29.01.2014
A
proposito di precariato e di come uscirne dignitosamente
di Antonio Valentino
Capisco e condivido le
preoccupazioni da cui nasce la proposta di Trezzi (Una
modesta proposta ... in tema di istruzione pubblica).
Ma condividerne e sottoscriverne i vari passaggi non è però sempre facile.
Ovviamente, non mi riferisco ai primi tre punti, che sono già
sostanzialmente acquisiti dal nostro ordinamento: i corsi di laurea
specialistica abilitanti per l’insegnamento non sono stranezze per il nostro
sistema; come pure i tirocini presso le scuole. Ma, da noi, le cose si fanno
e si disfano senza la minima valorizzazione dei saperi di esperienza.
Finendo così col buttar via il bambino con l’acqua sporca. E così su questi
terreni, dopo qualche passo spesso ben orientato a cavallo del nuovo
millennio, si è tornati indietro. E la cultura prevalente della nostra
università ha ripreso e continuato a caratterizzarsi per il suo accademismo
fuori dal tempo. Ed è questo che la rende indisponibile, nella maggior
parte dei casi, ai percorsi di formazione in cui la promozione di una
didattica attiva, motivante ed efficace risulti centrale.
Quello che è invece più difficile da capire e da accettare nella proposta
Trezzi è il riferimento al DS come il demiurgo della situazione: “che assume
direttamente i docenti supplenti”, e che, “quando si libera un posto in
organico d’Istituto, può stipulare un contratto a tempo indeterminato”.
Qui, c’è dietro una visione quasi padronale del DS che mal si concilia con
una idea di scuola in cui sarebbe bene che la leadership, in quanto
educativa, tendesse ad essere “plurale”, partecipata. Comunque
ha ragione Stefano Stefanel
quando dice che non si possono mettere nelle mani del DS “meccanismi così
complessi e innovativi”. E non tanto perché “non sono ancora valutati” –
come lui afferma - ma perché le scuole non sono dei DS, ma delle loro
“comunità” Questo, almeno, è ciò che dovrebbe essere.
(Comunque sono d’accordo con lui che la valutazione del personale della
scuola, a partire dal DS, di cui si parla da quasi 15 anni, è uno scandalo
che non arrivi in porto. E qui i Sindacati, che in qualche modo c’entrano,
c’entrano - se posso dirla tutta - molto di meno dell’Amministrazione.)
A proposito di “assunzione del personale, desidero qui richiamare un mio
dato biografico che può, mutatis mutandis, riuscire illuminante. Nella mia
prima esperienza di Preside, all’Istituto Sperimentale di Bollate (Milano),
i “vuoti” in organico erano “riempiti” con personale che faceva direttamente
domanda all’istituto - allegando il proprio curricolo - sulla base di un
“bando” che veniva affisso all’albo.
Seguiva un colloquio col Comitato Tecnico Scientifico (CTS) dell’Istituto,
presieduto dal Preside (in questi casi, semplice primus inter pares), e
venivano scelti, per la varie classi di concorso, i docenti, generalmente
di ruolo e quindi in organico presso altre scuole, valutati meglio. La
scelta del CTS faceva riferimento anche alla natura sperimentale della
scuola. (Siamo a metà anni ’80; praticamente una vita fa. Per dire poi che
con alcuni problemi ci si dibatte da sempre, senza arrivare a conclusioni. È
la nostra specialità. Richiamo, en passant, che questo meccanismo, proprio
anche di altre scuole con progetti sperimentali autonomi, venne in seguito
abolito perché creava problemi - che non si è riusciti a risolvere per
responsabilità diffuse - alle scuole di titolarità dei “comandati”).
Nella proposta di Trezzi, la questione posta è diversa e diversa la
soluzione; ma l’idea di investire le scuole, nel frattempo divenute
istituzioni autonome, di una prerogativa assimilabile a quella richiamata a
proposito dell’ITS di Bollate, non penso proprio comunque che possa essere
demonizzata. A maggior ragione se riesce a sburocratizzare e snellire
passaggi e pratiche, offrire più garanzie per avvii regolari dell’anno
scolastico, dare serenità al personale coinvolto (oggi trattato come peggio
non si può) e responsabilizzare le scuole rispetto al proprio POF.
Certamente le insidie non mancano. Ma il problema dei rischi, che ci sono in
tutte le imprese di questo mondo, non può condannarci ad un’immobilismo che
ci affonda.
Oggi, in conclusione, il problema più urgente e da affrontare
preliminarmente è comunque proprio quello del precariato, ormai endemico e
di proporzioni consistenti.
I vari PAS e TFA in atto potrebbero aiutare ad uscire dal groviglio
drammatico di questi anni. Ma sono troppe le incertezze sui tempi, sulle
modalità di realizzazione e i criteri di selezione.
Ci vorrebbero coraggio, idee chiare e determinazione. Che sono appunto i
requisiti che “cercansi disperatamente”. Come dimostrano le prime battute -
di questi giorni - dei Percorsi di Abilitazione Speciale presso le nostre
università.
Le notizie che in proposito vengono, ad esempio, dalla Statale di Milano
(dove ieri è iniziato il PAS per Lettere) non sono di quelle, purtroppo, che
lasciano bene sperare. Ma diamo tempo al tempo.