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Democrazia WEB e ragazzi

“La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” G. Gaber

(02.03.2013)

A piccoli passi … nella democrazia
di Chiara Foa’ e Matteo Saudino

 

 “Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”. I. Calvino

 

Pensiamo fortemente che il metodo migliore per combattere l’assenza di democrazia sia la democrazia stessa.

Sono trascorsi circa 12 anni dal nostro primo incarico di docenza e, con i nostri colleghi, abbiamo assistito ad un progressivo impoverimento dell’istruzione pubblica. Siamo scossi in particolar modo dalle ultime proposte del ministro Profumo sull’innalzamento delle ore di docenza da 18 a 24 e dalla piena attuazione della riforma Gelmini con i conseguenti taglio di 90.000 cattedre, blocco degli scatti di anzianità, mancato rinnovo del contratto di lavoro, classi talmente affollate da meritarsi l’appellativo di “classi pollaio”, drastica riduzione dell'organico, aumento dell'età pensionabile. Non condividiamo l’indizione di un nuovo concorso, mentre il precariato sembra ormai diventato sistematico, nonostante i richiami della corte europea a stabilizzare i lavoratori dopo tre anni consecutivi della stessa mansione. Siamo indignati dai continui umilianti attacchi alla professionalità dei docenti: sono stati proposti corsi rivolti agli insegnanti affinchè imparassero dialetti regionali; si discute di sottoporre le maestre e i professori a test anti alcool; siamo costretti nella gran parte dei casi a lavorare in edifici pericolanti e ci stanno lentamente trasformando in allenatori di allievi da preparare alla società del mercato, del consumo e della precarietà.  Per queste ragioni abbiamo deciso di mobilitarci auto-organizzandoci “dal basso”.

Pare che da decenni sia in corso una sorta di “guerra ideologica” contro la scuola democratica, proprio quell’operazione di demolizione di cui ragiona Italo Calvino. Agli studenti della scuola pubblica sembra rimanere ben poco: l’offerta formativa o si restringe oppure diventa a carico delle famiglie, andando a penalizzare gli strati più poveri della popolazione e perpetrando così le differenze sociali in ingresso. Le politiche liberiste minano materialmente l'istruzione pubblica italiana proponendo di affidarla ai privati e finendo per creare un sistema di formazione elitario, funzionale alle esigenze dei mercati e della finanza.

Spinti invece dalla forte idea che la scuola debba essere uno spazio libero, rivolto alla crescita dei cittadini e all'emancipazione delle persone, a fine settembre, abbiamo creato un gruppo su facebook cui abbiamo dato il nome di “insegnanti arrabbiati”. La finalità prima di questo gesto è stata cercare di ideare un modo per fuggire dalla rassegnazione e dall'isolamento in cui gli insegnanti sono stati relegati. Per passare dall’indignazione-coscienza alla rabbia–azione. E’ nato così un gruppo sul social network più diffuso ed utilizzato, con l’idea di unire gli insegnanti per condurre una battaglia di dignità, uguaglianza e giustizia. Unità e scambio di pensieri e proposte per contrapporsi ad una classe dirigente e imprenditoriale che spesso, imponendo le proprie logiche, ha cercato di dividere i lavoratori per indebolirli.

Al gruppo si accedeva per invito e chi accettava concordava sul fatto che chi voleva privatizzare e colpire la scuola pubblica attaccava la Costituzione stessa. Gli iscritti potevano a loro volta segnalare la presenza del gruppo ad altri “contatti”, estendendo così l’invito all’adesione. In quanto moderatori degli “insegnanti  arrabbiati”, noi approvavamo di volta in volta le richieste di adesione. In pochi giorni, la comunità virtuale si è estesa ed attualmente conta 2405 membri: ogni giorno arrivano nuove richieste di adesione.

 Come un gruppo virtuale può trasformarsi in una comunità reale ed esercitare la democrazia? Innanzitutto si tratta di un’esperienza molto coinvolgente ed anche non sempre soddisfacente. Non mancano i momenti di frustrazione e le delusioni. Interessante però la progressione degli eventi, ovviamente e fortunatamente ancora in itinere.

Dopo la prima condivisione online di obiettivi e di proposte per resistere alla riforma, nasce quasi nell’immediato l’idea di fondare un sottogruppo di Torino e provincia e di trovarsi in un luogo per parlarsi anche faccia a faccia.

I primi due incontri sono due presidi-assemblee e, nonostante il gran freddo e la diffusione dell’appuntamento esclusivamente attraverso il network, la partecipazione è molto buona. Ci sono docenti di ogni ordine di scuola e qualche esponente del mondo universitario. Sono presenti anche i rappresentati di due sigle sindacali non confederati. Dal primo presidio nasce dopo discussione comune un corteo spontaneo per le vie del centro. Contemporaneamente abbiamo creato un primo striscione con il nome del gruppo. Il TG3 dedica un piccolo servizio alla protesta e sui siti online di Repubblica e La Stampa compaiono le fotografie del corteo. All’interno del nostro gruppo c’e’ chi prende la parola al megafono per spiegare le ragioni della protesta, chi fotografa e filma il corteo, caricando i materiali su youtube  nelle ore successive, e dandone massima diffusione tra gli amici e i conoscenti sempre attraverso la rete. Prima di sciogliere il corteo ci si propone di ritrovarsi a Palazzo nuovo la settimana successiva per accordarsi sulle successive iniziative.

