24.04.2013
Il documento dei “saggi” e la
scuola reale
di Rodolfo Marchisio
Ripercorro, per chiarezza, il questionario proposto dall’Associazione Gessetti colorati
Il documento parla molto di “economia” e poco di “scuola vera”
Una delle “mode” che affliggono la scuola, dalla Moratti in giù (sempre più giù ancora) è quella di semplificare i problemi complessi della scuola prendendo delle scorciatoie (ad es le 3 I) che in genere sono:
a)
il valutare/trattare la scuola come fosse una azienda che fornisce un
servizio di cui si vedono solo i costi
b) il delegare la soluzione di molti problemi (educativi, sociali,
didattici, di motivazione/formazione dei docenti) alle TIC
Per far questo si adottano provvedimenti sporadici e soprattutto si dimenticano i compiti che la normativa affida alla scuola; compiti sui quali i genitori, quando glielo si chiede (ad es con 15 anni di monitoraggi), sono completamente d’accordo:
Preparare i ragazzi agli studi successivi e poi all’eventuale/agognato inserimento nel mondo del lavoro
Contribuire a formare, insieme alle famiglie, le persone
Infine quello di formare il cittadino, sottolineato anche con l’introduzione delle attività (trasversali e formative, non disciplinari, dicono le indicazioni) obbligatorie per ogni ordine di scuola, relative a Cittadinanza e Costituzione.
Allora i ragazzi non sono “risorse umane”, sono persone e cittadini da
formare.
Che poi studenti preparati, persone solide e buoni cittadini facciano
del bene a economia e società è scontato.
Mi lascia perplesso/a il fatto che in tutto il documento non ricorrano mai le parole educazione e insegnante/docente mentre la parola istruzione viene usata solo tre volte
Poiché non si parte dai problemi e dai compiti della scuola, non si parla il
linguaggio della pedagogia, della metodologia didattica, come hanno fatto –
dopo Fioroni e in parte la Moratti - tutti i Ministri. Chi ha mai sentito
la Gelmini (che si vantava di non avere consiglieri e un gruppo di esperti -
e si vedeva benissimo) parlare di pedagogia o di didattica, invece che di
costi e risorse?
Il tema dei compiti formativi è usato sempre più in modo strumentale; il
tema dell’insegnamento (istruzione?) è più presente perché più funzionale
all’azienda scuola, in cui i docenti sono trattati come un costo e un
problema, non come una risorsa. Per questo non se ne parla.
Allora istruzione sì, educazione/formazione no. E competenze? Boh!? Cosa
sono?
Nel documento si sostiene che è necessario aumentare le spese per l’istruzione per ottenere come risultato quello di ridurre la spesa sanitaria. In che misura sei d’accordo su questa affermazione del documento?
Sul
fatto che occorra aumentare le spese per l’istruzione non ci sono dubbi,
dopo che la scuola, che come costo/PIL era già al 4,8% prima dei tagli
(quando la media OCSE, con cui dovevamo “concorrere”, era al 6,2%) è stata
portata/prevista
al 3,4%. Finora hanno fatto il contrario.
La riduzione della spesa sanitaria non è una cosa centrale fra i compiti
della scuola, è una conseguenza accessoria, è uno dei tanti “è compito
della scuola…risolvere il problema del bullismo, analfabetismo,
droga, uso TIC, risparmio, contraffazione, sicurezza, pedofilia, tabagismo,
alcolismo etc…” che si aggiungono come fardelli ad una scuola cui è
stato già tolto tutto (8+ 2 miliardi negli ultimi anni), perché la si
considerava un costo e non una risorsa su cui investire.
E’ vero che la scuola può/potrebbe se ricomparissero fondi per
attività progettuali, ma bastava sottolineare il ruolo formativo della
scuola e in specifico dei progetti e delle attività di CC che si sono
articolati poi anche nelle educazioni: alla salute, alimentare, ambiente etc…
in questi anni, coinvolgendo fortemente le famiglie per essere efficaci
e modificare i comportamenti.
Non hanno mai letto progetti di educazione alla salute o alimentare che sono
documentati a centinaia? Piccolo
esempio al riquadro Progetti.
Allora se vogliamo dire che allievi competenti, persone ben formate,
cittadini attivi e responsabili farebbero risparmiare su molti fronti è
solo ovvio.
Il documento assegna troppa importanza al tema delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
Più
che altro gli affida compiti taumaturgici che non gli sono propri. Le TIC
sono da sempre (ne seguo l’impatto sulla didattica e sulla formazione dai
primi anni 80) una potenzialità e uno stimolo molto forte.
Da sole non risolvono problemi pedagogici o sociali complessi. Se mai,
mentre aprono nuovi orizzonti, ne aprono altri di
problemi educativi.
Non se ne parla quindi nel modo giusto: sono fondamentali invece come
educazione alla cittadinanza - per questo è nata la rubrica
Democrazia Web e Ragazzi -
cfr anche le prossime
uscite su Scrivere, leggere, apprendere con le TIC). Sono,
come spero la rubrica dimostri, la grande educazione che sorregge sia il
tronco storico (bisogni – diritti – regole – partecipazione –
democrazia) sia tutte le altre educazioni. Basta pensare alla
cronaca politica recente e leggere le prime tappe della rubrica sino
alle elezioni.
Ritengo che le competenze TIC siano, a livello educativo e di cittadinanza, la grande sfida di oggi. Le competenze base di cittadinanza su cui tutto si regge sono due:
1)
la volontà e la capacità –
tutt’altro che scontata - di informarsi in modo adeguato e completo
(quante cavolate girano sui SN in questi giorni dette da persone adulte
disinformate!!!)
