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Gioacchino Gesmundo: da Terlizzi alla Resistenza romana
Ritratto di un uomo
(di Grazia Perrone)
E la memoria lunica arma che abbiamo per evitare che lorrore si ripeta.
In questa frase è racchiuso il filo conduttore del
lavoro che dallinizio dellanno è stato svolto dal 1° Circolo
didattico di Terlizzi (BA) intitolato non a caso alla memoria di don Pietro
Pappagallo.
Si è iniziato a gennaio ricordando le giovanissime vittime del lager di Theresienstadt
(più noto come Terezin) e si è concluso con la cerimonia del 5 maggio scorso in cui
la scuola alla presenza delle autorità civili e religiose, dello storico Antonio
Lisi e di esponenti della Fondazione Carnegie e dellAnpi ha
presentato il cd-rom su Don Pietro Pappagallo realizzato con la collaborazione di tutti
gli alunni e docenti del Circolo (960 alunni 80 insegnanti).
Di don Pietro ho già parlato in una nota precedente. Vorrei ora parlare di un altro personaggio che rimase vittima della follia nazi-fascista nato e cresciuto nella nostra cittadina: il prof. Gioacchino Gesmundo medaglia doro al valore militare partigiano (dpcm del 24 aprile 1948). Tra i suoi allievi un grande italiano del nostro tempo: Pietro Ingrao.
Docente di Storia, Filosofia ed Economia presso il
liceo scientifico "Cavour" di Roma si affermò ben presto negli ambienti
culturali della capitale per le " sue qualità di studioso, per la sua vasta cultura,
per la profondità dei suoi pensieri, per la generosità del suo carattere, per il suo
rigore morale, per la sua operosità" (cfr. " Gioacchino Gesmundo Laltro
martire di Terlizzi" di Antonio Lisi associazione turistica pro-loco
Terlizzi, 1993).
Antifascista militante componente dei GAP romani diresse come redattore capo
lUnità clandestina. Arrestato il 29 gennaio 1944 fu condotto nelle segrete
di via Tasso dove fu sottoposto ad interrogatori durissimi. Nel Museo Storico della
Liberazione di via Tasso in Roma che fu camera di tortura e di sofferenza per tanti
antifascisti è ancora oggi custodita la sua camicia insanguinata.
Condannato a morte dal tribunale speciale fu assassinato il 24 marzo 1944 alle Fosse
Ardeatine. Riporto dal libro già citato la testimonianza di Carla Capponi: una delle
tante donne che non si limitarono a condannare verbalmente il fascismo ma che hanno
contribuito a combatterlo.
Grazia Perrone
Gioacchino, una guida ideologica per il partito
di Carla Capponi*
Dopo lotto settembre Gioacchino tornò a trovarci; la mia casa era già a disposizione del PCI per le riunioni clandestine. Lallo Bruscani, Giacomo Pellegrini, Adele Bei ed Egle Gualdi vi tenevano riunioni. In una stanza ospitavamo anche i Cattolici comunisti, la casa era divenuta il punto di raccolta per la distribuzione al centro di Roma dei giornali: lUnità e la Voce Operaia: Gesmundo mi propose di organizzare ed ospitare un corso per la formazione ideologica dei compagni. Trovammo modo di sgomberare una stanza. Gioacchino preparò un paio di lezioni su vari temi politici. Vennero a svolgerli, oltre a Gesmundo, Giacomo Pellegrini, Luciano Lusana, Mario Leporatti. La discussione più accesa ebbe luogo su due questioni:
La risposta fu scritta dalla storia dei mesi che seguirono, che videro i Romani, nella stragrande maggioranza, opporsi a nazisti e fascisti con straordinario coraggio.
