione, diventano "sapienti").
Il videogioco è una macchina virtuosa per la cognizione, che attiva un complesso di
abilità: di tipo sensomotorio, rappresentativo, narrativo, strategico, simulativo.
Talvolta in modo disgiunto, il più delle volte in forma integrata.
E' la via maestra per l'ingresso nel regno della virtualità, dove sono messe in scena le
dinamiche dell'osservazione, della progettazione, della prova, dell'errore,
dell'immaginazione. Quella stessa virtualità di cui si alimenta la pratica e la logica
della scrittura.
Ma è anche, come ho già detto, un luogo dove si strutturano
forme sempre più avvicenti e coinvolgenti di comunicazione multimediale: non solo perché
le macchine adottano contemporaneamente più codici (visivi, sonori, tattili e operativi),
ma anche perché i loro temi e i loro linguaggi rappresentano il crocevia dove
confluiscono numerosi percorsi mediologici e numerosissimi scambi tra un ambiente e
l'altro (dal videogioco al film, alla televisione, al giornale; e viceversa)."
Bisognerebbe anche intendersi meglio sul tema "ipertesti". Stefano Penge, del quale riproduco, rielaborato, un passo da Storia di un ipertesto. Scrivere, leggere, pensare in forma di rete, La Nuova Italia, Firenze 1994, ci aiuta a farlo:
"Che cos'è un ipertesto? Domanda non facile.Il concetto di ipertesto farebbe da modello, da regolo sul quale misurare gli (aspiranti) ipertesti reali. La forma della definizione prescrittiva è la domanda: quali oggetti sono a pieno titolo "oggetto del discorso"? Quali sono i parametri che permettono di assegnare a qualcosa l'aggettivo "iper" (o di rifiutarglielo)? O in forma attiva: quali regole bisogna osservare nella creazione di un ipertesto?
Ci sono grosso modo due scuole di pensiero, che si differenziano per la maniera in cui intendono il concetto di informazione e di rapporto tra informazioni. Queste due tendenze si sono già scontrate nel medioevo, sotto le bandiere di "realismo" e "nominalismo". Oggi la disputa è più sottile e meno dichiarata.
La prima scuola sostiene che ci sono nel mondo due tipi di oggetti: le cose e le informazioni. Rappresentare significa far corrispondere ad ogni cosa una informazione - l'immagine numerica della cosa. Se le cose sono collegate fra di loro, anche le informazioni corrispondenti devono essere collegate fra di loro. Un ipertesto consiste, in questa visione, di un insieme di informazioni, collegate fra di loro in maniera corrispondente ai collegamenti reali tra le cose.
L'altra scuola sostiene invece che le informazioni sono oggetti dotati di dignità propria, che non sono legate da un rapporto di rispecchiamento con le cose, ma sempre e soltanto con altre informazioni. Un ipertesto quindi è semplicemente un sistema di oggetti attivi, collegati fra di loro non da legami permanenti, ma dalla capacità di ricevere e inviare messaggi gli uni gli altri: una pagina di testo è in grado di inviare un messaggio ad un'altra pagina, oppure ad un'immagine, e così via.
C'è in effetti una terza scuola: quella che nega l'esistenza degli ipertesti. Qui bisogna notare come sul terreno degli ipertesti si attui la grande rivincita degli umanisti: è l'informatica per i non specialisti, i letterati, gli insegnanti, i medici. Forse è proprio questa volgarizzazione che gli informatici non perdonano.
Le due scuole sono però d'accordo su alcuni parametri fondamentali. E' sicuramente iper:
1. tutto ciò che è non-sequenziale;
2. tutto ciò che si tiene sulla base di legami associativi;
3. tutto ciò che si presenta visivamente come un mosaico di finestre,
Ci sono poi altre qualità secondarie, non necessarie ma quasi sempre auspicabili:
3. è possibile una (ri)scrittura anche da parte del lettore;
4. i codici usati possono essere molteplici (si parla di ipermedia)
E' facile dimostrare come questi parametri non siano del tutto soddisfacenti indicando oggetti che soddisfano i requisiti prescritti ma a tutta evidenza non sono ipertesti. Per esempio:
1. Un romanzo moderno (da "Tristram Shandy" in poi)
2. Un'enciclopedia
3. Un quotidiano
4. Un nastro magnetico
5. Un film
O accettiamo l'idea che anche i libri e i giornali
sono ipertestuali (e non può non venire in mente il signor Jourdain, che faceva della
prosa senza saperlo), oppure - se quest'idea ci infastidisce - riconosciamo di sapere già
in qualche modo distinguere tra ipertesti e resto del mondo. E infatti chi acquista un
libro sugli ipertesti ha già un'idea, almeno vaga, di che cosa troverà.