All’incontro la partecipazione e’ cresciuta in maniera esponenziale: ci sono circa 350 persone ed iniziano a presenziare rappresentanti delle Associazioni dei genitori, rappresentanti coordinamento maestre dei nidi, rappresentanti degli studenti di alcuni licei torinesi… L’aula e’ stracolma: c’e’ una giornalista di un quotidiano che prende appunti. Tra i docenti ci sono persone di ruolo, precari e anche per età c’e’ una grande disomogeneità. L’assemblea si fonda sugli interventi dei singoli: l’ordine del giorno preannunciato attraverso un “evento” facebook viene segnato anche sulla lavagna dell’aula. Dopo circa due ore di assemblea abbiamo raccolto e votato parecchie iniziative da condividere e da portare ognuno nei propri istituti. Prima di lasciare l’aula raccogliamo l’elenco di tutti gli indirizzi e-mail dei partecipanti.

Dall’aula si esce di nuovo formando un corteo a cui si uniscono nuove persone: la partecipazione e il coinvolgimento sono intensissime. In centro il traffico viene bloccato per un’ora. La stampa interviene nuovamente.

Dopo ogni nostro incontro viene pubblicato un resoconto con ciò che si e’ fatto e ciò che si e’ deciso di fare. Questo viene pubblicato sul gruppo facebook nazionale e torinese e fatto circolare tramite e-mail. Il primo risultato molto interessante è proprio il coinvolgimento dei colleghi di regioni anche molto lontane: nascono iniziative simili alla nostra in Sicilia, Puglia, Lazio, Lombardia. I punti all’ordine del giorno sono i medesimi.

A Torino decidiamo attraverso votazione di organizzare dei gazebo informativi che spieghino ai tanti passanti per il centro quali sono e quanti sono i compiti di un insegnante: vogliamo rendere chiaro a chi non fa il nostro mestiere che insegnare non e’ lavorare 18 ore a settimana. Così lanciamo un nuovo ritrovo per un intero fine settimana: sabato e domenica pomeriggio in piazza Castello correggiamo pubblicamente verifiche e prepariamo lezioni, nonché riceviamo i genitori dei nostri allievi. A questo appuntamento siamo tantissimi: ci sono anche colleghi agli ultimi anni prima delle pensioni che non avevano mai partecipato ad iniziative dimostrative e di protesta. Abbiamo con noi volantini e parliamo con i passanti che ci chiedono le ragioni del nostro incontro.

All’interno del gruppo ci siamo divisi le mansioni e ci siamo autofinanziati per comprare ciò che serve (cartoncini, costo fotocopie…).  Presenziamo ad uno degli appuntamenti del Torino Film Festival e poi ci spostiamo sotto la sede Rai per parlare con i giornalisti: il TG3 ci dedica un buon seppur breve spazio con immagini e interviste. Veniamo contattati anche da emittenti private radiofoniche e televisive. Veniamo intervistati e partecipiamo ad una trasmissione televisiva sulla scuola.

Nasce poi l’idea di scrivere un manifesto condiviso a sostegno della scuola pubblica come bene comune, imprescindibile per realizzare i principi e valori costituzionali. Con parte dei soldi raccolti apriamo un sito  su cui pubblichiamo il manifesto e a cui si può fornire la propria adesione online. Con buoni risultati. Agli incontri comincia a partecipare qualche politico locale, ex consiglieri comunali. Il nuovo obbiettivo diventa sottoporre il nostro manifesto all’attenzione dei politici costringendoli in qualche modo a confrontarsi con il nostro manifesto e ad esporre la propria posizione sull’argomento, in vista delle imminenti elezioni. Si programma un incontro con gli esponenti di alcuni partiti. Prima delle elezioni l’assemblea e i vari coordinamenti delle altre regioni vorrebbero dar vita ad una manifestazione di orgoglio della scuola pubblica su base nazionale.

   In che cosa questa esperienza può dirsi pienamente democratica? Ogni singola iniziativa viene sempre discussa in assemblea e si pratica solo se condivisa dalla maggioranza. La diffusione delle notizie è orizzontale: le assemblee vengono coordinate soltanto per permettere un ordine cronologico degli interventi. L’assemblea è autoconvocata e non soggiace alle logiche di partiti, organizzazioni o sindacati.

Certo i lati negativi non mancano: spesso è difficile mantenere alto e costante il coinvolgimento di centinaia, migliaia di persone. Coordinare il gruppo senza che nascano tensioni non sempre e’ facile; così come pare complessa la suddivisione dei compiti.  Ma l’entusiasmo con cui si è formato questo gruppo e la condivisione di un malessere molto alto nei confronti della mala gestione della scuola ha subito donato agli insegnanti arrabbiati coesione e motivazione. In fondo…quello che chiediamo e vogliamo è una rivoluzione pacifica dell’istruzione pubblica in Italia, per costruire una scuola che metta finalmente al centro l'apprendimento e l’emancipazione degli studenti, la qualità della didattica e il miglioramento della professione docente. Troppo spesso si accusano gli insegnanti di essere passivi di fronte allo stravolgimento del mondo scolastico: forse non basta più l'indignazione. Dobbiamo arrabbiarci!

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