Io passai ai GAP centrali del PCI e non rividi più Gesmundo. Lultima volta che mi recai a via Licia per prelevare della balistite era autunno inoltrato. Gesmundo mi mostrò un ritratto di Lenin, (forse ricavato da qualche rivista). Non gli dissi che passavo ai GAP, ma quando fui sulla porta convinta di andare a fare un lavoro più rischioso del suo, lo salutai come se non lo dovessi rivedere. "Chi sa come finirà tutto questo?" Lui, con sicurezza, sorridendo, mi rispose:"Con la vittoria della ragione, della giustizia, con la pace".
Scendevo le scale, mi richiamò, mi voltai e lui era là, inquadrato dalla porta, in alto il pugno chiuso in segno di saluto.
Era la prima volta che qualcuno mi salutava da comunista.
Zagarolo, 21.4.1993 (da Laltro martire di Terlizzi, 1993)
*Carla Capponi vice comandante di una formazione partigiana. Medaglia doro al valor militare partigiano partecipò allattentato di via Rasella del 23 marzo 1944 che provocò la feroce rappresaglia tedesca. Fu eletta, nel 1953, deputato in Parlamento nelle liste del PCI.
Per le modalità con le quali è avvenuto, per la ferocia dimostrata e per la sproporzione inumana della "vendetta tedesca" leccidio delle Fosse Ardeatine è, giustamente, ricordato come una delle pagine più tristi ed eroiche della nostra Storia recente. Ricordarne gli avvenimenti serve non a riaprire antiche ferite ma a rammentare il coraggio, la tensione ideale ed il desiderio di libertà che animò tanti italiani senza alcuna distinzione di credo religioso o politico. Concludo questo mio intervento citando integralmente una pagina del libro "Don Pietro Pappagallo un eroe un santo" del prof. Antonio Lisi (ed. Libreria Moderna Rieti, 1993).
Dopo la strage
( ) Parecchi giorni dopo, un soldato austriaco di guardia alle celle sul ballatoio condusse il dott. Caggegi per fargli trasportare della legna. A un certo punto si guardò intorno circospetto, poi abbassò lo sguardo e si mise a fissare un giornale abbandonato per terra. Il prigioniero non ci fece caso. Il soldato allora gli fece un cenno col capo indicandogli il giornale. Il dott. Caggegi lo rivoltò e lesse la notizia del massacro. Profondamente scosso quando risalì lo comunicò ai suoi compagni di cella: i cinque portati via non erano andati a lavorare, non erano stati deportati, ma erano stati uccisi chi sa dove.
Dopo una decina di giorni, alcuni ragazzi, mentre
giocavano, scorsero una buca a ridosso delle cave. Vi si affacciarono e videro la catasta
dei morti. Corsero ad avvertire i Salesiani delle Catacombe di S. Callisto, vicinissimi
alle grotte, e il padre don Giorgio Ferrando si recò sul posto rimanendo inorridito. Da
quel giorno la notizia cominciò a diffondersi, e i familiari delle vittime, che da molti
giorni vagavano angosciati in cerca dei loro congiunti, si dirigevano da quelle parti
chiedendo notizie ai salesiani. Don Giorgio li accompagnava sul posto.
I tedeschi vennero a sapere la cosa e si precipitarono sul posto con una mina che fecero
scoppiare chiudendo quellapertura che era loro sfuggita il giorno delle fucilazioni.
Don Ferrando dovette mettersi in salvo per non essere arrestato dai tedeschi che lo
cercavano.
Il 13 aprile 1944 i tedeschi dettero la notizia ufficiale del loro misfatto.
Soltanto nel mese di agosto, sotto la pressione del prof. Ascarelli, fu possibile
riesumare quei morti in avanzato stato di decomposizione. Lascio immaginare le scene
strazianti dei familiari, chiamati a riconoscere i loro cari.
Molti di quei morti rimasero sconosciuti per sempre, e le loro tombe sono contrassegnate
nel sacrario delle Fosse Ardeatine con una sola parola: "IGNOTO". (Antonio Lisi
op. citata pagg. 162 e 163).