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“La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” G. Gaber
(19.06.2013)
Studiare con le TIC e fare ricerca con la rete 1
di Rodolfo Marchisio
E’ positivo e inevitabile che le TIC siano entrate nella
scuola e nella didattica, come tutte le tecnologie di comunicazione (TV,
cinema, etc…) che le hanno precedute. Lo scopo finale
è che entrino anche nella formazione del cittadino che avviene
a scuola.
In genere i ragazzi incontrano prima le tecnologie fuori - nell’iperscuola,
come dice Calvani, cioè nella società che contribuisce a formarli in modo
implicito – poi nella scuola o nella famiglia che hanno il compito esplicito
di aiutarli a crescere.
Questo avviene per un ritardo di aggiornamento:
1. delle attrezzature, in genere costose
2. della formazione culturale oltre che professionale dei docenti
3. dei progetti didattici
4. In seguito alle “riforme”, dalla mancanza di risorse organiche e spazi attrezzati per svolgere attività di laboratorio.
Così molti docenti si vedono sempre più spesso recapitare tesine prese da Wikipedia o scopiazzate da una ricerca fatta in Google con testi rubati col copia/incolla e foto di abbellimento assolutamente inutili o che violano il copyright. Oppure devono indagare su “suggerimenti” che arrivano da funzioni di cellulari che a mala pena conoscono
Proviamo a chiarire alcuni problemi.
Prime osservazioni
Le TIC come tutte le tecnologie forniscono stimoli e
potenzialità molto forti, come visto nei precedenti articoli della rubrica,
ma non determinano cambiamenti di per se, specie nella scuola. Tanto meno
nel senso di una didattica laboratoriale.
Invitano a lavorare in gruppo, a fare ricerca, ma tocca al
docente progettare e organizzare.
Cfr a questo proposito i molti progetti realizzati e pubblicati nelle
rubriche
Ø Compito della scuola non è quello di insegnare a usare le TIC- tranne che in certi istituti tecnici o professionali – ma di
1- dare un senso – critico - all’uso che i ragazzi fanno delle TIC, che hanno imparato a usare fuori
2- La scuola può/dovrebbe suggerire usi e metodi diversi, riflessioni critiche, facendo esperienze significative insieme (allievi e docenti) a cominciare dal campo dello studio, della ricerca, della cittadinanza
Ricerca non è solo attivare un algoritmo di Google, ma anche fare un percorso per dare delle risposte. Vedasi nella sua forma minima, ma corretta il Webquest.
Ø Il Webquest (portato se bene ricordo in Italia dall’amico M. Guastavigna) è invece un modello di ricerca semplificato che va bene se pensiamo all’universo dei docenti - al netto di quelli refrattari a ogni cambiamento.
A molti docenti motivati e attivi si può proporre una ricerca o un’esperienza di ricerca laboratoriale più complessa, progettata e condivisa con i ragazzi.
Ø
Teniamo conto di un dato un po’ sorprendente:
mentre i docenti in genere tendono a portare i loro interessi, i loro
talenti nella scuola (teatro, arte, cinema, storia etc…) moltissimi
docenti usano le TIC a casa, quasi come i loro allievi, ma non li usano
nella didattica. Esclusa una parte delle nuove generazioni.
Da un’indagine in corso di pubblicazione su 2 classi di 2° media, il 91% ca
degli allievi ritiene utili le TIC a casa, il 76% li usa per più di 2 o 3
ore (ormai alla pari con la TV) , usando soprattutto Social network (Facebook
65%) e posta elettronica 20%. Per studiare (75%): il 62% ci fa
ricerca e il 78% le usa per scrivere e fare presentazioni.
La scrittura e la
posta elettronica sono patrimonio di molti docenti, ma si crea questa
dicotomia schizofrenica: fuori dalla scuola quasi tutti gli allievi e
molti docenti usano le TIC; a scuola, insieme, no. E le Tic restano
un tabu della scuola e una realtà dell’iperscuola. Un apprendimento
implicito esterno (Calvani).