2) la
volontà e la capacità di compiere scelte responsabili delle
conseguenze che hanno su noi (responsabilità personale – malattie,
costi, rischi etc…) e sugli altri (responsabilità sociale. Vedi sopra
alla voce spese sanitarie, costi ambientali etc..)
Senza dimenticare che le competenze di cittadinanza sono sempre
competenze chiave (B. Losito) e viceversa. Sia un analfabeta
(anche di ritorno) che un analfabeta informatico oggi non possono essere
pienamente cittadini.
Sbagliato pensare invece che libri elettronici e LIM siano la soluzione
al vero problema: l’educazione e la formazione degli studenti, delle
persone e dei cittadini.
Ritengo che l’uso di tecnologie senza formazione/investimenti sia un
modo di buttare soldi, diffido delle tecnologie nate per la scuola e che
i ragazzi non trovano nella vita, perché
1)
compito della scuola non
è quello di insegnare ad usare le TIC ma quello di dare un senso –
critico – all’uso che i ragazzi già ne fanno, usandole (rete, Blog, SN,
cellulari etc…) insieme, in esperienze significative. Basta con le belle
ricerche che fanno prendere i bei voti o fare bella figura al docente, ma
non modificano in modo sufficientemente stabile i comportamenti
di nessuno!
2) qualunque tecnologia in mano a docenti demotivati e pigri si riduce ad
una lezione o peggio a un guardare la TV. E’ successo per le
videocassette, per i CD/DVD che bloccavano laboratori strutturalmente
costruiti a isole per la ricerca e la didattica laboratoriale,
trasformandole in sale di proiezione e sta succedendo per le LIM. Avevo
ricevuto una proposta del gruppo di Baricco per sperimentare “lezioni” su
penna costruite per le LIM…Ma sempre di lezioni frontali (a pagamento) si
trattava.
Le LIM come le lavagne, suggeriscono ai docenti meno attenti il modello classe (“state a guardare e uno a turno viene alla lavagna”) e corrono il rischio della lezione frontale con effetti speciali o peggio della proiezione.
Per fortuna ci sono i docenti competenti e motivati e sopravvivono momenti di formazione.
Nel documento si sostiene che per combattere l’abbandono scolastico è necessario ricorrere all’individualizzazione dell’insegnamento
Per “non lasciare indietro nessuno” (Fioroni), ma anche per personalizzare e flessibilizzare l’apprendimento, per fare una didattica di ricerca laboratoriale che oggi non ha spazi (né organici né fisici, nel modello scuola frontale) ci vuole la restituzione di risorse orarie e finanziarie per didattica attiva e laboratoriale. Non solo per l’abbandono: per gli stranieri, per i disabili, per la formazione di tutti, per fare scuola come va fatta.
Il tema della cittadinanza è assolutamente centrale nella scuola di oggi. E’ grave che nel documento non se ne faccia minimamente cenno.
Sono completamente d’accordo forse non sanno che esistono 5 anni di sperimentazioni anche nazionali solide e documentate a tutti i livelli (da GOLD ai siti delle scuole, passando per questo sito) vedi rubriche Educazione alla cittadinanza e Democrazia web e ragazzi. Inoltre oggi credo col prof Dellavalle che CC sia la colonna, il cavallo di troia, per tornare a parlare di formazione nella scuola. Perché è un’attività (non una materia) obbligatoria, perché è verticale (in ogni ordine di scuola), perché ha uno spazio orario non eliminabile, perché non può essere, per legge, che trasversale e laboratoriale.
Desidero proporre queste ulteriori osservazioni
L’analisi è casuale e superficiale, alcuni dati sono veri, ma manca un quadro della scuola e dei suoi molti problemi. E’ un po’ come una chiacchiera al bar. Si salta da un argomento all’altro.
Il fatto centrale è che la scuola da tempo
1- non è più governata
2- non ha più un progetto
3- non ha risorse finanziarie (divieto di tenere soldi sul cc, scomparsa F. Autonomia, 2 tagli del 40% per 2 anni successivi del FI etc…) né organiche (grazie alla Gelmini ed al suo modello lezione frontale). Se l’autonomia è la libertà di gestire risorse secondo un progetto a fronte di problemi, oggi non ha più senso parlare di autonomia, se non di quella di gestire l’emergenza.
4- Ha un corpo docente in buona parte demotivato.
Sto monitorando con un collega, per USR Piemonte + Istoreto + Provincia di Torino, 200 docenti referenti impegnati in Regione in progetti di Ed. alla cittadinanza, alimentare, alla salute etc…La mappa che emerge dai gruppi online (perché per incontri in presenza non ci sono fondi) e dalle uscite sul territorio è di una scuola in cui esistono più o meno forti sacche di resistenza (da 1 o 2 docenti isolati a gruppetti di 8/10 docenti, per scuola, talora con l’appoggio di un DS convinto) che portano ostinatamente avanti una didattica di ricerca, laboratoriale, formativa.
In mezzo a inerzia e/o ostilità di Consigli di classe (trasversalità) o di Collegi stanchi (coerenza del progetto formativo nel POF, sviluppo di un progetto per competenze).
Il
compito mio e del collega Marchis (che peraltro ci occupiamo di questi temi
per l’Istituto di Studi storici sulla Resistenza e la società contemporanea)
e di altri è di farli lavorare insieme online, anche perché sappiano
che non sono i soli, di valorizzare e pubblicizzare il loro lavoro,
di rimetterli in rete, di migliorare gli aspetti metodologici.
Insomma faccio/amo l’ufficiale di collegamento, talora il commissario
politico, in attesa che arrivino le risorse (dal cielo?).