Ma allora una questione più profonda (non di fatto ma di diritto) va posta
preliminarmente: chi stabilisce questi parametri?
In un senso stretto: quali sono le categorie professionali abilitate? Gli autori, gli
editori, i critici, i lettori? In un senso lato: quali sono le discipline che per
prossimità o derivazione storica hanno il diritto di stabilirli?
Sono stati fatti numerosi tentativi - finora vani - di recuperare gli ipertesti dentro la
semiotica, la letteratura, la pedagogia, per non parlare dell'informatica e
dell'intelligenza artificiale.
Ma come sempre quando si tratta di oggetti reali - pensati, prodotti, consumati da
soggetti diversi - definire un modello ideale significa tracciare dei ferrei limiti che
gli ipertesti reali continueranno allegramente ad oltrepassare. Come sapeva già Hegel, la
teoria arriva sempre dopo, a giochi fatti, e non può che estrapolare dai fatti una forma
più generale (che verrà puntualmente smentita dai fatti ancora da venire...).
Insomma, la tentazione di entrare nelle paludi della definizione va respinta.
Così, tutto quello che si può fare è proporre un esame delle operazioni che si compiono usando quegli oggetti che chiamiamo ipertesti; descrivere le attività nelle quali sono coinvolti, i "giochi" che si possono fare con essi.
Non si tratta cioè di enumerare le proprietà degli ipertesti, ma di riflettere sulle relazioni che si instaurano tra noi, le macchine e i loro contenuti quando leggiamo, scriviamo, disegniamo o suoniamo in maniera ipertestuale. Indagare su quali metafore ci permettono di gestire in maniera efficace le novità, sfruttando l'esperienza passata; quali interfacce ci consentono di manipolare oggetti e utilizzare i risultati di queste manipolazioni per guidare la nostra attività; quali strutture reggono gli oggetti e ci permettono di conferire loro significato."Dunque, che rispondere alle domande ?
1. Che lidea stessa di prerequisito va problematizzata.
2. Che lo stesso vale per le pratiche ipertestuali.
3. Che questa problematizzazione deve essere il più possibile collettiva.
4. Che forse non ci sono "età ideali": tutto dipende da come si lavora in 1, 2, 3.
Aggiungo solo due cose.
I) I testi sopra citati sono del 1996, prime e ultime uscite (assieme a Tele di Penelope, di Ornella Martini, dedicato alla pubblicità come sapere ipertestuale) di una collanina da me diretta (Libropiù), sottovalutata dalleditore La Nuova Italia. Peccato, perché ogni titolo tentava di affrontare un tema (bambini, ipertesti, pubblicità) in chiave multimediale, era accompagnato da un software originale e costava pochissimo, poco più di 20.000 lire.
II) E appena uscito il mio Nuovo manuale di didattica multimediale, per Laterza. Il libro è ampiamente aggiornato e per non poche parti riscritto, rispetto alledizione del 1994, ed è integrato adesso da un cd-rom (al prezzo complessivo di 35.000 lire). Nel cd-rom, che fornisce programmi e materiali per la didattica multimediale, trovate Tutti a bordo, un ambiente che integra e adatta per usi didattici i programmi di Office 97 di Microsoft: può essere liberamente utilizzato nel secondo ciclo dellelementare e consente ai bambini di muoversi e operare in maniera reticolare (quindi in forma blandamente ipertestuale) dentro Word, Excel, Power Point. Potete avere unidea del libro consultandone alcune sezioni presso il sito Laterza (http://www.laterza.it).
Per approfondimenti: http://www.geocities.com/Athens/Forum/9897