Le TIC, si diceva, possono essere viste come materia, come strumento,
come ambiente di lavoro ed esperienza (diceva Maragliano).
Non sono una materia, sono sia uno strumento che un ambiente di
lavoro e di esperienza molto potente.
Devono ora essere viste come la quarta grande area di competenze di
cittadinanza (oltre al filone storico/giuridico e alle educazioni:
ambiente, alimentazione, salute, le tematiche attuali). Come
competenza chiave (Losito). Oggi un analfabeta e un
analfabeta informatico non sono pienamente cittadini. E alfabeta non
significa uno che sa usare uno strumento, ma uno che ha competenze
in quel campo. (cfr
http://www.pavonerisorse.it/democrazia/default.htm)
E qui si aprirebbe il discorso complesso di quali competenze TIC debba fornire la scuola.
Ø Fondamentale la mediazione docente come sempre. Che dipende però da diponibilità delle risorse e formazione adeguata, anche metodologica e pedagogica, non solo tecnologica.
Non servono i corsi di formazione: vi stupisco con gli effetti speciali delle TIC – guardate come sono abile io, perché producono stupore e timore, non motivazione o voglia di provare; né competenza tecnica né metodologica. Il primo problema da risolvere nella formazione dei docenti all’uso delle TIC non è t’insegno a usare una macchina/un programma nuovi, ma vinciamo insieme la tua resistenza/paura ad usarla per fare meglio quello che già fai. Sono qui per assisterti.
Come tutte le
tecnologie possono essere piegate a usi tradizionali. Laboratori studiati
a isole, per suggerire lavoro di gruppo e ricerca sono spesso usati da
docenti pigri/tradizionali per proiettare CD o lezioni da penne USB ,
riproducendo lo schema passivo della visione TV o della lezione frontale.
Occorrono forti scelte pedagogiche, di metodo, di ambiente, di rapporto e
organizzazione del lavoro, ma anche di posizione delle TIC – laboratori
modello classe o isole di lavoro/ricerca?
Diffido delle tecnologie nate per la scuola e che i ragazzi non
incontrano (o raramente) nella vita. Ad es le LIM, tecnologia mal
progettata, inadatta a molte scuole prefabbricate – pesano 100 kg - e
costosa: quando se ne mettono 3 per plesso cosa abbiamo risolto?
Nella realtà fuori ci sono la rete, il cellulare, i blog, i Social
Network, i i siti che si possono usare…e che i ragazzi già usano.
Inoltre a un docente pigro le LIM suggeriscono la proiezione/TV o la
lezione frontale; con effetti speciali ed un allievo che va alla lavagna.
Con il costo di una LIM oggi si attrezza un laboratorio a isole di ricerca e
si esce dalla dimensione claustrofobica della classe stile Gelmini.
Occorre, di fronte alla rete,
più pensiero, più metodo.
Di fronte ad un problema nuovo e
complesso e di fronte ai problemi sollevati dalle TIC non bastano le
tecnologie.
Occorrono metodi di lavoro, più
formazione, più voglia e capacità di relazione sociale.
Non solo software eterogestiti (che ci inseguono e ci sostituiscono), ma
modelli forti di ricerca, comunicazione, condivisione, personalizzazione.
(R. Luna Wired ottobre 2012
Insomma:
problemi sollevati dalle TIC nella didattica, non possono essere risolti
dalle TIC
diritti di 4° generazione hanno bisogno di una risposta formativa, non di
una risposta solo tecnologica
Occorre più formazione/motivazione, più pensiero pedagogico, didattico, di
cittadinanza
Cfr anche:
http://www.pavonerisorse.it/democrazia/infonauti.htm
Una conclusione e alcune esperienze
E’ vero che la
strada suggerita dalla TIC sia quella di una didattica laboratoriale, di
ricerca ed esperienza comune docente/allievo. Ed anche di formazione all’uso
corretto e critico delle TIC.
Un primo obiettivo potrebbe essere quello di riscoprire
insieme non solo le potenzialità, talora sottoutilizzate e con alcuni punti
di criticità dei canali di comunicazione ed espressione che già usano …o le
fonti da cui traggono informazioni - la cui attendibilità devono imparare a
verificare - e su cui si formano opinioni. Su questo il ruolo della
scuola nel dare o nelle scoprire potenzialità, senso, criticità può
essere fondamentale. Cfr
Progetto di Ed. alla Salute
“Io consumatore, io utente: noi cittadini” SMS Bobbio Torino ed
altri.
Lavorare sugli aspetti emotivi e relazionali del loro rapporto con le TIC.
Perché i nativi digitali sono nati immersi, da un lato nella Democrazia, nei diritti, dall’altro nell’uso delle TIC, come sono nati immersi nell’aria sono troppo abituati ad averle per pensarci. E non se ne accorgono se non quando facciamo mancare loro “un po’ d’aria”: ad es. attraverso simulazioni in cui si tolga loro una parte di un diritto (a es il diritto di espressione) o si limiti la loro libertà nell’uso delle TIC; ad es. limitando, d’intesa con i genitori e per un dato periodo, l’uso del cellulare a casi di emergenza o finalizzando l’uso di social network e blog a comunicazioni tematiche e organizzazione eventi . Cfr. Progetto Diritto e rovescio Bando nazionale CC - SMS Bobbio e rete consultabile all’URL http://moourl.com/59guf
Allora un secondo obiettivo
può essere quello di far conoscere e usare in modo critico e finalizzato
i processi e gli strumenti di comunicazione sociale: rete, SN, cellulari
finalizzati al raggiungimento di un obiettivo concreto, alla costruzione
e organizzazione di un evento (ad es. un flash mob) e a forme di
partecipazione con esito reale. Cfr.
Progetto sopracitato di Ed alla salute.
Certamente in questo oggi spetta a Istituti ed Enti esterni un ruolo
di supplenza formativa e metodologica fondamentale data la situazione della
scuola (Vayola).
Proposte indecenti
Condivido solo in parte l’interesse per la proposta di
scuola “rovesciata in autoapprendimento”.
In pratica, visto che le scuole 2.0 o 3.0 con un tablet su ogni banco
sono pochissime in Italia, si suggerisce di dare i compiti al mattino da
svolgere sul Pc e sulla rete al pomeriggio a casa.
Per esperienza, un forte coinvolgimento delle famiglie in recenti
progetti di Ed. alla cittadinanza, alla salute, alimentari, ambientale è ben
accetto alle famiglie e positivo nei risultati. Al contrario non ritengo
corretto scaricare sulle famiglie lo svolgimento di attività che spettano
alla scuola, per competenze e costi, e che la scuola non può sostenere.
Questa proposta non è applicabile a livello nazionale, visto che
il 38,8% degli Italiani non è ancora connesso (dati Ist. Lorien
ricerca per il forum PPAA) e gli analfabeti informatici + gli analfabeti di
ritorno tra i genitori aumentano questa zona grigia oltre il 60%. Per questo
la rete può offrire spazi nuovi di comunicazione/relazione, talora
partecipazione a una parte della popolazione, ma non può essere oggi
democratica (democrazia = o tutti o nessuno).
Per questo e per la crisi risultano velleitarie anche le proposte di
esperti di “far portare da casa IPAD e Tablet dai ragazzi”.
Visto che le scuole non hanno i soldi, non è detto che i costi si possano
scaricare sulle famiglie che vivono la crisi come e più della scuola.
Invece in classi/scuole dove il contesto è favorevole si può sperimentare:
anche se la scuola dovrebbe essere un servizio pubblico obbligatorio
(art. 34 della Costituzione), ma oggi è sempre meno gratuito
ed escluderei proposte che assecondino troppo questa deriva verso il
pagano le famiglie.
Che può diventare una frattura politica e culturale più che digitale
in un paese con una scuola sempre più a “macchia di leopardo” come quella
che abbiamo conosciuto nel
lavoro fatto per USR Piemonte, Istoreto, Provincia di Torino
quest’anno.
Riprenderemo il discorso con un esempio sulla ricerca storica.